Ci vuole 
                  un fiore 
                  Nel centenario di Gianni Rodari, 
                  i suoi testi cantati da Sergio Endrigo 
				 
                Il contesto di Rodari 
                Qualche generazione, compresa la mia, fu fortunata...  
Sono nato nel 1972, prima di noi i bambini erano degli adulti ancora troppo giovani, presi in considerazione solo come degli uomini in potenza, tavole rase, recipienti da riempire con l'imbuto. Poi la televisione, davanti alla quale venivano parcheggiati, li scoprì come i clienti perfetti, i più influenzabili, i più indifesi: da allora sono la pancia debole per ogni esperimento commerciale. 
Ci fu un breve periodo però, fra gli anni sessanta e i primi ottanta, nei quali i bambini vennero scoperti per ciò che erano: dei bambini. Il loro diritto al gioco, l'esigenza del rispetto, la complessa architettura di un'educazione libertaria si diffusero con i più svariati esperimenti. 
Fu in quegli anni che una serie di artisti, poeti, illustratori, cantori, teatranti cominciarono a parlare per davvero ai bambini, senza pantomime o parodie. 
Se c'è il nome di uno scrittore che riassume questo cambio di passo è quello di Gianni Rodari. Assieme alle Fiabe popolari tratte dalle tradizioni regionali, nella meravigliosa riscrittura di Italo Calvino, le sue Favole al telefono - nella storica edizione Einaudi con la copertina di Bruno Munari - furono la lettura fondamentale della mia infanzia. 
Rodari entrò anche nella storia della canzone italiana nel corso degli anni settanta (dopo qualche pionieristico tentativo del gruppo torinese Cantacronache) per l'impegno di due grandi artisti, Virgilio Savona (noto al grande pubblico per la sua militanza nel Quartetto Cetra), che alle filastrocche si dedicò per primo e con più continuità, e Sergio Endrigo, che incise un disco con una canzone diventata famosissima, forse la più nota e riuscita canzone italiana per bambini Ci vuole un fiore, che dava il titolo all'intero disco. Appunto a questo disco voglio dedicare qualche riflessione. 
Voglio anche precisare che in tempi molto più recenti anche il cantore e chitarrista virtuoso Paolo Capodacqua (noto per essere anche stato lo storico accompagnatore di Claudio Lolli) ha lavorato molto bene sui testi di Rodari. 
                  Non starò nemmeno a tentare una disamina del valore pedagogico, 
                  o letterario in assoluto, dell'opera di Gianni Rodari. Al netto 
                  delle molte pagine anacronistiche o delle favole superate (anche 
                  per merito della sua stessa opera di divulgatore e teorico), 
                  io penso che fosse un gran poeta e un eccellente narratore: 
                  emotivo ma sempre un passo indietro al rischio del sentimentalismo 
                  (rischio che molti narratori per l'infanzia anche successivi 
                  subiscono più o meno consapevolmente), forse a tratti 
                  un po' cerebrale, ma mai guittesco, mai consolatorio. Se penso 
                  a un altro genio della narrativa per ragazzi del novecento quale 
                  Roald Dahl, a tratti crudelmente compiaciuto proprio come un 
                  bimbo che gioca, trovo in Rodari l'asciuttezza di una strada 
                  diversa e consapevole: un adulto che ha trovato il modo di parlare 
                  ai bambini, divertendosi a farlo, ma senza confondere i reciproci 
                  ruoli. Per questo egli è un imprescindibile classico 
                  del secondo novecento, pur in un contesto così radicalmente 
                  cambiato dai suoi Giochi nell'URSS o dal bellissimo testo 
                  teorico La grammatica della fantasia. 
                Per fare tutto ci vuole un fiore? 
				Le cose di ogni giorno raccontano segreti 
                  A chi le sa guardare ed ascoltare 
                   
                  Per fare un tavolo ci vuole il legno 
                  Per fare il legno ci vuole l'albero 
                  Per fare l'albero ci vuole il seme 
                  Per fare il seme ci vuole il frutto 
                  Per fare il frutto ci vuole il fiore 
                  Ci vuole un fiore, ci vuole un fiore 
                  Per fare un tavolo ci vuole un fiore 
                   
                  Per fare un fiore ci vuole un ramo 
                  Per fare il ramo ci vuole l'albero 
                  Per fare l'albero ci vuole il bosco 
                  Per fare il bosco ci vuole il monte 
                  Per fare il monte ci vuol la terra 
                  Per far la terra ci vuole un fiore 
                  Per fare tutto ci vuole un fiore. 
                   
                   Come 
                  dicevo, questo è il classico per antonomasia della canzone 
                  per bambini, la più famosa e intramontabile per tutte 
                  le generazioni. Il testo è costruito su un modulo reiterativo, 
                  che troviamo in tante filastrocche e canzoni popolari, ma il 
                  processo logico del testo è quasi scientifico, la relazione 
                  causa-effetto, l'idea della trasformazione permanente... se 
                  non che l'ultimo verso ribalta completamente l'assunto, riportandolo 
                  su una dimensione metaforica, per fare tutto ci vuole un 
                  fiore, ovvero ci vuole la delicatezza, la bellezza, la caducità, 
                  l'amore. 
                  A Sergio Endrigo l'idea di registrare un disco coi testi di 
                  Gianni Rodari viene dopo l'esperienza innescata dall'amicizia 
                  e la collaborazione con Vinicius de Moraes, il grande poeta 
                  brasiliano, alla fine degli anni sessanta in esilio in Italia, 
                  era stato fortemente spalleggiato da Sergio e dal suo gruppo 
                  di fedeli collaboratori Sergio Bardotti e Luis Bacalov. Insieme 
                  avevano appunto prodotto il caleidoscopio Lp “l'Arca”, 
                  con una serie di canzoni, sempre per bambini, ispirate al mondo 
                  degli animali, fra le quali spicca Il pappagallo. Altro 
                  brano di straordinaria poesia, ma a ben vedere anche sottilmente 
                  inquietante, è La casa uscito come singolo: Era 
                  una casa molto carina / senza soffitto senza cucina / non si 
                  poteva entrarci dentro / perché non c'era il pavimento 
                  / non si poteva andare a letto / in quella casa non c'era il 
                  tetto / non si poteva far la pipì / perché non 
                  c'era vasino lì che sembra alludere alla vita dei 
                  senzatetto. 
                  L'ottimo successo di queste operazioni lo convince a lanciarsi 
                  in qualcosa di più grandioso, e diciamo pure di molto 
                  coraggioso per un autore da sempre considerato un malinconico 
                  e romantico. Nel 1974 - dopo aver chiesto l'autorizzazione direttamente 
                  a Gianni Rodari, che gli affida dei testi sparsi - esce dunque 
                  “Ci vuole un fiore”, un disco arrangiato in pompa 
                  magna, con una copertina sgargiante, il cui libretto interno 
                  era composto da un album interno di fogli bianchi, pensati per 
                  poter disegnare qualcosa di relativo ai temi cantati. 
                Fra poesia, ironia e critica sociale 
				Il disco, dopo la folgorante partenza col brano Ci vuole un fiore, si presenta come connotato da posizioni esistenziali e sociali, e non lesina critiche al nozionismo scolastico. Prima che parta l'introduzione musicale del secondo brano Un signore di Scandicci, una voce petulante e inespressiva attacca con un breve parlato 
 
Problema: i confini della Toscana hanno uno sviluppo di 1.330 km, di cui 329 costieri, 249 insulari, 752 terrestri, che la dividono da Liguria, Emilia, Marche, Umbria e Lazio. La sua superficie è di 22.940 km quadrati, di cui 5.800 di montagna, 1.930 di pianura e di 15.260 di collina. I fiumi della Toscana sono: l'Arno (lungo 241 km), il Serchio (lungo 103 km), l'Ombrone (lungo 161 km), il Cecina (lungo 76 km). Si domanda: quanto è alta la torre di Pisa? 
 
Un signore di Scandicci 
Buttava le castagne e mangiava i ricci  
Quel signore di Scandicci 
 
Un suo amico di Lastra a Signa 
buttava via i pinoli e mangiava la pigna  
quel suo amico di Lastra a Signa 
 
Tanta gente non lo sa, non ci pensa e non si cruccia 
La vita la butta via e mangia soltanto la buccia. 
 
La canzone prosegue elencando il cugino di Prato che buttava il cioccolato e mangiava la carta, il parente di Figline che butta via via le rose e odorava le spine, lo zio di Firenze che buttava in mare i pesci e mangiava le lenze, tutti coloro che la vita la butta(no) via e mangia(no) soltanto la buccia. La surreale scansione di paesi e città tutti della Toscana, trova il suo senso nella morale universale, che invita a vivere la vita nella sua pienezza, mangiarne il frutto e non la buccia o l'involucro. È proprio su questa e su altri momenti che potrebbero apparire un po' didascalici che la dolcezza stilistica di Endrigo e la sua voce melodiosa arricchiscono di elementi sognanti i versi. 
Tutto il disco è punteggiato di brevi parlati, per lo più ironici o grotteschi, di suoni e suonini evocativi, e le orchestrazioni sono estremamente ricche, ora occhieggianti al gusto tipico dell'epoca per le colonne sonore, ora alla passione sinfonica e ai contrappunti bachiani dell'orchestratore Bacalov. 
Onnipresenti ovviamente i cori dei bambini (fra i quali i figli stessi degli autori) molto ben gestiti e registrati, senza bamboleggiamenti con dizione chiara e voci stonate quel tanto che basta per essere belle ed espressive. All'ascolto potrebbero apparire un po' ridondanti, ma hanno la funzione didascalica di guidare la ripresa delle strofe e dei ritornelli anche dai singoli ascoltatori del vinile, come dire “cantate insieme a noi”. 
Questa, che non vuole essere una semplice raccolta di brani da ricantare, ma una vera e propria variegata opera per bambini, si prende i suoi rischi, accostando a canzoni fortemente ritmate e allegre altre ballate pensose e sospese, come questo capolavoro: 
 
Abbiamo parole per vendere, 
parole per comprare, 
parole per fare parole. 
 
Andiamo a cercare insieme 
le parole per pensare. 
 
Abbiamo parole per fingere, 
parole per ferire, 
parole per fare il solletico. 
 
Andiamo a cercare insieme, 
le parole per amare. 
 
Abbiamo parole per piangere, 
parole per tacere, 
parole per fare rumore. 
 
Andiamo a cercare insieme 
le parole per parlare. 
 
Il disco avviato così potentemente si snoda fra i brani più giocosi - come un'impagabile Zucca Pelata, una filastrocca dal gusto popolare adattato sull'aria di celebri canzoni - e altri che riescono ad essere ironici e istruttivi, come la tirata su quel Napoleone che, a dispetto di tutta la prosopopea di cui si circondava, faceva cose normalissime: 
 
C'era una volta un imperatore, si chiamava Napoleone 
e quando non aveva torto, di sicuro aveva ragione. 
Napoleone era fatto così 
se diceva di no, non diceva di sì 
quando andava di là, non veniva di qua 
se saliva lassù, non scendeva quaggiù 
se correva in landò, non faceva il caffè 
se mangiava un bignè, non contava per tre 
se diceva di no, non diceva di sì. 
                I bambini di gesso 
				La summa del pensiero di Gianni Rodari si trova nel penultimo brano, uno dei più interessanti anche a livello sonoro e dei più riusciti nel mix fra la vis polemica del testo e la dinamica giocosa e fisica di un rock per bimbi piuttosto scatenato, introdotto da un parlato ossessivo, in cui i divieti crocefiggono la vitalità del bambino al noioso mondo di regole degli adulti: 
  
Sta fermo! Sta zitto! Non metter i gomiti sulla tavola! Non essere distratto! Guarda dove metti piedi! Sta attento a non rovesciare l'acqua! E non lasciar cadere la penna! E non perdere i pastelli! Non giocare in cortile! Non correre sulle scale! Non fischiare! Non sbattere le porte! Non strusciare le scarpe! Non prendere a calci i sassi! Sta buono, perché la mamma ha il mal di testa, perché la maestra ha il mal di testa, perché la zia ha il mal di testa, perché la portiera ha il mal di testa. 
Non correva, non saltava 
pantaloni non strappava 
non diceva parolacce 
non faceva le boccacce 
non sporcava i pavimenti 
si lavava sempre i denti 
non strillava, non rideva 
i bottoni non perdeva 
senza macchie sui guantini 
senza buchi nei calzini. 
 
Era proprio un bambino di gesso 
respirava se aveva il permesso 
stava dove l'avevano messo 
come un bravo bambino di gesso 
che non risponde e non dice mai di “no” 
 
Ora grande è diventato 
ma non è molto cambiato: 
compitissimo, prudente 
ossequioso, diligente 
dice “grazie” al superiore 
dice sempre “Sì, signore” 
se gli danno sulla testa 
dice grazie e non protesta 
passa il giorno a fare inchini 
non ha buchi nei calzini  
 
Ora è proprio un brav'uomo di gesso 
che respira se ottiene il permesso 
e rimane dov'è stato messo 
come un bravo brav'uomo di gesso 
che non discute e non dice mai di “no”. 
 
Dopo questo climax, il tono si abbassa per uno dei brani più poetici e rarefatti, che più ancora che consolare, invita i bambini a non usare l'elemento ricattatorio e catartico del pianto. A ben vedere è un brano esistenziale anche questo, con cui si conclude una delle perle della nostra discografia, noto quasi solo per la canzone che gli dà il titolo, ma meritevole di essere riscoperto. Se anche a questo può servire questo centenario, allora non esitiamo a ripetere: buon compleanno e lunga vita alla tua opera, Gianni Rodari. 
 
Non piangere, non piangere 
se piangi non vedi più niente 
vedi solo le tue lacrime, e se tu le bevi 
non sono dolci ma salate come il mare 
 
Se piangi non vedi più il sole 
vedi solo pioggia e nuvole 
non puoi più giocare a rimpiattino 
ma soltanto a mosca cieca 
 
Non vedi più il cielo sopra il grattacielo 
gli uccelli volare e le stelle brillare! 
non vedi i colori dell'arcobaleno 
vedi solo il tuo naso, non vedi più in là. 
                Alessio Lega          
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