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                Scrive, Marco Sommariva, e quanto e come scrive. Penso di aver 
                  letto quasi tutti i suoi lavori: per grande parte mi sono piaciuti 
                  e senz'altro devo averglielo detto, l'ho anche scritto e ripetuto 
                  su queste pagine. Ho letto tempo fa da qualche parte una frase 
                  che trovo gli stia proprio bene addosso: “un libro è 
                  come un fucile carico”, l'aveva scritta Ray Bradbury tracciando 
                  con queste poche parole una linea spezzata in mezzo al cielo 
                  come se disegnasse una costellazione, o volesse tracciare il 
                  futuro. Futuro che è poi venuto a prenderci di notte 
                  e a portarci via, futuro che aveva tutt'altra faccia da come 
                  lo si immaginava, o lo si sognava. Il fucile carico di Marco 
                  punta alla testa. Tre colpi. 
                
                 Primo colpo. 
                  Sbirri esce a fine 2019 per l'editore abruzzese More 
                  Nocturne Books (€ 10, www.morenocturne.com), 
                  un editore piccolo sì, ma di quelli che graffiano e mordono 
                  e non si rassegnano al temporale di mazzate. Un centinaio-e-mezzo 
                  di pagine costruite assemblando con pazienza dei ritagli di 
                  libri d'altri: parole e frasi che costruiscono ritratti di guardie 
                  campestri e di frontiera, di carabinieri e secondini, di commissari 
                  e poliziotti di strada. Ritratti di sbirri, in una parola sola, 
                  da cui il titolo. Un lavoro di tracciatura e scavo attraverso 
                  le zone letterarie del ventesimo secolo e degli anni a questo 
                  adiacenti. Mi viene da pensare che a Marco più che pazienza 
                  saranno servite accuratezza e determinazione, ostinazione forse. 
                  E pelo sullo stomaco, e sassi da disporre con cura tutt'attorno 
                  al cuore. Penso che solo così, mettendosi un po' al riparo, 
                  sia riuscito a trasformare le parole ritrovate in questa galleria 
                  lugubre: assenti o meglio assai rari i sorrisi, sono descrizioni 
                  spietate come il lampo oppure sporche di disprezzo, inquadrature 
                  nere come Charles Mingus e come Satchmo oppure viaggi acidi 
                  e alcolici come Charles Bukowski, schizzi punk come John Lydon 
                  e testimonianze di innocenti come Allen Ginsberg e Fabio Geda. 
                  In mezzo parecchi occhi vuoti sotto sopracciglia di cartongesso, 
                  il resto facce in penombra attaccate coi chiodi ai muri, che 
                  - più che guardare giù e guardare fuori - osservano 
                  e controllano, sinistre.  
                  
                   
                  Secondo colpo. 
                  L'uomo degli incarichi esce lo scorso dicembre per le 
                  edizioni Sicilia Punto L (€ 8, www.sicilialibertaria.it). 
                  È un romanzo denso, che si concentra occupando poco più 
                  che cento pagine - poche se volete ma tutte torbide e oscure 
                  come se Marco ci avesse schizzato dentro del nero di seppia. 
                  Una storia che ti porta per mano strattonandoti da Roma a Genova 
                  alla Sicilia e che non smette per un solo momento di fare rumore 
                  - di parlare, di accatastare suoni, musiche, urla. Televisioni, 
                  radio, telefoni, il traffico per la strada: in questo libro 
                  fanno rumore anche le vedute spente dalle finestre chiuse, l'azzurro 
                  del mare lontano mentre si avvicina alla curva del cielo, le 
                  immagini veloci che si susseguono in un qualsiasi telegiornale 
                  a volume zero, fanno rumore persino le idee che cambiano dentro 
                  in testa. “C'è puzza di piscio da qui alle nuvole” 
                  scrive nella prefazione Marino Severini dei Gang: al momento 
                  sembra gli faccia uno sgarbo al Marco genovese, ma mentre leggi 
                  il libro ti accorgi che la prefazione è solo il capitolo 
                  zero di una poesia disperata scritta in grigio sul grigio e 
                  che si trascina sanguinante dall'altra parte, gocce rosse tepide 
                  pagina dopo pagina fino ad accasciarsi e sospirare un ultimo 
                  alito in quarta di copertina. All'inizio di ogni capitolo c'è 
                  ritagliato e incollato un pezzetto di canzone, una di quelle 
                  belle e buone e giuste di una volta - io, bastardo, li ho stracciati 
                  e sostituiti con schegge di tutt'altra musica che ascolto adesso: 
                  Thollem McDonas, Achref Chargui, Francesco Guerri, Blutwurst. 
                  E funziona, funziona, perdio se funziona.  
                  
                   
                  Terzo colpo. 
                  Il terzo colpo non è un colpo, piuttosto una raffica: 
                  Indispensabile esce a fine 2019 per Tipografia Helvetica 
                  (€ 18, www.tipografiahelvetica.ch) 
                  ed è una versione nuova di un libro scritto da Marco 
                  quindici anni fa e da tempo ormai introvabile. Allora si chiamava 
                  Pillole situazioniste e neanche allora era un manuale 
                  di saggezza, o un libro di profezie. Così come ci sono 
                  in giro ritrattisti capaci di raccontarti a filo di matita, 
                  ecco un ritrattista capace di assemblare degli arcimboldi ritagliando 
                  le frasi dei libri: quindi Wilhelm Reich, Theodor Adorno, Ivan 
                  Illich più una manciata d'altri pensatori e filosofi 
                  e visionari fino a Hakim Bey tutti raccontati a frammenti, a 
                  ciascuno i suoi. Vedo che qualche riga fa ho scritto versione 
                  “nuova” ma la parola non mi piace: avrei potuto 
                  scegliere altri aggettivi tipo versione “diversa”, 
                  “truccata”, “remix”, “riveduta-e-corretta”, 
                  “aggiornata” andandoci ogni tanto vicino sì 
                  ma senza fare mai centro. Se “Indispensabile” fosse 
                  musica sarebbe press'a poco come le Quattro Stagioni ricomposte 
                  da Max Richter, uno che ha lavorato sodo e duro di guantoni 
                  e mazza da baseball e fiamma ossidrica e bisturi per far rivivere 
                  e ancora risplendere di luce propria negli anni Duemila il Prete 
                  Rosso veneziano. È una specie di mappa del tesoro, ecco, 
                  e penso che il libro possa essere davvero interessante ed utile 
                  per un lettore giovane e curioso: non dà consigli ma 
                  indicazioni, non spiega ma suggerisce interpretazioni, non insegna 
                  ma invita a ragionare. L'ho trovato una lettura interessante 
                  e illuminante anch'io che sono arrivato a scrivere le risposte 
                  nell'ultima colonna a destra dei questionari, quella riservata 
                  agli ultrasessantenni.  
                Marco Pandin 
                  stella_nera@tin.it 
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