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				 psichiatria 
                  
                Scuola e medicalizzazione 
                  
                di Chiara Gazzola 
                  
                La scuola italiana è ben lungi dall'essere una comunità educante. Tagli alle risorse e aumento di certificazioni dimostrano quanto le difficoltà espresse da ragazze/ragazzi vengano lette come sintomi di malattie e affrontate in termini medici e farmacologici. 
				 
                La verità è la menzogna più 
                  profonda. 
                  Friedrich Nietzsche 
				
                  La nostra epoca, a causa di una proficua pianificazione, è caratterizzata da un diffuso malessere esistenziale e dal dilagare di menzogne, indorate dal termine anglosassone fake news. 
Il trionfo del neoliberismo invade anche tutti i contesti educativi e formativi. La scuola, perdendo i valori pedagogici di attenzione ai diritti e ai bisogni, acquisisce peculiarità aziendali evidenziate da neologismi (debiti, crediti, profitto, competenze, ottimizzazione dei tempi, raggiungimento di risultati): i continui tagli alle risorse inducono a un'elevata competizione fra i plessi con “offerte formative” di addestramento al mercato del lavoro, test di valutazione standardizzati, abolizione di interdisciplinarietà ed elaborazione critica delle conoscenze.  
Nella scuola primaria, abolite le compresenze di insegnanti, l'approccio al sapere basato sulla ricerca è spesso sostituito da apprendimenti ottenuti in tempi ristretti e valutati attraverso quiz. Si innesca una concorrenzialità irrispettosa delle complessità tipiche dell'età evolutiva che produce ansia da prestazione e discriminazione fra chi emerge e chi è costretto nelle retrovie.  
La tendenza a svilire e soppiantare il sapere umanistico, pedagogia compresa, a favore di applicazioni tecnicistiche si origina dal criterio EBE (Evidence based education, “istruzione basata sull'evidenza”), orientamento ideologico nato in Inghilterra negli anno 1980-'90 sotto i governi Thatcher e Blair, con l'obiettivo di circoscrivere ogni specializzazione accademica all'interno di esigenze produttive. Depauperando la relazione educativa e i percorsi di crescita anche la libertà professionale dell'insegnante è minacciata da un'omologazione che produce un divario fra chi tira i remi in barca e chi sceglie di assumersi gravose responsabilità.  
Questo criterio trova coerenza in una selezione della popolazione scolastica, tanto che più si impoveriscono le risorse all'istruzione più aumentano le certificazioni (diagnosi neuropsichiatriche, BES - Bisogni Educativi Speciali, DSA - Disturbi Specifici dell'Apprendimento, cioè dislessie, discalculie ecc. che in Italia sfiorano il 4% della popolazione contraddicendo i riscontri della letteratura neuroscientifica: quanti i falsi positivi?). Si concretizza un'ingerenza delle istituzioni clinico-sanitarie su quelle scolastiche. Il determinismo organicista trova così una sponda fertile per diagnosticare e “curare” soggetti socialmente deboli, discriminando scelte di vita e vincolando approcci pedagogici. 
                Il coinvolgimento al sapere 
		        In alcuni progetti scolastici e nelle circolari ministeriali 
                  si riscontrano ripetutamente lemmi avvincenti, con un'insistenza 
                  tale da farli corrispondere ai loro significati opposti. Che 
                  senso ha la “soggettività” quando diventa 
                  specchio di imposizione di uniformità? È una menzogna 
                  affermare che il rispetto per le soggettività debba prevedere 
                  un Piano Didattico Personalizzato (PDP) in quanto l'attenzione 
                  alle singole esigenze dovrebbe essere intrinseca ad ogni relazione 
                  educativa, senza supporti vincolanti. I PDP inducono a ridurre 
                  le aspettative tramite strumenti compensativi e dispensativi, 
                  producono uno stigma che tramutano una difficoltà momentanea 
                  (ad es. la sofferenza dovuta a un trauma, a un lutto o altre 
                  esperienze infelici) in cronicità, cioè in un 
                  giudizio permanente.  
                  La correlazione fra basso rendimento scolastico e deficit intellettivo/disagio 
                  socio-economico è una forzatura ideologica: molte esperienze 
                  pedagogiche dimostrano che quando la relazione educativa sa 
                  offrire i giusti stimoli, senza imporre criteri formativi e 
                  valutativi, il coinvolgimento al sapere si ravviva spontaneamente. 
                  Eppure il basso rendimento scolastico viene spesso associato 
                  a “comportamenti non gestibili”, diventa cioè 
                  un sintomo da ricondurre a un deficit del bambino/a, deresponsabilizzando 
                  la didattica.  
                   La 
                  “disabilità intellettiva”, nomenclatura ereditata 
                  dal DSM-5 (manuale delle malattie mentali, quinta edizione) 
                  in sostituzione del “ritardo mentale”, copre il 
                  68,4% delle disabilità certificate.  
                  Nelle cartelle cliniche neuropsichiatriche si trovano espressioni 
                  come: deficit di felicità; scarso senso di colpa; difficoltà 
                  di codifica delle informazioni sociali; disordine dell'identità; 
                  carenza di adattabilità; reazione incontrollata di fronte 
                  alle frustrazioni; deficit di empatia; manifestazioni emotive 
                  povere/eccessive; propensione innaturale a lasciare la propria 
                  patria, quest'ultima dedicata a minori stranieri non accompagnati. 
                  C'è da stupirsi se il 12% delle certificazioni riguarda 
                  le nuove generazioni migranti? 
                  Minkowski definì l'anomalia come “un elemento di 
                  variazione individuale che impedisce a due esseri di potersi 
                  sostituire in modo completo”, proponendo un approccio 
                  filosofico in grado di superare la dicotomia sano/patologico 
                  per affermare quanto sia ipocrita l'imposizione di un giudizio 
                  conformante e quanto autoritario il voler ricondurre i comportamenti 
                  a una giustezza assoluta che faccia coincidere la normalità 
                  con la verità. 
                  Il tentativo di dare una codificazione scientifica alle anomalie 
                  di comportamento è vecchio quanto la psichiatria ma, 
                  essendo questo un ambito prettamente culturale, le dimostrazioni 
                  si avvalgono di giudizi morali che diventano clinici per un 
                  atto di magia del marketing. Del resto è il DSM (il manuale 
                  delle malattie mentali redatto dalla psichiatria americana) 
                  a dichiararlo: nella sua quinta edizione del 2013 si legge: 
                  “Le cause organiche sono ancora sconosciute”. Non 
                  a caso la psichiatria è l'unica specializzazione medica 
                  che rende ufficiali le patologie soltanto quando ha a disposizione 
                  la molecola individuata come farmaco elettivo. Fra gli esempi 
                  più noti il metilfenidato (MPH), brevettato nel 1954 
                  dalla Ciba-Geigy; negli anni '70 negli USA vengono diagnosticati 
                  150.000 casi di deficit attentivo; nel 1980 il DSM-III include 
                  questa patologia (ADD), da curare con MPH, alla quale nel 1994 
                  il DSM-IV aggiunge l'iperattività (ADHD). Allargati i 
                  criteri diagnostici, nel 1998 si raggiungono i 6 milioni di 
                  minori curati con una sostanza che tuttora l'OMS classifica 
                  nella stessa tabella delle molecole psicoattive più nocive; 
                  gli ultimi dati delle prescrizioni americane si avvicinano agli 
                  11 milioni, a partire dai 2 anni di età, ma le cifre 
                  si fanno via via imprecise a causa della tendenza a descrivere 
                  comorbidità (diagnosi multiple) con conseguente cocktail 
                  farmacologico. 
                Effetti collaterali molto gravi 
		        Il giro d'affari degli psicofarmaci è talmente elevato che i bilanci delle case produttrici preventivano cause legali e risarcimenti. Questa tendenza è esportata in molti Paesi nonostante aumentino le voci critiche della pediatria, della biologia e della pedagogia; in Italia l'ADHD funge da spartiacque per altre certificazioni, i questionari per lo screening - rinnegati dai medesimi autori dopo anni di diffusione - nei documenti ufficiali di casa nostra sono considerati “strumenti oggettivi”. I fautori della sperimentazione (screening nelle scuole) dei primi anni 2000, che ha riportato nelle farmacie il MPH, sono tuttora i responsabili di Linee guida, Protocolli, Registri dove si afferma che “la mancata disponibilità di interventi psico-educativi non deve essere causa di ritardo nell'inizio della terapia farmacologica”.  
Il Registro ADHD è obbligatorio dopo la declassazione del farmaco, ma paradossalmente nel Registro non vengono monitorati tutti i minori ai quali viene prescritto, ma soltanto quelli sottoposti anche a terapia psico-educativa (“trattamento combinato”). In attesa dei dati completi, ci sono pressioni sul Ministero affinché tale Registro venga abolito. 
Tutti i dati sul consumo di psicofarmaci in età pediatrica rilevano un aumento esponenziale: l'European Journal of Neuropsychopharmacology, limitatamente agli antidepressivi, denuncia un 40% di incremento in Europa fra il 2005 e il 2012; altri studi confermano questa realtà specificando quanto le percentuali siano sottostimate a causa del ricorso a prescrizioni private o ad acquisti via internet. Queste molecole assunte nell'età evolutiva producono effetti collaterali molto gravi e ledono gli ormoni della crescita; le conseguenze delle cure ormonali supplettive sono ancora poco documentate dalla letteratura medica. 
Mentre la verità sui risvolti medicalizzanti ha ancora lati oscuri, raccogliamo le menzogne dei responsabili dei protocolli italiani sull'ADHD quando affermano: “Gli effetti indesiderati sono modesti e facilmente gestibili”, discostandosi nettamente dai giudizi della Food & Drug Administration quando elenca: crisi maniacali e depressive con tentativi di suicidio, gravi affezioni cardiache, diabete, ictus e morte improvvisa. 
Le circolari del Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca (Miur) identificano le istituzioni scolastiche come “comunità educanti”, ma se così fosse sarebbero il luogo privilegiato dell'incontro, del dialogo, della scoperta, della creatività dove l'interscambio di dubbi, riflessioni e progettualità non riproponga la disparità verticistica fra chi sa e chi non sa. Luoghi dove educare (nell'etimologia del tirar fuori, stimolare) ed esperire siano una modalità consolidata che, in prospettiva, possa fungere da prevenzione alle difficoltà senza tradurle in “disturbi comportamentali”.  
Il dialogo è l'ennesima menzogna se manca la capacità di ascolto e di attenzione ai bisogni. Codificare i conflitti attraverso le categorie cliniche del patologico è il fallimento della relazione: relazione significa fenomenologia, la scommessa meno scontata, quella che parla il linguaggio delle esperienze e del relativismo per antonomasia, l'unica a restituire partecipazione attiva. 
Nella scuola pubblica la carenza di spazi di riflessione procura disorientamento: carichi di lavoro elevati, burocrazia, difficoltà a cogliere le priorità nel sovrapporsi di impegni che tolgono energie da dedicare all'insegnamento e alla relazione. Il CESP (Centro studi per la scuola pubblica), cogliendo questa esigenza, organizza corsi di aggiornamento per offrire riflessioni culturali, parallelamente all'attività sindacale COBAS. Fra gli argomenti quello della medicalizzazione degli studenti: in attivo una quindicina di seminari/laboratori molto partecipati, occasioni di interscambio per approfondimenti importanti anche per chi interviene nelle relazioni introduttive. 
La difesa dell'autodeterminazione nella relazione educativa e la responsabilità nei confronti delle nuove generazioni ci spinge a svelare le gabbie di menzogna o i “regimi di verità” per dirlo con M. Foucault; rincorrere stereotipi è una deriva disumanizzante. La memoria ci ha tradito a tal punto da voler, a nostra volta, tradire l'infanzia?  
                Chiara Gazzola 
Nella consapevolezza di aver sintetizzato alcuni passaggi, rimando a: C. Gazzola, S. Ortu, Divieto d'infanzia. Psichiatria, controllo, profitto, BFS, Pisa 2018, pp. 94, € 10,00, seconda edizione aggiornata; note e bibliografia in: http://www.bfs.it/edizioni/files/prefazioni/233.pdf 
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