Rivista Anarchica Online





Un atlante del mondo sommerso

intervista a Pablito el Drito

Ci sono storie che nessuno racconta e molto spesso le cose non scritte e non dette sono quelle che riguardano la maggior parte delle persone. Di sostanze illegali se ne parla sempre in modo superficiale, soprattutto sui grandi media e troppo spesso la narrazione mainstream è più tossica delle sostanze vendute sul mercato illegale. L'antropologia del contemporaneo, le etnografie nelle zone grigie delle nostre metropoli ci aiutano a riorientarci e a capire meglio fenomeni nascosti sotto la coltre del perbenismo o peggio della malafede.
Nel mio lavoro su I dannati della metropoli (nuova edizione economica 2020, Milieu edizioni) cerco di capire meglio, grazie ai protagonisti spesso invisibili dei margini delle nostre città, come si alimenta la città illegale e come è labile quel confine che ci vogliono far credere monolitico tra città legale e illegale.
Sono convinto che esistono da sempre due città, una legale e l'altra illegale le cui frontiere si spostano a seconda delle epoche storiche e delle necessità economiche contingenti. Spesso gli abitanti di queste due città si sfiorano, interagiscono, confliggono. Sulle loro contaminazioni si costruisce il tessuto sociale. Quasi sempre gli abitanti della città oscura non hanno voce sui media ufficiali: sono un numero, una statistica o un titolo di giornale. Per questo trovo importanti quei lavori che nascono dalla necessità di far parlare i protagonisti del disagio e della devianza che vivono e attraversano le nostre metropoli. Nel 2019 Agenzia X, editore da sempre attento alle culture underground e alle minoranze metropolitane e non solo, ha dato alle stampe un libro particolare e forse unico nel suo genere: Diversamente pusher di Pablito el Drito. Un libro potente che potremmo considerare un lavoro di etnografia urbana tra spacciatori DIY, o comunque sicuramente nemici del grande mercato della droga gestito dalle mafie locali o internazionali, una sorta di atlante “autogestito” dello spaccio di sostanze.
L'autore non è un antropologo e non si è posto tutte le problematiche metodologiche etnografiche tipiche di lavori non egemonici di campo, ma ha lavorato con molta attenzione per consegnare a noi lettori un testo serio e pieno di informazioni difficili da reperire su un mondo nascosto, per questo ho deciso di incontrarlo per fargli qualche domanda sul suo lavoro, che già dalle prime pagine mi è sembrato molto convincente: “Viviamo in una società sempre più drogata, lo dicono le statistiche. L'addiction di questi tempi è una norma più che un'eccezione. C'è chi ogni giorno fuma due pacchetti di sigarette, ingurgita cinque o dieci caffè e tracanna con nonchalance quattro Negroni. Chi la mattina va di antidepressivi e la sera di benzodiazepine. Chi assume Viagra o Cialis per migliorare le proprie performance sessuali. Chi fatica tutto il giorno e non vede l'ora di buttarsi sul divano con un joint in bocca. Chi si bomba di steroidi o anabolizzanti per diventare più muscoloso. Ci sono insospettabili impiegati che usano eroina da anni. Aviatori che volano per trentasei ore filate usando pillole up e poi, rientrati alla base, assumono pillole down. Manager, ma pure artigiani, cuochi e baristi (nella mia esperienza i più accaniti) che si fanno di coca fin dal mattino, lavorano in maniera ossessiva per dodici-sedici ore e poi spengono il cervello sovraeccitato a suon di ansiolitici.”

Cronache di una società drogata

Andrea – Prima di entrare nel cuore del libro vorrei porti qualche domanda specifica su cosa ti ha mosso per iniziare a scrivere e se c'è un collegamento diretto ai tuoi lavori precedenti che analizzavano il mondo dei rave.
Pablito – Questo è un libro che avrei voluto scrivere da sempre, per raccontare uno spicchio di realtà invisibile ai più. Mi è stato ispirato dalla lettura di Evasioni e rivolte di Emilio Quadrelli e da Cercando rispetto di Philippe Bourgeois. Il mio ultimo libro in qualche modo è collegato ai miei primi due, anche se è diverso in quanto non è né un romanzo come era Once were ravers, né un libro di storia orale come Rave in Italy. Diversamente pusher è infatti un'inchiesta sullo spaccio DIY.

Altra cosa che mi interesserebbe molto sapere è il metodo che hai utilizzato per le interviste, se erano amici o sconosciuti, se vi siete incontrati per anni o se sono interviste fatte con un paio di incontri, il grado di condivisione ed empatia, se sono state interviste scritte o registrate, auto-narrazioni o racconti che hai sollecitato, insomma come forse sai credo che il metodo in un'indagine sociale soprattutto nelle zone grigie delle nostre metropoli sia fondamentale e che i mezzi che si utilizzano fanno la differenza sul campo, se ti devo raccontare una storia di illegalità davanti a un registratore è una cosa, se sei uno sconosciuto o se abbiamo amici in comune. Perché una cosa è certa: a seconda delle condizioni cambia il racconto.
Quel che posso dire è che quasi tutti i pusher già mi conoscevano come autore di libri “scivolosi”. Ne conoscevo, almeno di vista, meno di metà. Gli altri mi sono stati indicati da forti consumatori di sostanze che erano loro clienti e di cui mi hanno garantito professionalità e disponibilità. Le interviste sono state realizzate vis-à-vis registrando gli incontri. Alcuni degli intervistati si sono aperti senza difficoltà, altri hanno richiesto chiarimenti e garanzie anche prima dell'incontro fisico. Spesso gli incontri hanno richiesto qualche ora, e in un caso sono stati necessari ben due giorni. All'inizio avevo raccolto venti interviste, poi ne ho scartate otto. Alcune storie infatti erano vicende troppo particolari per essere pubblicate, potevano smascherarne il protagonista. Devi pensare che alcuni dei pusher sono tuttora in attività e che alcuni sono ancora punibili per i fatti che mi hanno raccontato. Per lo stesso motivo ho dovuto adottare molte tecniche degne di una spy story (crittografia, nomi fittizi, incontri in luoghi neutri, etc.)

Entriamo nel vivo del libro, siamo una società drogata e questo lo sappiamo. Usi e abusi di sostanze sono all'interno di ogni classe sociale. Cosa significa vendere ma essere contro il grande mercato della droga?
Significa non comprare dalle mafie. Le possibilità sono varie. Autoprodurre per vendere, contrabbandare direttamente dai luoghi di produzione e vendere, o rubare a chi produce e vendere. O una miscela delle tre cose. Ovvio che questo discorso non funziona con tutte le sostanze: cocaina ed eroina sono monopolio delle grandi corporation della droga. A loro è difficile rubare la merce, il rischio è la vita. Se le vuoi vendere le compri da loro, e in questo caso il discorso etico contro il dominio, la sopraffazione e la violenza non è fattibile. Viceversa con quasi tutte le altre sostanze può funzionare, almeno in una certa misura.

Ma se le sostanze sono vendute da un mercato “autogestito” fanno meno male?
Le sostanze fanno male, sempre. Però se sono pure e usate nelle giuste modalità e quantità sicuramente sono meno pericolose. In generale più alta è la consapevolezza da parte dei consumatori, più si riduce il rischio. Per questo sono molto importanti tutte quelle esperienze autogestite di drug-checking organizzate dal basso, penso al progetto Lab57 a Bologna. A Lab57 si rivolgono i consumatori, non i pusher, che vogliono sapere se quello che han comprato è quel che dovrebbe essere o meno. I pusher seri quando trattano certe sostanze (trip e pastiglie in particolare) possono accedere a database che catalogano questi prodotti in base al marchio che riportano (https://www.ecstasydata.org), indicandone il contenuto in base ad analisi quantitative o qualitative.

La droga, soprattutto se pesante e assunta in giovane età, non è un addormentatore sociale?
Certamente la droga ha nella maggior parte dei casi lavorato contro il cambiamento sociale, soprattutto gli oppiacei. Però ci sono state epoche in cui un altro tipo di sostanze, penso all'ecstasy negli anni '90 e alla marijuana e all'Lsd negli anni '60/'70, hanno creato o comunque alimentato un immaginario di libertà, rivolta e comunione universale. Difficile però calcolare in maniera scientifica se e come l'uso di queste sostanze abbia impattato sulla società.

Un qualcosa che fa molto comodo a chi ci vuole nei ranghi dei bravi cittadini silenti e sottomessi?
Nell'attuale società della prestazione e dell'ansia trovano maggior diffusione droghe che sono gestite principalmente dallo stato e dalla mafia. Ti faccio qualche esempio: ci sono milioni di persone che usano ansiolitici, e molti di questi sono venduti in farmacia senza ricetta, o con ricette scadute o timbrate più volte. È una situazione ben chiara, su cui non c'è interesse ad intervenire. Per esempio, in carcere l'uso di psicofarmaci è di fatto incentivato. Anche il metadone, succedaneo degli oppiacei, viene somministrato ai prigionieri su richiesta, così che non si agitino troppo.
La mafia ha il monopolio su cocaina e eroina, che come dice uno degli intervistati “sono droghe altamente infognanti”. La cocaina viene molto spesso usata per essere efficienti più che per divertirsi, per questo è così richiesta in una società competitiva e prestazionale come la nostra. Ha una diffusione enorme e il suo consumo è spesso associato all'alcol. La usa gente che lavora, per correre come criceti sulla ruota. I consumatori di coca spesso non la considerano neanche una droga, perché la sostanza dà loro l'illusione di essere efficienti, naturali e positivi. L'eroina invece è un veleno che rende passive le persone. Sfortunatamente non solo non è mai passata di moda, ma ora la usano anche i giovanissimi. Il triste aumento delle morti per overdose ne è una testimonianza evidente.
Negli Stati Uniti gli oppiacei sintetici, prescritti legalmente, hanno ucciso già centinaia di migliaia di persone, di ogni età. Considera però che in Italia, la sostanza che uccide di più è l'alcol, che fa 43 mila morti all'anno, una cosa che non si dice mai quando si parla di sostanze. Eppure la maggior parte delle persone non considera l'alcol una droga.

La storia o le storie che ti hanno colpito di più?
Certamente quella che parla del dark web. Un intervistato mi ha raccontato il perché del suo passaggio dal mondo del “pusheraggio” classico a quello informatico peer-to-peer. Mi ha convinto del fatto che questo tipo di canali di acquisto e vendita rivoluzioneranno il metodo di lavoro del piccolo e medio spacciatore, garantendogli più sicurezza e più guadagni. Prima lo spaccio era territorializzato: dovevi agganciare qualcuno nelle piazze e risalire la catena per spuntare quantità maggiori a prezzi minori. Tutto ciò avveniva fisicamente, al centro c'erano i corpi, e poteva essere anche più pericoloso (risse, “pacchi”, furti, coltellate, etc.). Invece utilizzando sistemi anonimi su internet, criptovalute e buste anonime che viaggiano tramite sistemi postali, si ha un qualcosa di fluido, deterritorializzato, che rompe con le logiche gangsteristiche e territoriali, conducendo invece a una visone chiaramente anarco-capitalista della cosa. I market sul dark web sono frequentati da centinaia di migliaia, forse milioni di persone, che hanno la possibilità di accedere ai prodotti di decine di migliaia di fornitori diversi e di dare feedback sulla qualità delle sostanze e del servizio, esattamente come avviene nei market legali come eBay o Amazon.

Andrea Staid