Rivista Anarchica Online


biografie

Vivere da anarchici

di Gianpiero Landi

La vita importante e controversa di Armando Borghi, che è stato segretario dell'Unione Sindacale Italiana nella stagione decisiva della grande guerra e del biennio rosso. Antifascista della prima ora, esule in Francia e negli USA, rientrato in Italia dopo la seconda guerra mondiale. Eccezionale conferenziere, redattore del settimanale “Umanità Nova”, spesso al centro di polemiche per le proprie idee e per le svolte. A cinquant'anni dalla morte pubblichiamo la ricostruzione di un nostro collaboratore, anima della Biblioteca Libertaria che a Castel Bolognese da decenni è un punto di riferimento per la memoria, gli studi e la riflessione pubblica sulla storia e il pensiero anarchici e libertari.


Genova, maggio 1962 - Manifestazione antifranchista e in solidarietà con il
popolo spagnolo organizzata dalla Federazione Anarchica Italiana. Sul palco,
da sinistra: Umberto Marzocchi, Armando Borghi, Federica Montseny

Quasi una premessa

Vorrei partire da un ricordo personale. Non ho conosciuto di persona Armando Borghi. Quando Borghi è morto, il 21 aprile 1968, io avevo 14 anni (mi mancavano alcuni mesi per compiere i 15). Avevo all'epoca un timido interesse per la politica, ma le mie idee erano parecchio confuse. Di anarchici e anarchia sapevo poco o niente. Anche se ero a conoscenza del fatto che c'erano dei vecchi anarchici nella mia piccola città, non li conoscevo e non li frequentavo. Del resto, venivo da una famiglia di destra. Qualche volta mi ero fermato a leggere «Umanità Nova» affissa nella bacheca della FAI, ma non mi aveva colpito granché. Mi sembrava tutto molto vecchio e poco interessante: i contenuti, lo stile, perfino la grafica.
Ricordo, però, il giorno del funerale di Borghi. Parlo del funerale vero, svoltosi a Castel Bolognese e conclusosi con la tumulazione nel locale cimitero (una prima commemorazione si era tenuta a Roma). Quel giorno, fin dal mattino, si era diffusa tra i miei concittadini una discreta eccitazione. Passava di bocca in bocca la notizia che era morto Armando Borghi, un anarchico famoso, e che ci sarebbe stato il funerale, con molti suoi compagni venuti da tutta l'Italia. Io non sapevo niente di Borghi, anche se ero un po' curioso non presi parte all'evento. In seguito, ovviamente, me ne sono molto rammaricato.
Qualche settimana dopo, nel maggio 1968, cominciai a svolgere attività politica, legandomi al Movimento studentesco e ai gruppi della sinistra più radicale. A partire dal 1971 iniziai a frequentare i vecchi anarchici di Castel Bolognese e, tramite loro, il movimento libertario. Divenni anarchico. Uno dei primi libri che lessi era Mezzo secolo di anarchia di Borghi, che mi fece una grande impressione. A quel punto, avrei dato qualunque cosa per conoscere l'autore, ma era ormai troppo tardi. Il nostro è stato un caso tipico di “incontro mancato”. Se Borghi fosse sopravvissuto qualche anno, probabilmente sarei andato a trovarlo, a costo di fare un viaggio apposta a Roma.
Ma se non ho avuto la fortuna di conoscerlo di persona, in compenso ho poi raccolto, letto e studiato i suoi testi e ho cercato di ricostruire aspetti e fasi della sua biografia. Potrei dire che a Borghi ho dedicato una parte significativa della mia attività di archivista e di libero ricercatore in campo storiografico, a partire dalla mia tesi di laurea, discussa nell'ormai lontano 1980. Quindi, forse, non è del tutto fuori luogo che sia io a parlarvi di Borghi oggi, in questa sala. Se non altro, per questa prolungata dedizione, protrattasi per almeno quattro decenni.

Lo stato degli studi

Prima di entrare nel merito della biografia di Borghi, credo opportuno accennare brevemente allo stato degli studi che lo riguardano. Qualcuno potrebbe pensare che, nel panorama degli studi sull'anarchismo italiano, Borghi abbia avuto un trattamento privilegiato da parte sia degli storici di professione che dei militanti libertari. Alla sua figura sono stati dedicati ben due Convegni di studi, il primo a Bologna nel 1978 [Giornata di studi su “Armando Borghi a dieci anni dalla morte”, promossa dal Centro Studi Libertari “Giuseppe Pinelli” di Milano (Bologna, 12 novembre 1978)] e il secondo a Castel Bolognese nel 1988 [Convegno di studi su “Armando Borghi nella storia del movimento operaio italiano ed internazionale”, organizzato dalla Biblioteca Libertaria “Armando Borghi” di Castel Bolognese. Gli Atti del Convegno, tenutosi a Castel Bolognese il 17 e 18 dicembre 1988, sono stati pubblicati integralmente in un numero monografico del “Bollettino del Museo del Risorgimento” (Bologna, a. XXXV, 1990)].
Sono state pubblicate monografie di un certo impegno da parte di Maurizio Antonioli (Armando Borghi e l'Unione Sindacale Italiana) [1990] e di Emilio Falco (Armando Borghi e gli anarchici italiani (1900-1922)) [1992]. Vittorio Emiliani gli ha dedicato un profilo nel suo libro Gli anarchici [1973]. Giampietro “Nico” Berti lo ha inserito, con un intero capitolo, nella sua monumentale opera su Il pensiero anarchico [1998], promuovendolo così implicitamente al rango di teorico. Esistono numerosi altri saggi, articoli, interventi, schede in dizionari biografici dedicati specificamente a Borghi. Senza dimenticare che riferimenti più o meno ampi all'attività da lui svolta si trovano in molti lavori sulla storia del movimento operaio e socialista italiano e internazionale.
A Castel Bolognese, sua città natale, esiste fin dal 1973 una Biblioteca Libertaria – la quale, nel 1985, ha assunto la forma giuridica di cooperativa e la denominazione definitiva di Biblioteca Libertaria “Armando Borghi” – che ha contribuito a mantenere vivo l'interesse nei suoi confronti e ha promosso iniziative e ricerche. La Biblioteca conserva tra i propri fondi documentari un “Archivio Armando Borghi”, creato nel 1982 e poi sempre arricchito, allo scopo di salvaguardare dalla dispersione la documentazione che lo riguarda (libri e opuscoli, giornali, manoscritti, lettere, articoli, ritagli, fotografie, registrazioni foniche). L'Archivio ormai da tempo costituisce una raccolta di fonti di primaria importanza per ricerche sul personaggio e sul contesto in cui si è svolta la sua attività politica e sindacale. Merita di essere ricordato che nel centro storico di Castel Bolognese esistono anche una Piazza Armando Borghi e un Giardino Armando Borghi, quest'ultimo con un monumento al centro – ideato e realizzato dallo scultore e ceramista Angelo Biancini – che riporta la dedica “Ad Armando Borghi un galantuomo che ha onorato l'Italia”. Si tratta in questo caso di iniziative istituzionali, dovute alla sensibilità e alla volontà di amministratori comunali e privati cittadini, che gli anarchici locali non hanno sollecitato ma hanno accolto con favore. Iniziative che dimostrano, in ogni caso, come la figura di Borghi trovi apprezzamento anche in ambiti molto più vasti, e talvolta idealmente e politicamente distanti, rispetto al mondo libertario.
Eppure, anche di fronte a una tale messe di iniziative e di studi, non si può non notare che non esiste a tutt'oggi una completa biografia scientifica di Borghi, come quella ormai classica di Pier Carlo Masini su Carlo Cafiero [1974] o le monografie che ci ha dato più recentemente Giampietro Berti su Francesco Saverio Merlino [1993] e su Errico Malatesta [2003]. Resta da fare sul piano della ricerca, alcuni periodi della vita di Borghi sono ancora da approfondire. Mi riferisco in particolare al suo periodo americano, quello finora meno studiato.
Ma quali sono le ragioni per occuparci di Armando Borghi oggi, a cinquant'anni dalla sua morte? Intanto, direi, per l'impatto che egli ha avuto non solo sull'anarchismo, ma più in generale nella storia d'Italia. A parte il caso di Malatesta, figura di statura internazionale, tra gli anarchici italiani solo Pietro Gori e Armando Borghi hanno avuto per un periodo relativamente lungo un ruolo di rilievo nelle cronache nazionali, fino a essere conosciuti dal grande pubblico, anche fuori dall'ambito della sinistra. La popolarità di Gori è legata soprattutto al suo essere “il poeta dell'anarchia”, il difensore degli oppressi; deriva quindi da una immagine romantica che ha avuto una larga presa fra i ceti popolari e a cui non sono rimasti insensibili anche molti avversari. L'importanza di Borghi è dovuta invece eminentemente a ragioni politiche: al ruolo politico decisivo da lui esercitato in alcuni momenti cruciali della storia nazionale e internazionale, come vedremo più avanti.

Mezzo secolo di anarchia

Armando Borghi nasce a Castel Bolognese, in provincia di Ravenna, il 6 aprile 1882. Cresce in una famiglia di condizioni economiche modeste sebbene per l'epoca relativamente agiate, che aveva dato il suo contributo di sangue alle lotte risorgimentali. Il padre Domenico è un internazionalista, passato come tanti altri della sua generazione dal mazzinianesimo al socialismo bakuninista, amico in gioventù di Andrea Costa prima della sua elezione a deputato. Come militante anarchico non è molto attivo, ma ha solide convinzioni ed è sempre pronto alla solidarietà verso i compagni. La madre, Antonia Ortolani, non è impegnata direttamente in politica ma apprezza gli ideali umanitari del marito e del figlio. Sarà sempre solidale con quest'ultimo e con tutti coloro che, a causa delle loro opinioni, finiscono per essere vittime della repressione statale.
A parte l'ambito familiare, un ruolo nelle sue prime scelte di vita lo esercitano sicuramente i compagni del padre, particolarmente numerosi nella città natale. A distanza di molti anni, lo stesso Armando scriverà: “Fra Imola, socialista, e Faenza, repubblicana, Castel Bolognese era centro di anarchici” [Mezzo secolo di anarchia, p. 20]. Crescendo in questo ambiente, non stupisce che Armando divenga anarchico in giovanissima età. Nel 1898 prende parte ai moti per il pane che si svolgono a Castel Bolognese come in molte altre località italiane, assaltando i forni e lanciando sassi contro i carabinieri, assieme a una folla esasperata e affamata.
Dopo i moti, per meglio sfuggire alla polizia, si reca a Imola e poi a Bologna, dove a distanza di poco tempo si trasferiscono definitivamente anche i genitori. A partire dal 1901, approfittando del nuovo clima di relativa maggiore libertà instaurato dal ministero Zanardelli-Giolitti, si impone rapidamente come uno degli esponenti di maggior rilievo del movimento anarchico in Emilia-Romagna. A lui soprattutto si deve la riorganizzazione locale del movimento con la ricostituzione di un vero e proprio Gruppo anarchico a Bologna. Dotato di notevoli qualità oratorie, inizia a parlare nei comizi e partecipa a manifestazioni nella regione. Inizia una militanza che durerà poi per quasi 70 anni, e che si concluderà solo con la sua morte.
Schematizzando notevolmente si può suddividere la biografia politica di Borghi in almeno quattro grandi periodi.

- Il primo inizia nell'ultimo scorcio dell'Ottocento e si conclude nel 1907.
- Il secondo periodo va dal 1908 all'avvento del fascismo, ed è contrassegnato da un avvicinamento al sindacalismo rivoluzionario e dall'impegno a tempo pieno nelle organizzazioni sindacali.
- Il terzo periodo è quello dell'emigrazione antifascista, prima brevemente in Germania e Francia, e poi definitivamente negli Stati Uniti.
- Il quarto e ultimo periodo è rappresentato dal secondo dopoguerra. Inizia con il ritorno di Borghi in Italia nel 1945 e si conclude con la sua morte nel 1968.

Per ragioni di tempo tratterò molto velocemente il primo periodo, mi soffermerò un po' più a lungo su alcuni momenti e aspetti del secondo e terzo periodo, e dedicherò infine buona parte della mia riflessione al quarto e ultimo periodo, che è quello anche più problematico e tuttora discusso dell'attività di Borghi.

Tra fine '800 e inizio '900

Sono gli anni della formazione e dell'inizio di un'attività politica sempre più incessante e frenetica, che lo mette presto in evidenza e attira su di lui le prime persecuzioni poliziesche, che continueranno negli anni successivi fino a renderlo uno dei “sovversivi” più colpiti dell'Italia giolittiana.
Sul piano teorico, in quegli anni Borghi, pur sensibile ai temi della propaganda di Malatesta a favore dell'organizzazione, si avvicina piuttosto alle posizioni prevalenti negli ambienti comunisti anarchici antiorganizzatori, mostrandosi critico sia nei confronti degli individualisti puri (di cui condanna le estremizzazioni amoraliste e borghesi), sia nei confronti di quegli anarchici organizzatori che portavano alle estreme conseguenze il metodo organizzativo, sfociando a suo giudizio in forme dogmatiche e autoritarie.
Lo attestano in particolare gli articoli pubblicati in qualità di redattore del settimanale “L'Aurora” di Ravenna (1906-1907) e l'opuscolo – di fondamentale importanza per stabilire le posizioni politiche di Borghi in quel periodo – Il nostro e l'altrui individualismo (1907). Per tutta questa fase, Borghi manifesta un limitato interesse per il sindacalismo, sia da un punto di vista teorico che pratico, e non partecipa direttamente alla vita delle organizzazioni operaie.

Dal 1908 all'avvento del fascismo

Sul piano storico rappresenta sicuramente la fase più rilevante dell'attività di Borghi, per il ruolo di primo piano da lui esercitato all'interno delle lotte sociali e per la sua influenza nelle dinamiche politiche generali dell'epoca. Per anni Borghi dedica la maggior parte delle proprie energie all'organizzazione operaia, vista come strumento principale, anche se non esclusivo, per creare la coscienza di classe, giungere alla rivoluzione sociale e instaurare il comunismo libertario.
In particolare Borghi, pur non essendo presente al Congresso di fondazione a Modena nel novembre 1912, si impegna a favore dell'Unione Sindacale Italiana e ne regge le sorti, in qualità di Segretario generale, per un lungo periodo che va dal settembre 1914 fino al 1921. Per l'USI, il periodo che va dalla sua fondazione all'avvento del fascismo rappresenta – fuori di ogni dubbio e senza possibilità di smentita – il più importante della propria storia, e quella fase è indissolubilmente legata alla figura di Armando Borghi. Nessun altro potrebbe realmente pretendere di avere esercitato un ruolo altrettanto importante all'interno dell'USI nel suo primo decennio di vita.
È un periodo di attività frenetica e di eventi di enorme portata che si succedono con grande velocità. Lo si può suddividere a sua volta in tre sottoperiodi: a) dal 1908 alla settimana rossa; b) la battaglia contro gli interventisti e la Prima guerra mondiale; c) il primo dopoguerra fino al fascismo.

Contro l'interventismo

Tralasciando tutto il resto, mi limiterò a parlare della battaglia contro gli interventisti.
Nel 1914, con lo scoppio della guerra in Europa, si spezza l'unità dei partiti e delle organizzazioni di sinistra realizzatasi nel nostro paese nel corso della “Settimana rossa”. Anche fra i sindacalisti rivoluzionari fanno breccia le posizioni interventiste. Borghi si schiera decisamente contro e nel Consiglio Generale dell'USI, che si tiene a Parma il 13-14 settembre 1914, è lui soprattutto a opporsi alle tesi interventiste dei fondatori e dirigenti più prestigiosi dell'organizzazione. Tullio Masotti e Alceste De Ambris, che presenta un proprio ordine del giorno, svolgono le loro argomentazioni con la consueta abilità. Michele Bianchi e Filippo Corridoni, in rappresentanza dell'Unione Sindacale Milanese, esprimono posizioni analoghe. Cercano di fare valere l'enorme prestigio che deriva loro da una lunga militanza e da indubbie capacità politiche e organizzative.
Ma quasi nessun altro mostra di condividere le loro nuove posizioni. Borghi si assume l'incarico di controbatterle in prima persona. Sull'ordine del giorno presentato da Borghi (e lievemente emendato da Alberto Meschi), rigorosamente antimilitarista e antibellicista, confluiscono le adesioni e i voti della maggioranza, che intende ribadire così i principi a cui l'USI si è fino a quel momento uniformata. Votano per l'o.d.g. Borghi i rappresentanti delle Camere del Lavoro sindacaliste di Bologna, Spezia, Piacenza, Modena, Carrara, Ferrara, Bergamo e Fano. Per l'o.d.g. De Ambris: Parma, Milano e Castrocaro. Per coerenza con l'esito del voto, forse con la speranza di essere riconfermato in mancanza di alternative, il Comitato Esecutivo presenta le proprie dimissioni. Comprendendo l'inopportunità di lasciare i massimi incarichi direttivi ai rappresentanti di una linea politica sconfessata, il Consiglio le accetta. La nuova maggioranza dell'USI, in cui ormai gli anarchici hanno un ruolo determinante, sposta la sede nazionale a Bologna e nomina Borghi segretario generale dell'organizzazione. Da quel momento in poi, e fino allo scioglimento ad opera del fascismo, sarà proprio Borghi il principale artefice della linea politica dell'USI.
Tenendo presente la complessità della situazione storica in cui si collocava, l'importanza delle decisioni prese dal Consiglio Generale dell'USI fu indubbiamente rilevante.
L'atteggiamento contrario all'intervento dimostratosi maggioritario nell'organizzazione sindacalista, esercitò una sicura influenza sullo stesso Partito Socialista, già consapevole del fatto che tali erano i sentimenti prevalenti nelle masse contadine e operaie del paese. Il PSI venne così attestandosi, con alcune defezioni tra cui clamorosa quella di Mussolini, su posizioni neutraliste riassunte nell'ambigua formula “né aderire, né sabotare”. Rievocando la delicatezza della situazione, Borghi ebbe a commentare: “L'Unione sindacale italiana godeva di grande prestigio tra le masse d'avanguardia per le lotte combattute nelle varie località nei suoi due anni di vita rigogliosa e audace, per la campagna pro Masetti, e per la Settimana Rossa. In nessun sindacato sarebbe stata presa sul serio l'idea di “distaccarsi” dall'Unione dopo tanto affannarsi per l'unificazione. Uscirne noi personalmente equivaleva a lasciare mano libera a De Ambris e C. Se insieme coi repubblicani e coi socialisti bissolatiani, anche l'Unione sindacale italiana avesse aderito all'intervento, Mussolini avrebbe potuto esercitare una pressione formidabile sul Partito socialista, e, se non l'intero partito, larghe sezioni di esso, tanto fra i riformisti quanto fra i rivoluzionari, avrebbero aderito all'intervento. In conseguenza la Confederazione del Lavoro avrebbe fatto senza dubbio altrettanto” [Mezzo secolo di anarchia, pp. 156-157].
Sono valutazioni a mio avviso del tutto condivisibili sul piano storiografico. In quella circostanza, il ruolo di Borghi fu decisivo per le sorti dell'USI, ma ebbe un'influenza notevole anche sul resto della sinistra italiana e più in generale sulla politica del nostro paese. Quello snodo può essere considerato il capolavoro politico di Borghi, il momento in cui egli riuscì a influire maggiormente nella storia d'Italia. Ma anche altre sue scelte si rivelarono di notevole impatto.
A suo merito, possiamo ascrivere a lui principalmente il fatto che l'USI non si sciolse durante la guerra, nonostante la crisi in cui era precipitata. Inoltre, nel primo dopoguerra, il suo ruolo fu di notevole rilievo nella questione della adesione o meno alla Terza Internazionale. Borghi opterà piuttosto per l'adesione all'AIT, una nuova internazionale anarco-sindacalista creata a Berlino nel 1922 con il suo contributo.
Non meno importante, sul piano politico generale, fu la duplice lotta da lui condotta, da quel momento in poi, contro il fascismo e contro il bolscevismo. Non a caso, tra i militanti anarchici della sua generazione, fu uno dei più bersagliati e diffamati dai propagandisti, italiani e stranieri, degli opposti totalitarismi.

L'emigrazione antifascista

L'affermarsi della reazione fascista in Italia costringe Borghi – e con lui la sua compagna Virgilia d'Andrea – a trovare rifugio all'estero, all'inizio in Germania e in Francia, poi definitivamente negli Stati Uniti. I venti anni circa trascorsi in America si rivelano determinanti per una nuova evoluzione di Borghi, che rivisita criticamente la precedente esperienza sindacalista e se ne allontana definitivamente, per avvicinarsi alle posizioni antiorganizzatrici molto diffuse tra gli anarchici italo-americani, efficacemente espresse in quegli anni dalle colonne del periodico “L'Adunata dei Refrattari”. Sotto un certo profilo questa evoluzione può essere vista come un ritorno alle origini, alla matrice dell'anarchismo antiorganizzatore degli anni di apprendistato politico. Borghi diventa sempre più critico nei confronti del sindacalismo e si mostra tenace oppositore di ogni alleanza, sia con le correnti dell'antifascismo democratico, sia soprattutto con i comunisti.
Sul fronte unico proletario Borghi dissente da Malatesta (che è invece favorevole), perché a suo avviso non viene tutelata l'autonomia del movimento anarchico. Proprio su questo tema pubblica, nel 1927, l'opuscolo Gli anarchici e le alleanze. Per questo entra spesso in polemica con altri gruppi anarchici che si muovono su una diversa prospettiva politica, in particolare la corrente che fa riferimento a “Il Martello” di Carlo Tresca. Sempre nel 1927 pubblica il libro Mussolini in camicia, che suscita molto scalpore e ha una grande diffusione, con diverse traduzioni.
Si impegna nella campagna per Sacco e Vanzetti. A partire dal 1930 è costretto a vivere in clandestinità, e deve forzatamente ridurre la sua attività politica pubblica. Non rinuncia però a scrivere articoli, spesso pubblicati con pseudonimi, e a pubblicare libri e opuscoli. Nel 1933 muore la sua compagna, Virgilia d'Andrea, lasciandolo nella disperazione. Nel 1940, in seguito all'Alien Registration Act, Borghi deve uscire dalla clandestinità.
Il 30 novembre viene arrestato e incarcerato a Ellis Island insieme ad alcuni esponenti fascisti. Viene liberato dopo 4 mesi, grazie all'intervento di Arturo e Walter Toscanini e di Gaetano Salvemini, a cui è legato da personale amicizia. Nel luglio 1944 tenta inutilmente di fare ritorno in Italia avvalendosi del vecchio mandato di deportazione, ma ottiene un netto rifiuto dalle autorità americane. Può imbarcarsi solo nell'ottobre 1945, quando la guerra è finita già da alcuni mesi. A parte un periodo, tra il 1948 e il 1953, in cui tornerà in America, il resto della sua esistenza si svolgerà in Italia.

Il secondo dopoguerra

Quando Borghi arriva in Italia, pochi mesi dopo la fine della guerra, trova un paese e una situazione politica generale molto mutati rispetto all'epoca prefascista. Egli contribuisce alla difficile riorganizzazione del movimento anarchico svolgendo un'intensa attività. Partecipa a Convegni e riunioni e svolge un'azione di orientamento tramite la pubblicazione di articoli e opuscoli. Particolarmente legato alla Federazione Anarchica Romagnola, collabora con il risorto periodico “L'Aurora” di Forlì (1944-1947). Si impegna soprattutto nella propaganda orale, con numerosissimi comizi e conferenze, spesso con contraddittorio, in località piccole e grandi di tutte le Regioni, ricevendo ovunque una calorosa accoglienza e riempiendo sale e piazze. I tour di conferenze, in genere, sono organizzati da Pio Turroni, suo stretto collaboratore (insieme al forlivese Attilio Bazzocchi).
Un'interessante testimonianza su questo periodo molto intenso e frenetico si trova nel libro di Borghi Conferma anarchica (Due anni in Italia), pubblicato nel 1949. Il volume, ricco di aneddoti, rende con felicità narrativa il clima politico dell'epoca e i disagi e le notevoli fatiche a cui Borghi – che aveva già 64 anni – si sottopose. Conduce una attiva campagna contro la Costituente e contro le intromissioni della Chiesa nella politica italiana.
Ma ben presto nel paese la partecipazione politica, appassionata nei primi anni del dopoguerra, si incanala sempre più verso i grandi partiti di massa, quando non lascia posto progressivamente al disimpegno. Le posizioni politiche di Borghi e di altri anarchici, che denunciano il connubio socialcomunista con i preti e polemizzano contro i miti unitari, risultano sempre meno capaci di fare breccia tra il popolo italiano, le piazze dei comizi si svuotano, il movimento anarchico si avvia a un progressivo declino con perdita di militanti e di influenza (solo dopo il 1968 si assisterà a una parziale inversione di tendenza). Ma se l'influenza di Borghi nella società italiana diventa quasi trascurabile, non si può dire lo stesso per quanto riguarda il suo ruolo all'interno del movimento anarchico.
Borghi, dopo la morte di Malatesta, Galleani, Fabbri e Berneri, è percepito ormai come l'ultimo dei grandi leader storici dell'anarchismo italiano, e grande è il suo prestigio.
Con l'autorità morale derivante dal suo passato, e facendo leva sulle indubbie sue notevoli capacità di oratore, giornalista e scrittore, Borghi esercita un influsso determinante sul movimento anarchico di lingua italiana degli anni che vanno dal 1945 alla sua morte, contribuendo in maniera notevole a farlo evolvere e sviluppare secondo linee congrue con le posizioni teoriche da lui maturate durante l'esilio.
Particolarmente rilevante – e ancora oggi molto discussa – è la sua posizione nei confronti dell'USI e dell'attività sindacale in genere da parte degli anarchici, in quegli anni per molti versi decisivi per le sorti successive del movimento libertario. Dopo la fine della II guerra mondiale, Borghi si schiera infatti contro ogni tentativo di ridare vita all'USI, ritenendo l'esperienza sindacalista criticabile dal punto di vista teorico e ormai anacronistica. L'idiosincrasia da lui maturata nei confronti del sindacalismo lo spinge a criticare e ad ostacolare addirittura i tentativi di alcuni compagni di creare una corrente sindacale libertaria all'interno della CGIL. Riguardo l'organizzazione anarchica specifica, si batte contro ogni tentativo di dare alla Federazione Anarchica Italiana, costituitasi al Congresso di Carrara del 1945, una struttura organizzativa non puramente formale. Sul piano teorico sostiene posizioni puriste, e insorge contro ogni deviazionismo vero e presunto.
Da subito si impegna in prima persona contro la corrente dei “comunisti libertari” lombardi (Germinal Concordia, Mario Orazio Perelli, Antonio Pietropaolo e altri), che nel gennaio 1946 elabora le Tesi di Milano, un documento politico apertamente riformista, che propone di trasformare il movimento libertario in un vero e proprio partito politico, in grado di partecipare anche alle competizioni elettorali. Tra la fine di gennaio e i primi di febbraio 1946 si consuma la scissione definitiva. Il gruppo che fa riferimento a Concordia, Perelli e Pietropaolo abbandona la FAI e costituisce, insieme a comunisti libertari di altre regioni e alla “Unione Spartaco” di Carlo Andreoni, la Federazione Libertaria Italiana che vivrà di vita effimera confluendo dopo neppure un anno nel PSLI di Saragat.
In seguito, Borghi ha un ruolo di rilievo nella emarginazione dei giovani che, insieme a Pier Carlo Masini, danno vita al periodico “L'Impulso” e ai Gruppi Anarchici di Azione Proletaria. Anche questi militanti saranno spinti fuori dal movimento anarchico ufficiale, e molti di loro finiranno per scegliere altre strade negli anni successivi. Borghi si mostra sempre contrario all'inserimento di norme vincolanti nello statuto della FAI. A sostegno delle sue tesi, porta l'esempio delle vicende spagnole e delle deviazioni burocratiche là verificatesi.
Fin dal 1946, del resto, insieme a Gigi Damiani ha coniato il termine “spagnolite”, una malattia di cui a suo giudizio soffre il movimento anarchico, non solo in Italia, e di cui è urgente trovare una cura. È evidente l'influenza, nel Borghi del dopoguerra, della realtà americana in cui è a lungo vissuto, e in particolare dell'ambiente degli anarchici italo-americani antiorganizzatori. Non è casuale che al gruppo dell'”Adunata dei Refrattari” siano strettamente legati anche gli anarchici italiani più vicini a Borghi e che difendono le stesse posizioni all'interno del movimento (Pio Turroni, Attilio Bazzocchi, Gigi Damiani, Italo Garinei, Michele Damiano e altri).

Le basi fondamentali dell'anarchismo

Come già si è accennato, nel 1948 Borghi ritorna negli Stati Uniti, dove resta fino al 1953. Il IV Congresso della FAI (Ancona, 8-10 dicembre 1950), che si svolge in sua assenza, vede comunque affermarsi la sua linea in campo politico, organizzativo e sindacale. Rientra in Italia, dove poi si stabilirà definitivamente, appena in tempo per partecipare al V Congresso della FAI (Civitavecchia, 19-22 marzo 1953).
Fa approvare una sua mozione – di cui risultano firmatari anche Mario Mantovani, Randolfo Vella e Vincenzo Toccafondo – sulle “Basi fondamentali dell'anarchismo”, in cui si condannano le concezioni classiste dell'anarchismo mentre vengono ribaditi i principi dell'antiautoritarismo e la comune opposizione ai governi di Occidente e Oriente. In merito ai deliberati del Congresso, commenta Giorgio Sacchetti (Senza frontiere. Pensiero e azione dell'anarchico Umberto Marzocchi (1900-1986), Milano, Zero in Condotta, 2005, p. 128): “Ai GAAP, che avevano inoltrato una provocatoria richiesta di partecipazione all'assise (senza seguito), la mozione congressuale non lascia spazi (“corrente nefasta negatrice dell'anarchismo che sembra amalgamare la mentalità marxista”). È l'atto di nascita della “FAI -Movimento”, costruzione di Borghi, aggregazione “aperta” nella quale convivono anime troppo differenti fra di loro. In tema di lotta sindacale si assiste contemporaneamente alla revisione totale dei deliberati del 1945 per quanto riguarda l'attività interna alla Confederazione”. Al termine del Congresso Borghi viene chiamato ad affiancare Gigi Damiani nella direzione di “Umanità Nova” (restando Umberto Consiglio alla redazione, incaricato anche della amministrazione). Di fatto Borghi sostituisce Damiani, già gravemente malato (morirà il 16 novembre 1953), e assume da quel momento la responsabilità principale – se non unica – nella redazione del settimanale.
Nel 1954 esce il suo libro più noto, Mezzo secolo di anarchia (1898-1945), con prefazione di Gaetano Salvemini, un testo di memorialistica molto apprezzato anche all'esterno del movimento anarchico, che suscita un vivo interesse tra gli stessi storici di professione. Il libro avrà anche ripercussioni sul piano politico, riattivando la polemica tra anarchici e comunisti a seguito di due articoli di Ottavio Pastore, senatore torinese del PCI, su “Rinascita”. Oggetto dello scontro è soprattutto la valutazione della “Settimana rossa” fornita da Pastore, con giudizi pesanti e accuse che vengono ritenute infamanti.
Dopo l'appoggio dato agli insorti della rivoluzione ungherese del 1956, la linea di ferma opposizione di principio al comunismo esce attenuata dagli avvenimenti italiani del luglio 1960, a seguito dei quali si ammette la possibilità di una lotta comune contro la reazione. Nel 1962 si svolgono diverse iniziative di solidarietà con il popolo spagnolo. Nello stesso anno si sviluppano nel movimento anarchico italiano e internazionale contrasti anche gravi in merito alla questione cubana. Dopo il tentato sbarco di elementi anticastristi appoggiati dalla CIA alla Baia dei Porci, Borghi prende le difese del regime di Castro (Giù le mani da Cuba, “Umanità Nova”, 28 ottobre 1962), ricevendo per questo accuse di filocomunismo da una parte dello stesso movimento anarchico. Il successivo Convegno Nazionale della FAI (Senigallia, 7-9 dicembre 1962) accetta la linea di Borghi, che pur denunciando la tendenza all'involuzione totalitaria del castrismo, rifiuta anche di schierarsi dalla parte degli americani e dei reazionari. Nel 1964 si riapre la polemica, a seguito di nuovi attacchi al regime castrista mossi da esuli anarchici cubani a cui Borghi (insieme del resto – in quel periodo – a una parte consistente dell'anarchismo internazionale) nega ogni credito. Critiche aspre a Borghi arrivano soprattutto dalla Federazione Anarchica Laziale, che pubblica il bollettino ciclostilato “La Bussola” (1963-1964).
Riprendono vigore frattanto nel movimento italiano i tentativi di dare alla FAI una struttura organizzativa e un “Patto associativo” con norme vincolanti per gli associati. Un duro scontro si registra nel corso del Convegno Nazionale di Bologna (27-29 maggio 1965), dove tra l'altro Borghi riceve critiche per la sua gestione del giornale. All'VIII Congresso della FAI di Carrara (31 ottobre -5 novembre 1965) prevale l'orientamento dei cosiddetti “strutturatori”, in contrasto con le posizioni di Borghi – che peraltro preferisce non essere presente e si limita a mandare un telegramma – e della corrente che a lui fa riferimento.
Borghi lascia la direzione di “Umanità Nova”, che viene affidata a Mario Mantovani e Umberto Marzocchi, e si ritira a vita privata. Dà il suo appoggio alla nascita dei Gruppi di Iniziativa Anarchica (GIA), formati dalla componente che non condivide la svolta organizzativa della FAI e che per questo attua una scissione. Si tratta comunque per lui di una sconfitta, che sicuramente rende amari i giorni che gli restano da vivere. Alla sua morte, avvenuta a Roma pochi anni dopo nel 1968, sarà celebrato, compianto e rivendicato dall'intero movimento anarchico, in tutte le sue componenti. Ma si tratta di un omaggio postumo, in nome dei suoi grandi meriti storici e della pervicace fedeltà agli ideali libertari. Di fatto, anche tra gli anarchici quella di Borghi è ormai una figura controversa, e tale resterà per lungo tempo.

Che cosa rimane

Le concezioni e il comportamento di Borghi nel periodo successivo alla fine della II guerra mondiale hanno suscitato spesso critiche anche aspre in settori del movimento anarchico, e anche dopo la sua scomparsa sono stati oggetto di contrastanti valutazioni. È questo sicuramente il periodo più discusso e discutibile della sua pluridecennale attività, intorno al quale fino a tempi relativamente recenti si sono accese vivaci e appassionate polemiche.
Autorevolmente Nico Berti ha parlato, a proposito di questa fase, di “puro anarchismo”. Scrive Berti: “L'ultimo Borghi è perciò il Borghi della decantazione definitiva dell'anarchismo come puro anarchismo, come anarchismo universale liberato di ogni sua determinazione storica, a cominciare da quella operaia e proletaria. Esso si riformula come libertà indeterminata, dove le componenti socialista e comunista si traducono in una più generica concezione societaria. Si tratta, in gran parte di un anarchismo etico – anche se Borghi non arriva a definirlo in tal senso – un anarchismo più attento alla propria coerenza interna che alla coniugazione eterogenea e contraddittoria con l'esistente. Un anarchismo codificato e, se vogliamo, anche rinsecchito, un'ideologia che si autoconserva e si alimenta di se stessa e per se stessa. [...] L'anarchismo borghiano più che essere contro la storia è ormai fuori dalla storia: esito, del resto, comune e inevitabile per tutto l'anarchismo operaio, socialista e proletario”. [Cfr. G. Berti, Dal sindacalismo anarchico all'anarchismo “puro”. La significativa parabola di Armando Borghi, “BMR”, 1990, pp. 7-22 (la cit. è a p. 22)].
In conclusione, possiamo porci la classica domanda: “che cosa rimane?”. E possiamo chiederci anche quale lezione possiamo trarre, che contributo ci può venire – per orientarci nel mondo che ci circonda – dalla vita e dalle idee di Armando Borghi. A mio avviso – e lo dico anche se magari qualcuno non sarà d'accordo – non rimane quasi nulla. Quel mondo popolare otto-novecentesco da cui Borghi è uscito e che nei momenti migliori egli ha saputo interpretare, è definitivamente morto. Le risposte che egli ha dato ai problemi del suo tempo, giuste o sbagliate che fossero, oggi non servono più, se non altro perché il mondo è profondamente cambiato. Semmai, sono altri i teorici e i pensatori che possono oggi esserci utili (per restare al Novecento, i primi nomi che mi vengono in mente: Francesco Saverio Merlino, Camillo Berneri, Luce Fabbri, Andrea Caffi, Hannah Arendt...).
C'è però qualcosa che va riconosciuto. Al di là di ogni oscillazione, Borghi – come del resto tanti altri compagni meno noti di lui – rimase sempre un anarchico convinto e si mosse sempre all'interno del solco dell'anarchismo, pagando sul piano personale dei prezzi non indifferenti per questa sua ostinata coerenza. Sempre a guidarlo fu il desiderio del massimo di libertà e di giustizia sociale per tutti. Ecco, senza quella passione, una vivida fiamma che ha alimentato l'intera sua esistenza, credo che sia difficile riuscire a fare passi avanti significativi nella strada della liberazione dell'umanità. Quello che resta, alla fine, è una lezione di coerenza. Di Borghi, ancora oggi, non possiamo non condividere la tensione libertaria, la solidarietà nei confronti degli oppressi e degli sfruttati, la irriducibilità nei confronti dei totalitarismi e più in generale di ogni autoritarismo. E non possiamo non ammirare il coraggio e la determinazione con cui ha affrontato, sempre a testa alta, le sfide della sua epoca.
Per quanto riguarda le modalità della trasformazione sociale e della lotta politica, sono però convinto che tocchi a noi oggi trovare nuove strade, elaborare nuove strategie, adeguate alla complessità del presente e alle problematiche che abbiamo davanti. Rimettendo, se necessario, tutto in discussione, senza dare nulla per scontato. Senza alcun tabù. Dobbiamo riuscire a fare ciò che non è riuscito all'ultimo Borghi. Usando i termini di Nico Berti, dobbiamo essere in grado di essere “contro la storia”, ma “dentro la storia”.

Gianpiero Landi

Relazione presentata al Convegno “Le organizzazioni nazionali del movimento anarchico nell'Italia repubblicana (1943-2018)”, tenutosi a Castel Bolognese l'8 dicembre 2018.

 

8 dicembre 2018/Un convegno a Castel Bolognese

A cinquant'anni dalla morte di Armando Borghi (1882-1968), noto esponente anarchico di rilievo nazionale e internazionale, nonché dirigente sindacale, oratore, scrittore e giornalista, la Biblioteca Libertaria “Armando Borghi” (BLAB) a lui intitolata ha organizzato un Convegno di studi sul tema Le organizzazioni nazionali del movimento anarchico nell'Italia repubblicana (1943-2018). La giornata di studi, promossa in collaborazione con la Biblioteca Comunale “Luigi Dal Pane” di Castel Bolognese, si proponeva di ricostruire più di settant'anni di vita dell'anarchismo in Italia, attraverso l'ottica privilegiata delle organizzazioni di estensione nazionale espresse dal movimento libertario. Il Convegno si è tenuto sabato 8 dicembre 2018 nel Teatrino del Vecchio Mercato a Castel Bolognese, città che ad Armando Borghi ha dato i natali e dove è sepolto.

Riportiamo l'elenco delle relazioni:

- Pasquale IUSO (Università di Teramo): Gli anarchici nella Repubblica dalla Resistenza al crollo del comunismo.

- Giorgio SACCHETTI (Università Roma Tre): Federazione Anarchica Italiana: fonti, metodi, periodizzazioni per un nuovo soggetto storiografico.

- Pietro ADAMO (Università di Torino): Cesare Zaccaria, il momento post-classico e la critica dell'organizzazione.

- Lorenzo PEZZICA (Centro Studi Libertari - Milano): Appunti per una storia dei Gruppi di Iniziativa Anarchica (1965-1975).

- Franco SCHIRONE (Associazione Culturale Pietro Gori - Milano): I gruppi giovanili anarchici del dopoguerra: tre esperienze.

- Gianpiero LANDI (Biblioteca Libertaria “Armando Borghi”): Armando Borghi a cinquant'anni dalla morte.

- Franco BERTOLUCCI (Biblioteca Franco Serantini - Pisa): I GAAP (1949-1957): un'esperienza «revisionista» dell'anarchismo di lingua italiana? Problemi e interpretazioni.

- Francesco CODELLO (Filosofo e Pedagogista): Pensiero e azione: i Gruppi Anarchici Federati (1970-1978).

- Giulio ANGELI (Alternativa Libertaria/FdCA): Il movimento comunista libertario in Italia dagli anni '70 del '900 ad oggi: una riflessione.

- Gianfranco CARERI (Archivio Nazionale USI): L'Unione Sindacale Italiana nel secondo dopoguerra.


La videoregistrazione integrale del Convegno, i cui atti non sono stati pubblicati, si trova sul sito della Biblioteca Libertaria “Armando Borghi” al seguente link: http://bibliotecaborghi.org/wp/index.php/video/


Bibliografia/Armando Borghi e gli anarchici di Castel Bolognese su “A”

Gianpiero Landi, I Garavini. Anarchiche e anarchici d.o.c. / Emma Neri, Contro la retorica fascista e patriottica, «A», n. 430, dicembre 2018/gennaio 2019.

La testimonianza di Nello: N. Garavini, I miei primi Primo Maggio / M. Ortalli, Un documento straordinario, «A», n. 355, estate 2010.

Scheda sulla Biblioteca Libertaria “Armando Borghi” in Archivi Anarchici, a cura di Luigi Balsamini, «A», n. 351, marzo 2010.

Massimo Ortalli, Le memorie di Nello (ed Emma), «A», n. 350, febbraio 2010.

La biblioteca libertaria “Armando Borghi” ha una nuova sede, «A», n. 323, febbraio 2007.

Scheda di Emma Neri dal vol. 2 del Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani (Pisa, BFS, 2004), «A», n. 310, estate 2005.

Gianpiero Landi, Lo schiaffo (intervista a Luciano Bergonzini sul suo libro Lo schiaffo a Toscanini), «A», n. 184, estate 1991.

Paolo Finzi, Borghi e l'USI (intervista a Maurizio Antonioli), «A», n. 178, dicembre 1990/gennaio 1991.

Vittorio Emiliani, Vivere da anarchici, «A», n. 161, febbraio 1989.

Convegno di studi Armando Borghi nella storia del movimento operaio italiano e internazionale, «A», n. 160, dicembre 1988/gennaio 1889.

Dossier Armando Borghi, a cura di G. Landi, n. 113, ottobre 1983 [oltre a una presentazione redazionale, contiene: Gianpiero Landi, Mezzo secolo di anarchia;
Maurizio Antonioli, Quando Borghi era sindacalista; Giampietro “Nico” Berti, Tra ideologia e realtà].

Castel Bolognese, in Gli anarchici contro il fascismo, «A», n. 20, aprile 1973.