Rivista Anarchica Online


storia

La strategia della tensione spiegata male

di Erica Picco e Sara Troglio

Nei manuali scolastici non si trovano conflitti sociali e argomenti “troppo politici”, la retorica “né vincitori né vinti” è usata per narrare la storia della Resistenza, e quando si arriva alla strategia della tensione si fa ricorso agli “opposti estremismi”. Un'analisi critica dei libri di storia adottati nelle scuole.


In Italia, con la didattica della storia del Novecento, così come viene fatta nella scuola pubblica, abbiamo decisamente un problema. Il problema, in soldoni, è questo: perché studiare la storia, con quale scopo? La domanda non è provocatoria e deve essere presa seriamente, anche solo per il numero di volte in cui ci è stata sottoposta dagli studenti durante i nostri incontri nelle scuole come formatrici di Laboratorio Lapsus1.
Questo è un po' il punto di partenza, che è politico, nel senso che ha a che fare con le scelte, individuali e collettive, e con la capacità di incidere nel presente. Di conseguenza impone delle selezioni nei temi da trattare, nel taglio da scegliere, negli obiettivi educativi e didattici che si vogliono perseguire.
La seconda premessa necessaria è che la didattica scolastica della storia del Novecento, a sua volta, ha un problema con i conflitti. Non con le guerre intese come conflitti bellici combattuti, quanto piuttosto con il concetto di conflitto, inteso come scontro politico, ideologico e sociale. Molti degli argomenti considerati “divisivi” sono espulsi dalla narrazione ufficiale della scuola, o tramite la minimizzazione, come ad esempio accade per i crimini coloniali italiani e in generale per la storia del colonialismo dell'Italia, sia quella liberale che fascista; tramite l'equiparazione delle narrazioni delle parti, il cui caso più evidente è l'erosione della narrazione della Resistenza, che dagli anni Novanta ha subito una torsione verso la retorica “né vincitori né vinti”, per poi concludere la parabola verso questi ultimi: i vinti, le vittime, slegate da qualsiasi relazione con il contesto e con l'autore della violenza; o, infine, per annacquamento della complessità sotto cappelli apparentemente neutri, come accade per gli argomenti considerati “troppo politici” (cfr. gli ultimi studi di F. Focardi e A. Del Boca).
Gli anni della strategia della tensione (1969-1974) sono un nodo cruciale della storia dell'Italia contemporanea e rappresentano un problema per la narrazione pubblica. Questa fase incarna a vario titolo ognuna delle operazioni precedentemente elencate: silenzio e minimizzazione sulle responsabilità delle stragi, equiparazione delle parti con la retorica degli “opposti estremismi” e infine, riduzione della complessità della strategia della tensione nella sua dimensione sovranazionale, per adottare la chiave interpretativa morale de “gli anni della violenza”.
Sebbene gli avvenimenti del quinquennio 1969-1974 continuino ad avere conseguenze effettive nel nostro presente, riemergendo come un fiume carsico ogni volta che uno dei protagonisti rientra nella scena pubblica, la conoscenza di questi fatti rimane tuttavia inversamente proporzionale alla loro presenza nel discorso pubblico.
Il nostro lavoro di ricerca inserito nel libro collettivo Dopo le bombe. Piazza Fontana e l'uso pubblico della storia (Mimesis, 2019), e di cui seguono alcuni esempi, ha riguardato uno specifico settore della diffusione del sapere, particolarmente significativo del contesto culturale italiano e dell'accesso alla cultura. Secondo i dati statistici Istat del 2018, il numero di lettori rimane costante ma difficilmente si superano i tre libri all'anno; inoltre la lettura è prerogativa dei giovani (11-19 anni) e delle donne. Gli adulti sono quindi scarsamente abituati all'acquisto e alla fruizione di libri di carattere saggistico in generale, di storiografia in particolare. Ciò porta a pensare che per molti, i manuali di storia usati negli istituti scolastici superiori rappresentino l'ultima lettura di tipo storico.
A questo aspetto vanno aggiunte le osservazioni raccolte come formatrici sul campo nei dieci anni di attività di Laboratorio Lapsus nelle scuole. La sempre più vasta mole di temi che gli insegnanti dovrebbero affrontare in classe legata alla progressiva e costante diminuzione delle ore scolastiche dedicate alla storia, ha reso i manuali i “supplenti” privilegiati a cui viene demandato l'apprendimento dei fatti del passato. Considerando anche il moltiplicarsi di giornate della memoria e le molteplici “educazioni” - civica, ambientale, alla legalità, alla salute, ecc. - di cui si è arricchito il programma scolastico, gli insegnanti si trovano nella necessità di selezionare drasticamente i contenuti, spesso sacrificando argomenti o delegando allo studio solitario.
Da queste premesse abbiamo preso le mosse per osservare come i manuali delle scuole superiori trattino il tema della strategia della tensione. Partendo dall'evento d'esordio - la strage di piazza Fontana a Milano -, l'indagine si è concentrata sui personaggi-chiave, i mandanti e gli esecutori, sul tema della violenza politica, fino all'interpretazione complessiva della strategia della tensione e alla periodizzazione scelta dagli autori. La ricerca è stata affiancata da un questionario rivolto agli insegnanti, che ci ha fornito alcuni spunti ulteriori per identificare i problemi della didattica della storia relativamente a questo tema.

Contestualizzare piazza Fontana

Come viene quindi presentata e - se lo si fa - contestualizzata la strage di piazza Fontana? Generalmente le strade sono due: la prima tende a descrivere in prima battuta l'attentato, dedicandosi poi in un secondo momento al suo inquadramento storico e al clima politico in cui esso avviene; la seconda privilegia invece una contestualizzazione più ampia, in cui si anticipa già l'interpretazione storiografica adottata, per poi concentrarsi sulla disamina degli eventi.
Sia nella prima struttura narrativa - che procede dal micro al macro -, che nella sua speculare, le connessioni causali risultano spesso confuse. In un manuale, ad esempio, si legge che la paura dell'opinione pubblica, coesa nella “difesa dei valori tradizionali” (in grassetto nel testo) seguita alla radicalizzazione del movimento di contestazione, avrebbe contribuito all'adozione di atteggiamenti repressivi da parte delle forze dell'ordine. È in questo contesto, in cui il soggetto principale diviene il movimento di contestazione e le sue ali radicali, che viene inserito l'attentato di Piazza Fontana. Una costruzione narrativa come questa crea evidentemente delle connessioni fuorvianti e sposta il focus dell'attenzione.
Particolarmente rilevante risulta anche la scelta del titolo del capitolo dedicato a Piazza Fontana. Generalmente i titoli richiamano il legame con il terrorismo e la violenza politica, oppure tracciano un legame chiaro con la strategia della tensione. Un caso significativo è rappresentato dal titolo scelto da un manuale che inserisce l'evento nel capitolo I terrorismi e la mafia siciliana - La strage di Piazza Fontana a Milano. Il nesso creato fra la mafia e la bomba di piazza Fontana non è smentito all'interno del paragrafo, che indugia su eventi di sangue passati che non sono in nessun modo in relazione con Piazza Fontana, come la strage di Portella della Ginestra. Questo accostamento può generare false convinzioni, come emerge, ad esempio, dalle interviste realizzate da Radio Popolare a Milano in occasione del 50esimo anniversario della strage di piazza Fontana, o anche dalle dichiarazioni di alcuni docenti nel questionario realizzato per la redazione di questa analisi, dove il 15% mette in relazione la strategia della tensione allo stragismo mafioso.

La strategia della confusione

Per quanto riguarda i protagonisti delle prime indagini, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, in alcuni testi non viene fatto alcun riferimento esplicito a Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda, oppure la “pista anarchica” è richiamata brevemente come una parentesi accidentale. La descrizione degli eventi relativi alla morte di Pinelli è una materia spinosa e pare che venga trattata in modo da non urtare nessuna sensibilità politica. Così, a seconda del manuale, si passa dalla retorica del “mistero” in cui Pinelli è “morto misteriosamente cadendo dalla finestra dell'ufficio del commissario di polizia Luigi Calabresi”, a quella in cui - più raramente - la morte viene direttamente imputata agli agenti presenti nell'ufficio: “Pinelli, ferroviere anarchico, durante l'interrogatorio in questura venne defenestrato dal quarto piano morendo sul colpo.” Diviene poi difficile trovare un manuale che metta in relazione esplicita il nome di Pinelli con quello di Luigi Calabresi, citati sempre in paragrafi e discorsi differenti.
Comune a molti manuali è l'incertezza che avvolge la definizione dei mandanti e degli attuatori dell'attentato: “si è parlato a lungo” oppure “molti sostennero che” sono le espressioni con cui si declina la connivenza di servizi di intelligence nazionali e esteri, interessi partitici, strutture paramilitari e gruppi neofascisti.
Sebbene i testi presi in esame siano tutti editi tra il 2012 e il 2019, le responsabilità della strage di piazza Fontana non tengono in considerazione gli ultimi sviluppi delle inchieste giudiziarie. Quest'ultimo tema è uno degli aspetti più problematici: non vi è nei manuali alcuna concordanza sugli esiti delle inchieste. Se alcuni fanno riferimento - più o meno esplicitamente - alle più recenti indagini storiografiche sul caso, altri scelgono di non approfondire la questione, limitandosi a dichiarare che la magistratura non è giunta all'individuazione degli attentatori, lasciando quindi aperta ogni pista. La linea narrativa prevalente è dominata dalla confusione e dal linguaggio allusivo e l'uso di espressioni come “servizi segreti deviati” è alla base di scelte lessicali che non agevolano la corretta comprensione degli eventi.
Anche dalle risposte degli insegnanti che hanno partecipato al questionario, sebbene il 59,3% indichi la propria conoscenza dell'argomento fra “buona” e “molto buona”, per il 29% sugli autori della strage permangono ancora troppi dubbi e misteri. Ciò che resta è una grande confusione sugli eventi, a cui nessuno è in grado di dare una risposta, e in cui l'estraneità degli anarchici e la colpevolezza, provata in sede storica e giudiziaria, dei militanti di Ordine Nuovo non emergono con forza.

La retorica degli “opposti estremismi”

Nei manuali di scuola è frequente la relazione diretta tra terrorismo “nero” e “rosso”, che vengono presentati come fenomeni contemporanei tra loro. In realtà i gruppi eversivi di orientamento neofascista agiranno già sul finire degli anni Cinquanta, mentre le prime azioni terroristiche “rosse” sono riconducibili ai primi anni del decennio Settanta. Oltre alle date, i due fenomeni hanno sviluppi storici e politico-sociali differenti ma nella maggior parte dei manuali vengono messi in relazione fin dalle prime righe. La retorica degli “opposti estremismi”, ossia l'equiparazione delle narrazioni tra terrorismo “nero” e terrorismo “rosso”, viene unita ad una condanna acritica di ogni forma di conflittualità e violenza. Lo stragismo viene quindi slegato da ogni rapporto con apparati istituzionali nazionali e internazionali, e declinato come una forma specifica di violenza politica del neofascismo senza alcuna implicazione golpista.
Nei manuali scolastici le scelte grafiche sono importanti tanto quanto i testi che accompagnano, perché possono rivelare molto delle intenzioni e cautele adottate dagli autori; inoltre, una parola evidenziata, un box di approfondimento o una specifica immagine, possono fissarsi nella mente di chi legge con maggior efficacia di un'intera argomentazione. Generalmente si troveranno copiosi grassetti per identificare i movimenti appartenenti all'alveo dell'estrema sinistra, mentre una grande scarsità di riferimenti per quanto riguarda i movimenti di matrice neofascista. In uno dei manuali analizzati, ad esempio, le sole parole evidenziate in rosso nel capitolo dedicato alla strategia della tensione sono “Strage di Bologna” e “Brigate Rosse”, una scelta quantomeno singolare se si pensa che né l'una né le altre appartengono alla strategia della tensione, oltre a non essere in nessun modo correlate tra loro; questa sproporzione, che vede i gruppi neo-fascisti del tutto sottorappresentati, quando persino non citati affatto, continua anche nella scelta delle immagini e nelle tabelle che accompagnano i testi. Alla luce di queste scelte editoriali non può sorprendere che le Brigate Rosse vengano identificate come le responsabili della strage di piazza Fontana, come già aveva messo in luce il sondaggio dell'Istituto Piepoli che nel 2006 coinvolse 1.024 studenti milanesi di età compresa tra i 17 e i 19 anni.

Appunti per una pedagogia della strategia della tensione

La fotografia dei manuali scolastici è piuttosto spiazzante: confusione, semplificazione e paura di esprimersi con chiarezza. Questo atteggiamento interessa molti nodi critici della storia recente, ma nella trattazione relativa alla conflittualità politica dei decenni ‘60 -'70 e allo stragismo eversivo diviene ancora più significativo. Manca la volontà di prendere una posizione che sappia offrire delle interpretazioni aggiornate e basate sulla storiografia recente, nazionale e internazionale, anche in assenza di una verità giudiziaria. La dimensione internazionale, fondamentale per comprendere la strategia della tensione, viene spesso tralasciata, mentre il rapporto della destra eversiva con gli apparati di Stato e i servizi segreti è trattato in modo superficiale e vago.
Manca, inoltre, una divulgazione storica che sappia spiegare a tutti con parole semplici come si sono svolti i fatti, senza giri di parole e forme linguistiche confuse e fuori dalla retorica dei “misteri d'Italia”.
La difficoltà con cui la ricerca accademica dialoga con il mondo della scuola fa emergere un'ulteriore criticità: la mancanza di un progetto di formazione continua degli insegnanti, che permetta di fornire e aggiornare sia le conoscenze sull'argomento che la metodologia da utilizzare. Questa problematica, sottolineata anche dai professori coinvolti nel questionario, investe sia i docenti di più lunga esperienza sia quelli più giovani. In questo scenario, i manuali, non essendo realmente aggiornati, mancano di risposte certe tratte dalla storiografia più recente e autorevole, perpetuando anche a decenni di distanza delle lacune già ampiamente colmate dalla ricerca.
Insegnare la storia della strategia della tensione significa aiutare a mettere ordine nella grande confusione in cui media e dibattito pubblico e politico hanno gettato il periodo degli anni Sessanta e Settanta. Una confusione che sacrifica lo sviluppo di un senso critico attraverso cui acquisire non solo un pensiero storico, ma anche la capacità di lettura del contesto contemporaneo. Insegnare questa storia significa spiegare le fragili basi su cui si posa la Repubblica italiana e gettare luce su una verità storica che è oggi possibile scrivere, denunciando connivenze e colpe.

Erica Picco e Sara Troglio


1. Laboratorio Lapsus è un'associazione di promozione sociale di Milano che si occupa di didattica e divulgazione della storia contemporanea.