Rivista Anarchica Online





Mondeggi, fattoria senza padroni/
Occupare e far vivere un bene comune non è reato

Lo scorso 8 novembre 2019, dinnanzi al tribunale penale di Firenze, si è concluso con sentenza di assoluzione il processo di primo grado contro gli attivisti di “Mondeggi bene comune fattoria senza padroni”1.
Diciassette erano le persone coinvolte, tutte imputate del delitto di occupazione (a far data dal luglio 2014 e sino ad oggi) e di furto di energia elettrica e di acqua.
Come è stato portato all'attenzione del giudice, in realtà, dall'estate del 2014 una folta comunità composta sia da cittadini delle zone limitrofe a Mondeggi sia da altre persone interessate alla vicenda, ha iniziato e contrapporsi al tentativo di svendita della tenuta (ricordiamo che già dal 2011 si sono susseguiti vari bandi per la vendita della tenuta, andati deserti) proponendo una gestione sociale del bene che lo rendesse nuovamente luogo aperto e fruibile da tutte e tutti.
Nel mobilitarsi per la salvaguardia del patrimonio naturale e paesistico che costituisce Mondeggi sono stati così avviati progetti di agricoltura contadina, agriecologia e gestione comunitaria del bene ispirati ai principi di autogestione, cooperazione e mutualismo che hanno portato a nuova vita la tenuta.

Bagno a Ripoli (Fi) - Mondeggi Fattoria senza Padroni
foto di Fabio

Nel corso degli anni i partecipanti al presidio contadino e i comitati che sono sorti per la salvaguardia di Mondeggi hanno continuato a tenere alta l'attenzione su quanto avvenuto denunciando il degrado e l'abbandono causati dal fallimento della Mondeggi Lapeggi (conclusosi con un buco di bilancio di oltre 1,5 milioni di euro) e portando le proprie istanze all'attenzione del comune di Bagno a Ripoli (quello su cui insiste la tenuta) e della città metropolitana di Firenze (successore legale della ex-provincia di Firenze, socio unico della società Mondeggi Lapeggi s.r.l.).
Durante il procedimento, come difesa degli imputati, insieme con il collega Sauro Poli, abbiamo cercato di far emergere tutta la storia della tenuta della Mondeggi, nonché le sue ineguagliabili caratteristiche paesistiche che la rendono unica e vitale per l'abitato circostante e per la Toscana tutta.
Si è inoltre evidenziato come, a parere delle difese, fosse impossibile sussumere nella fattispecie del delitto di occupazione (che prevede l'impossessamento del bene altrui con il fine di occupazione intesa quale strumento idoneo a trarre profitto) l'attività di cura e condivisione che è stata messa in atto da tantissime persone con la sola finalità di rendere fruibile a chiunque la tenuta e di denunciarne lo stato di abbandono.
Nonostante ciò la pubblica accusa ha concluso chiedendo anni 1 e mesi 2 di reclusione oltre a 1000 euro di multa per ciascuno degli imputati mentre la città metropolitana, costituitasi parte civile nel procedimento, ha chiesto agli “occupanti” 77.000 mila euro di danni di cui 50.000 di danno all'immagine.
Quest'ultime richieste sono state contestate in sede discussione sia perché non è stato affatto dimostrato che dalle azioni di recupero messe in atto nella tenuta siano derivati danni alla ex-provincia, è anzi vero il contrario, ma anche e soprattutto perché riteniamo che l'unico danno all'immagine sia stato procurato dalla gestione fallimentare dalla Mondeggi Lapeggi s.r.l. e da tutto ciò che né è seguito.
Peraltro, vale la pena di ricordare che è attualmente pendente dinnanzi alla corte dei conti una causa promossa da diversi cittadini per il danno erariale causato proprio dalla società gestita dalla ex-provincia di Firenze in danno dello Stato e dei cittadini tutti.
Come anticipato, il primo grado del processo si è concluso con una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste.
Nonostante la soddisfazione per il risultato restiamo in attesa di conoscere le motivazioni della decisione del giudice (saranno pubblicate nel termine di 90 giorni) che potrebbero rivelarsi di grande importanza se quest'ultimo avesse accolto quella parte delle istanze difensive volte a dimostrare che la natura di bene comune della tenuta Mondeggi non ne consente una gestione (come quella proposta dall'attuale città metropolitana) finalizzata esclusivamente alla produzione di un utile e che dunque l'operato di chi si è speso per la salvaguardia del bene e per la sua valorizzazione non può essere considerato un reato.

Letizia Bertolucci

1. La tenuta della villa di Mondeggi è un'antica residenza tardo medievale appartenuta ai conti della Gherardesca per oltre quattro secoli, costituita dalla villa padronale (sempre rimasta nella disponibilità della provincia), dall'ampio giardino e dai fabbricati pertinenziali, il tutto circondato da 180 ettari di terreni suddivisi in sette poderi agricoli con le relative case coloniche.


foto di meby fortuna zelalem
Anarchismo e volontariato in armi/
Una storia di ieri e di oggi

Il 9 novembre ultimo scorso si è tenuto presso la Sala del Planisfero della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia il convegno intitolato Anarchismo e volontariato in armi nella storia contemporanea. Biografie e traiettorie di combattenti transnazionali, pensato e organizzato da Enrico Acciai (University of Copenhagen) all'interno dei lavori del Comitato Scientifico dell'Archivio Famiglia Berneri - Aurelio Chessa, dal 2002 impegnato nella promozione e valorizzazione del patrimonio documentario conservato in questi luoghi del sapere, attraverso ricerche e riflessioni che si sforzano in una duplice direzione: consolidare lo statuto scientifico della storia dell'anarchismo e diffondere massimamente i propri risultati.
L'appuntamento autunnale di quest'anno è espressione massima di questa tensione. Come dichiara, infatti, lo stesso Acciai ad apertura dell'incontro: “andremo a parlare di un elemento in un tratto centrale della storia non solo del movimento anarchico ed europeo ma [...] di tutte le forze del radicalismo politico [...] dalla seconda metà dell'Ottocento fino alla [...] lotta antifascista”; termine ultimo che si è scelto solo per ragioni di metodo e di tempo.
Il tema, infatti, risulta di straordinaria attualità: solo pochi mesi fa è stato ucciso nel nord della Siria un combattente italiano – Lorenzo Orsetti –, che aveva fatto questa scelta di volontariato transnazionale in armi per una causa apparentemente non sua ma “partendo dal sentirsi profondamente dentro al movimento libertario”. Un fenomeno sia molto complesso, perché spesso le motivazioni per le quali si va a combattere sono più chiare delle battaglie per cui si va a combattere, sia di lunga durata, perché se lette nel lungo periodo suggeriscono rimandi da una lotta all'altra e passaggi di testimone da una generazione all'altra. La giornata intendeva riflettere proprio su questa complessità.
Così, sotto l'immagine di Amilcare Cipriani, figura centrale di traiettoria lunga di volontariato transnazionale in armi – in Aspromonte con Garibaldi nel '62, poi Creta, poi Francia, poi difensore della Comune e nel '97 di nuovo volontario in armi in Grecia sotto il comando dei figli di Garibaldi ormai pienamente all'interno del movimento anarchico e fino ad essere celebrato, una volta morto, da «Il Popolo d'Italia» di Mussolini –, si sono aperti i lavori della giornata.
La prima relazione, intitolata Combattere per altri popoli. Alcuni volontari transnazionali del Risorgimento, è di Elena Bacchin (Università Ca' Foscari Venezia) che, esponente di una nuova sensibilità degli studi sul Risorgimento italiano (Carocci 2014), ha avuto il compito di introdurre l'argomento offrendo un inquadramento storico e storiografico del fronte democratico radicale del Risorgimento e dei rapporti tra Italia e Polonia, ossia di parte della generazione da cui parte tutto quanto questa giornata vuole presentare e approfondire.
Subito dopo Giacomo Bollini (Museo del Risorgimento di Bologna) entra nel vivo, tracciando alcuni Itinerari garibaldini alla guerra greco-turca del 1897, ossia alcuni risultati di una ricerca gemella a quella iniziata nel 2015 insieme al collega Andrea Spicciarelli consistita nel complesso lavoro di ricostruzione e redazione di circa 150 schede biografiche di volontari emiliano-romagnoli aggregati ai nuclei garibaldini presenti in Francia nel 1914 e pubblicata nel 2016 all'interno del numero monografico del «Bollettino del Museo del Risorgimento». Così Bollini ci presenta e commenta i profili biografici “in embrione” di quattro volontari alla campagna di Grecia del 1897, non prima di averli perfettamente calati, con un sguardo divertente e disincantato, nel contesto storico di riferimento.
L'anarchico bolognese Giovanni Vivoli che parte con Cafiero e si arruola nella legione Bertè, che incuriosisce per un ricovero all'ospedale “Roncati” della sua città (tratto in realtà comune ad altri patrioti garibaldini, ma non solo), e che infine ritroviamo brigadiere e poi vicino al primo fascismo. L'imolese Giovanni Raffaele Serrantoni, combattente del gruppo garibaldino di Mereu tra i più attivi ad Atene; pubblicista dal forte connotato politico, muore nel 1842 a Bologna. Il lughese anarchico Ferdinando Raulli, classificato come “attentatore dinamitardo” nelle carte di polizia e più volte condannato alla cella oscura e al regime di pane e acqua e persino al domicilio coatto da dove scappa per arruolarsi. Infine il forlivese Luigi Tassinari, volontario garibaldino repubblicano appassionato.
Antonio Senta (Università di Trieste), poi, prende la parola per affrontare il tema degli anarchici di lingua italiana nella rivoluzione messicana a partire dagli studi in corso e facendo riferimento, in particolare, a “Cronaca Sovversiva”, giornale interessato alle vicende della rivoluzione messicana. Alessandro Luparini (Biblioteca Oriani, Ravenna), seguendo l'ordine cronologico, affronta il tema del volontarismo anarchico nella Grande Guerra a partire da una citazione di Aldo Spallicci – “Essere in guerra contro tutto e contro tutti” – tratta da un passo in cui parla dell'anarchico garibaldino, devoto e seguace di Stirner, Cesare Colizza, aggiungendo così un tassello alla complessità del tema: “anche fra gli anarchici persisteva un residuo di mentalità destinato a emergere nei momenti topici e in cui libertà dei singoli e libertà dei popoli – per citare Antonioli – si confondevano”; citazione a cui Luparini fa seguire alcuni percorsi biografici che appaiono – chiosa – “particelle di quella confusissima nebulosa che fu il primo dopoguerra italiano nel quale anche l'eredità del volontarismo anarchico si sarebbe dispersa e variamente ricollocata”.
Segue Matteo Stefanori (Università degli Studi della Tuscia), che affronta un argomento di passaggio (tra Otto e Novecento) concentrandosi su alcune delle memorie (tra le quali quelle di Gino Poletti, Massimo Rocca/Libero Tancredi) di chi partecipò alla legione garibaldina in Francia del 1914 e 1915, che aiutano a capire meglio la composizione della legione (ad esempio, la natura chiaramente politica dei partecipanti) e a individuare elementi di continuità (motivazioni ideali e romantiche) e di rottura con il passato.
Il pomeriggio si apre con una relazione di Luigi Balsamini (Archivio-Biblioteca Enrico Travaglini) intitolata Gli Arditi del popolo. Una traiettoria in armi: dalla guerra per la patria alla difesa del proletariato (1917-1922), che, estratto esteso di un lungo studio pubblicato di recente (Galzerano 2018), fa luce sulla natura e sulla storia di questi combattenti, “che nascono in continuità con l'arditismo di guerra ma raccolgono fin da subito proletari e sovversivi estranei allo spirito combattentistico” mettendo in luce, tra le altre cose, una continuità tra l'interventismo durante la prima guerra mondiale, la prima lotta antifascista e la Spagna: “perché molti di questi arrivano effettivamente a combattere, alcuni anche a morire, nella rivoluzione spagnola”.
Con Giovanni Cattini (Universitat de Barcelona) seguiamo il percorso tracciato dall'organizzatore con una relazione sulle Esperienze transnazionali d'antifascismo, in particolare gli anarchici italiani tra le Legioni Garibaldine e i nazionalisti catalani; una pagina nera dell'anarchismo 1924-1926 che l'autore studia da molti anni (BFS 2010) offrendo un quadro chiaro della relazione patriottismo-transnazionalismo nonché del rapporto tra indipendentismo-movimento e partiti di sinistra alla luce delle grandi continuità di questi anni e della fondamentale necessità – per lo storico – di tener distinti l'oggi e l'allora quando si parla e definisce il nazionalismo culturale.
Chiudono la giornata due veterani: Claudio Silingardi (Istituto Storico di Modena) e Giorgio Sacchetti (Università degli Studi Roma Tre). Il primo che, con la relazione Rivoluzio e gli altri: alcuni percorsi tra “biennio nero”, fuoruscitismo e guerra di Spagna, si concentra su alcuni percorsi individuali e collettivi di una provincia particolarmente forte per l'anarchismo – Modena e il modenese – e chiude con la presentazione di una famiglia che è, in realtà, anche il disvelamento dell'attenzione di un elemento non secondario eppure sinora taciuto in questa lunga giornata: Siberia Gilioli che con la sua famiglia (composta dai fratelli Rivoluzio – di cui Silingardi parlerà diffusamente –, Libero, Equo, Protesta, Sovverte, Scintilla, Ribelle e Feconda Vendetta) illumina sulla necessità di tenere sempre alta l'attenzione sul ruolo della famiglia e della casa nella storia della militanza anarchica, e della politica in generale.
Il secondo relatore, infine, propone (tra i molteplici spunti scelgo di parlare di questo) una nuova interpretazione della guerra di Spagna come cesura anche della storia del volontariato in armi a partire da alcuni elementi biografici di Umberto Marzocchi, militante di cui il relatore si è già ampiamente occupato (Zero in Condotta 2005), e di Maria Luisa Berneri (innumerevoli le sue pubblicazioni sull'intellettuale anarchica): “Maria Luisa Berneri avrà un ripensamento sul nesso politico tra rivoluzione e violenza politica rispetto anche alla doppia sconfitta spagnola e farà parte di un gruppo di intellettuali e militanti anarchici e di area libertaria, inglesi e anche spagnoli, animato da lei e da Vernon Richards, che sosterrà con forza l'antibellicismo, quindi una posizione pacifista dalle estreme conseguenze, facendo una campagna contro i bombardamenti alleati, anche quei bombardamenti che venivano fatti a fin di bene”. Con questa analisi Sacchetti ipotizza che il movimento anarchico anglofono, in seguito alle vicende spagnole e proprio attraverso questo gruppo di intellettuali, si sviluppi con categorie differenti, che rinviano anche a un pacifismo ante litteram. Per Marzocchi la guerra di Spagna rappresenta, invece, “una scelta di altro tipo, che accomuna l'anarchismo sudeuropeo, che è la scelta di fare la guerra antifascista”. Due anarchismi differenti che andrebbero studiati.
Un convegno ricchissimo di spunti che mi ha riempito la testa di idee, curiosità e domande che solo grazie a una splendida chiacchierata con Emanuela Minuto (moderatrice del pomeriggio e ricercatrice dell'Università di Pisa) si sono convertite in puro entusiasmo e mi hanno permesso di mettere in luce un paio di traiettorie che considero di particolare interesse: prima di tutto la necessità di dedicare tempo e spazio alla questione della formazione politica e della appartenenza generazionale del volontariato, per meglio inquadrare la natura delle “culture politiche”, o della “cultura politica”, di cui stiamo parlando e come esse dialogano con la cultura popolare; infine, la questione della presenza delle donne nelle vicende storiche, che chiama in causa un problema di metodo che noi storici dovremmo considerare sempre, e cioè “come procedere quando si affronta un tema come questo per non far sparire le donne?”, insieme all'attenzione a non appiattire la risposta con interpretazioni stereotipate (“il ruolo di Siberia – suona l'eccellente domanda a fine convegno – si conclude con quello di custode della memoria?”).
Ora non ci resta che aspettare la corposa pubblicazione che uscirà da questa lunga giornata e, chissà, una giornata di studi altrettanto interessante suggerita dalle curiosità emerse.

Elena Bignami



Centocelle (Roma)/
Cultura e inclusione sociale sotto attacco

Il 25 aprile 2019, a Centocelle (Roma), è accaduto qualcosa di inaspettato. L'incendio della Pecora Elettrica ha dato inizio a una stagione fatta di fuoco e devastazione nei confronti di alcuni locali aperti alla cultura e all'inclusione sociale.
A prima vista, la data scelta e il luogo (La Pecora Elettrica, libreria/caffetteria antifascista) facevano sembrare l'incendio un vile attacco fascista, ma poi con il susseguirsi degli eventi, con i vari locali dati alle fiamme in un quartiere da sempre laboratorio di esperimenti sociali, si è aperto un nuovo scenario.

Dare una connotazione agli attentati non è cosa facile, proprio per la diversa natura delle strutture attaccate dalle mani infami che hanno agito nel cuore della notte, sicure di non essere viste. Prima, e per ben due volte, un caffè/libreria, La Pecora Elettrica, poi una pizzeria e alla fine un pub, tutti e tre in un anello che circonda un parco noto alle cronache come piazza di spaccio tra le più operative del quadrante sud est della Capitale.
Di certo l'intento di serrare per sempre dei posti aperti e colorati, che illuminano il buio delle notti romane in periferie abbandonate è riuscito alla perfezione. Il quartiere ha reagito con due manifestazioni a breve distanza una dall'altra, per restituire cultura e dignità a una Roma allo sbando, fatta di omicidi alla luce del sole, di racket e droga, guidati da nomi conosciuti alle cronache, che vedono protagonisti pezzi della banda della Magliana, tifoserie violente e famiglie con il vizio dell'estorsione e dello strozzinaggio che possono permettersi funerali solenni con tanto di elicotteri che spargono petali di rose da cieli blindati anche alle mosche.

Claudio Sisto




I campi estivi di Urupia (Br)/
La parola alle ragazze e ai ragazzi

“Perché l'anno prossimo mi piacerebbe frequentare il campeggio di Urupia? Innanzitutto per vivere appieno l'esperienza stessa che l'anno scorso ho avuto modo di conoscere solo come “infiltrata”. La relazione con gli adulti è diversa rispetto alla scuola o ad altri ambiti dove ad esempio adulti e ragazzi sono su piani diversi, lì invece c'è un rapporto alla pari e questo ci consente di affrontare diverse tematiche in modo più sincero, spontaneo e più vero. In più svolgiamo svariate attività che vanno dalle passeggiate notturne, a incontri con persone provenienti da diversi paesi che hanno vissuto in prima persona vicende drammatiche, a corsi gestiti da noi ragazzi: infatti ognuno mette a disposizione le proprie competenze per il gruppo.
In generale c'è un clima sereno, dove ognuno è libero di esprimersi e questo aiuta anche la relazione tra noi ragazzi.” (Arianna)
Della comune Urupia molto si è letto in queste pagine, grazie all'interesse e alla disponibilità di “A” a raccontarne costantemente il percorso in quasi 25 anni di storia. Chi abbia avuto curiosità ha potuto leggerne le origini, i diversi vissuti affrontati, le successive elaborazioni e i differenti ambiti di azione. Negli ultimi anni abbiamo raccontato delle svariate attività culturali e politiche, in particolare della scuola creata all'interno della comune (aperta al territorio e attualmente frequentata da 19 partecipanti tra i 4 e i 13 anni di età) e del Festival delle Terre. Racconti e resoconti portati non solo dalle comunarde ma anche da ospiti, legati così strettamente alla comune da essere considerati, essi stessi, delle vere e proprie comunarde fuori sede.
Di un'attività centrale non abbiamo però mai avuto occasione di raccontare, se non in maniera superficiale o attraverso brevi accenni: i campi estivi residenziali, rivolti a fanciulli e fanciulle e ragazzi e ragazze. Immediatamente dopo la fondazione della comune, Urupia aveva proposto e organizzato, già nell'estate del ‘96 e in quella successiva, due campeggi dedicati a bambine e bambini fino ai 12 anni.
Per diversi anni questa proposta non era poi stata rinnovata finché, nel 2008, non è stata ripresa continuando a riproporsi regolarmente fino a oggi. Anzi, allargandosi come proposta al punto da confermarsi, ogni anno, con una partecipazione sempre più ampia ed estendendo anche la fascia di età di riferimento. Infatti, oltre a fanciulle e fanciulli dai 7 ai 13 anni, i campi estivi sono pensati anche per ragazze e ragazzi più grandi. E proprio sull'esperienza portata da questi ultimi si concentra l'attenzione di questo testo.
I campeggi per adolescenti - usiamo questo termine per definire la fascia d'età compresa appunto tra i 14 e i 18 anni - hanno una genesi molto interessante dato che nascono per precisa e specifica richiesta e volontà di chi, superata l'età massima per partecipare ai campi dei e delle più giovani, aveva, e continua ad avere, un interesse importante e un desiderio profondo a continuare la propria esperienza nel campo estivo autogestito. Un'esperienza maturata negli anni e che si evolve in un percorso di continuità ma nuovo e differente nella sostanza.
I campeggi per fanciulle e fanciulli, i “piccoli e le piccole” quindi, sono pensati anche in un'ottica di vacanza: un approccio ludico e ricreativo sta alla base delle giornate che il gruppo partecipante trascorre insieme. Un tempo, comunque, sempre ricco di possibilità, di incontro/scontro con una cultura e una pratica “altre”, portatrici di contenuti inusuali e di rottura critica rispetto le abitudini e l'esistente del quotidiano da loro ordinariamente vissuto (la scorsa estate, ad esempio, abbiamo affrontato un percorso di pedagogia hacker).
Vivo e presente è l'approccio organizzativo condiviso e autogestito in senso libertario: immediato e spontaneo è il loro riconoscersi in piccola comunità tra pari, adulte di riferimento comprese. Durante i campi pensati per ragazze e ragazzi la modalità proposta acquista una complessità ulteriore. La continuità che si crea tra campeggio e campeggio offre possibilità davvero significative:
“Il passaggio al campeggio dei grandi da quello dei più piccoli l'ho visto come un'evoluzione: smettere di pensare ai giochi e pensare a tematiche serie è stato un cambiamento che non mi è dispiaciuto fare. Abbiamo trattato della guerra in Palestina, dell'immigrazione sui barconi e dei luoghi dove ancora, nel 2019, la gente muore di fame per colpa delle rivoluzioni interne. Rapportarmi con ragazzi della mia età e pure più grandi è stata un'esperienza utile per lo scambio di idee e di pensieri.” (Ferdinando)
È ben evidente come chi ha partecipato fin dalla più giovane età ai campi estivi attui una modalità in cui riconosce un valore positivo che diviene consuetudine e buona pratica: sono proprio loro, ragazzi e ragazze, a chiedere di stabilire il momento organizzativo, la riunione che serve per individuare i vari impegni necessari allo svolgimento del quotidiano e a creare il modo di stare insieme della piccola comunità che si va delineando. I cerchi e le assemblee, convocati al bisogno, accompagnano la dinamica sociale e relazionale del gruppo che si costruisce nell'equilibrio tra momenti di confronto informale e momenti strutturati.
“Verso la fine di luglio 2019 ho partecipato al mio quarto campeggio di Urupia, durato una settimana e che ha saputo inondarmi di molteplici stimoli e introiettato in me una nuova prospettiva mai sperimentata. Suppongo che voi lettori siate a conoscenza che Urupia è una comunità la quale fonda le sue basi sociali, etiche, culturali... sull'anarchia. L'anarchia è un concetto relativamente giovane per la mia mente; più o meno attorno al mio tredicesimo anno di vita conobbi l'anarchia, una parola mai sentita prima d'ora che ha lasciato in me una profonda traccia. L'anarchia è qualcosa che mi ha arricchito dentro (per quel poco che ho sperimentato) e che mi ha concesso di osservare il mondo da un altro punto di vista. Qualcuno può pensare all'anarchia come: assenza di regole, caos, violenza e altre cose orribili. C'è però un altro aspetto più armonico: assenza di regole (convenzionali), vi è un ordine (diverso ma c'è) e la violenza... beh quale violenza? Durante il campeggio se non ricordo male, lessi da qualche parte che l'anarchia fa affidamento sul buon senso di ogni individuo, penso sia questo che differenzi una comunità da un branco di animali. A mio parere i primi pensano a un modo efficace per convivere, i secondi lasciano che i propri istinti li guidino indipendentemente da tutto e tutti.
Parliamo però ora del campeggio in modo generale; la prima mattinata ci siamo divisi i compiti come: cucinare, lavare i piatti, apparecchiare ecc. Avevamo molto tempo libero e durante il pomeriggio abbiamo partecipato a numerose attività e dialoghi di gruppo con: giornalisti, extracomunitari e artisti. Non mancava il supporto ai comunardi con i quali ho avuto un rapporto alla pari. Ad essere sincero è questa la cosa che mi ha colpito di più: la parità tra grandi e giovani, uomini e donne e persone con culture e/o punti di vista divergenti; ora non voglio far passare Urupia per il posto più bello del mondo ma è di sicuro un posto in cui posso evadere dalla solita vita e catapultarmi in un mondo fatto più a misura d'uomo con tempi più lenti, lavori semplici e attività estremamente a contato con madre natura. (...) Un ambiente così peculiare, almeno per quanto mi riguarda, come Urupia, mi ha dato la possibilità di confrontare il mio stile di vita con un altro e arricchire il mio bagaglio culturale. (...) Ho tratto grandi insegnamenti dal campeggio e avuto numerose possibilità di confronto e di scambio; penso ne sia valsa la pena e invito tutti i neofiti e cercatori di novità ad assaporare l'esperienza dell'anarchia.” (Uriele)
Quello che emerge sempre, e potente, è proprio la caratteristica di Urupia di essere laboratorio di autogestione, laboratorio di vita e di vite, un crocevia di incontri che offrono opportunità a chi le sappia accogliere e valorizzare. L'incontro tra giovani e adulti, la compresenza delle diverse età della vita che, riunite tutte in uno stesso luogo fisico si incontrano e si integrano portando una complessità stimolante. Ogni anno diamo un tema, un filo conduttore al campeggio in modo tale che chi arriva riconosca un'attività principale a sua disposizione in cui persone, forti dell'esperienza maturata, si mettono a disposizione per condividerla nella reciprocità; perché a ogni età, in ogni tempo della vita continuiamo a imparare. Ragazzi e ragazze sono fondamentali portatori di esperienze e di capacità che ci permettono di rimanere aggiornate su un mondo che muta e corre incessantemente. E nel loro sguardo possiamo rivedere il nostro di tanto tempo fa, nelle loro esperienze rivivono le nostre e si rinnovano.
“Quest'anno come di consueto ho partecipato al campeggio di Urupia, come ogni anno è stata un'esperienza fantastica ma quest'anno lo è stata particolarmente in quanto ho partecipato per la prima volta a quello dei ragazzi grandi. Abbiamo fatto molte attività diverse e abbiamo trattato vari argomenti da cui sono emerse opinioni esaltando le nostre diversità anche perché al Campeggio partecipano ragazzi di varie “correnti” differenti. Abbiamo incontrato anche varie persone che ci hanno parlato del tema principale di quest'anno ovvero “la guerra e l'emigrazione” ed essi l'avevano vissuta sulla propria pelle. La compagnia al campeggio è fantastica, è uno dei pochi posti in cui posso essere me stesso e in cui mi sento a casa. I ragazzi sono tutti unici, al primo impatto e forse anche al secondo alcuni possono sembrare disinteressati o fessi ma dopo questo campeggio ho realizzato che anche se l'Italia è un paese ignorante ci saranno sempre delle piccole stelle che pur emettendo fioche luci possono insieme combattere contro pregiudizi e ingiustizie.” (Emiliano)
L'adolescenza è un periodo della vita incredibile. È tanto, tantissimo: è forza, delicatezza, coraggio, entusiasmo, disperazione, paure. È rabbia e tristezza, bisogno e rifiuto. È il tempo della contraddizione: non è facile stare accanto a chi solletica e punge le nostre contraddizioni, di noi che proviamo ad essere adulte benefiche per loro, a dire qualcosa che non sappiano già e che sia onesto e leale.
Non è semplice stare accanto a chi sta cercando faticosamente la propria via, a chi si costruisce guardandoci, provando a tenersi quello che trovano di buono e a distruggere il resto.
Ma, se impariamo a elevarci all'altezza di chi ha meno zavorra che lo vincola a terra, abbiamo una magnifica occasione di crescere ancora.
È il tempo del fiore, e ogni fiore è una possibilità. Il nostro compito è quello di permettergli di sbocciare, liberamente, nel terreno adatto. E rendere fertili distese sempre più ampie.
“Urupia è forse l'esperienza più bella della mia vita. Ogni volta che ci ritorno c'è sempre qualcosa che mi dà modo di amarla sempre più, e penso che questo mio amore incondizionato non avrà fine. Forse sarà l'aria che si respira, o che girovago a piedi nudi, o il fatto che conosco e apprezzo tutti in modo diverso, ma sento che c'è qualcosa che mi lega in modo forte a quel posto. È qualcosa che non so spiegare, probabilmente perché ho passato i momenti più felici della mia vita con delle persone a cui volevo bene. Urupia è, e credo che sempre sarà, il mio posto nel mondo, il posto in cui posso essere veramente me stessa ed esternare le mie emozioni senza che nessuno mi giudichi. Per farla breve a Urupia ho lasciato il cuore.” (Graziana)

Thea Venturelli



Tecnologia/
5G, salute e distruzione ambientale

Molteplici fattori contribuiscono ad abituarci a essere costantemente connessi in Rete. Sempre più lavori richiedono lunghe ore di connessione. La socializzazione, soprattutto per le nuove generazioni, si è spostata nell'iperspazio virtuale. Fatichiamo a parlare con i nostri vicini, ma abbiamo migliaia di amici sui social. Una domanda nasce spontanea: le grandi aspettative suscitate dall'innovazione digitale trovano una realizzazione concreta o al contrario manifestano con sempre maggiore chiarezza il loro fallimento?
Gli studi inerenti il rapporto esistente tra diffusione di internet e malessere interiore confermano il loro biunivoco accrescimento. Nei paesi in cui il Global Innovation Index (indice di innovazione tecnologica) è maggiore come nel caso di Stati Uniti, Regno Unito, Svezia, Paesi Bassi, troviamo un uso record di psicofarmaci come riportato negli studi condotti dal OECD (fonte: read.oecd-ilibrary.org) e un primato per numero dei suicidi. Questi ultimi, su centomila abitanti, sono 12,5 negli Stati Uniti, 12 in Svezia, 11,8 nel Regno Unito, 8,8 nei Paesi Bassi. Risultano cifre preoccupanti, soprattutto se confrontate con quelle dei Paesi in cui si registra un indice tecnologico molto basso come la Giamaica dove ogni anno si rilevano 0,1 suicidi ogni centomila abitanti o le zone del Messico e della Bolivia in cui si pratica il buen vivir. (fonte: World Health Organization)
Un alto indice di innovazione tecnologica è anche accompagnato da livelli allarmanti di distruzione dell'ecosistema. L'impronta ecologica in ettari bioriproduttivi mostra in tutti questi Paesi un deficit rispetto alla disponibilità pro capite del pianeta arrivando, nel caso degli Stati Uniti, a +9,57, Svezia +7,95, Paesi Bassi +5,11, Regno Unito 4,72. (fonti: footprintnetwork.org e www.climatemonitor.it)
Siamo dunque sicuri che ci occorra più innovazione tecnologica? Secondo i governi di numerosi Paesi la risposta è positiva e in questo quadro si colloca il tentativo di diffondere la tecnologia 5G. Con questo termine, acronimo di 5th Generation, si indicano le tecnologie e gli strumenti di quinta generazione nell'ambito della telefonia mobile cellulare. Secondo numerosi colossi telefonici, il passaggio dal 4G al 5G non sarà una semplice evoluzione, ma segnerà il nostro modo di vivere. Tramite il 5G sarà possibile l'”internet delle cose” ovvero tutto (o almeno buona parte) dell'ambiente a noi circostante sarà costantemente connesso: così il frigo potrà dialogare con la lavatrice e la macchina da caffè con l'aspirapolvere. Inoltre, ci dicono che riusciremo a scaricare intere serie tv in tempi record. Ma è questo ciò di cui abbiamo bisogno? Siamo sicuri di voler pagare questa nuova tecnologia con la nostra salute e quella dell'ambiente?
Alcuni mesi fa sono stati resi noti i risultati di due importanti studi durati circa dieci anni. Il primo è del Dipartimento per la Sanità degli Stati Uniti che ha finanziato con venticinque milioni di dollari il National Toxological Program (NTP) dove una sperimentazione condotta (purtroppo) su settemila topi li ha sottoposi per l'intera vita a radiazioni corrispondenti all'intensità del 2G e del 3G. Il secondo studio è stato condotto dall'Istituto Ramazzini di Bologna che ha ottenuto gli stessi risultati: aumento rilevante dei tumori presenti statisticamente nei topi, di cui solo una piccola parte schwannomi (tumori benigni), prevalentemente localizzati al cervello e al cuore. Secondo Fiorella Belpoggi, direttrice della ricerca all'Istituto Ramazzini, “bisogna agire in fretta, fermare l'avanzata del 5G e informare adeguatamente la popolazione sui rischi.” (fonte: www.ramazzini.org)
È anche in conseguenza di questi due studi che lo IARC, l'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro del Oms sta rivedendo la classificazione delle onde elettromagnetiche che dalla classe 2B “possibili cancerogene” dovrebbero passare alla categoria 2A “probabili cancerogene” se non addirittura classe 1 “cancerogene per gli esseri umani”.
Secondo Agostino di Ciaula, noto medico Isde, “il 5G opera su frequenze superiori ai 20 GHz, ben più elevate di quelle sinora impiegate dai sistemi di radiotelefonia. Già oggi esistono specifiche evidenze scientifiche preliminari, cioè studi di base effettuati su cellule in vitro e cavie animali, che dimostrano come l'esposizione a frequenze superiori ai 20 GHz possa, fra l'altro, alterare l'espressione genica. Stimolare la proliferazione delle cellule. Modificare le proprietà delle membrane citoplasmatiche e la funzionalità dei sistemi neuromuscolari. Determinare stress ossidativo. Provocare mutazioni cromosomiche. E poiché per la trasmissione dati il 5G utilizza onde millimetriche, a bassa penetrazione ambientale, richiederà l'installazione di numerosissimi microripetitori. Li vedremo spuntare ovunque.” (fonte: www.quimamme.it)

Cos'è l'elettrosensibilità?
Esiste un ulteriore problema associato all'elettromagnetismo, che con il 5G non potrà che aggravarsi: l'elettrosensibilità. I quattro principali studi su questo argomento (Rea 1991, Havas 2006, 2010, McCarty et al. 2011) hanno evidenziato che l'elettrosensibilità può essere testata usando criteri quantitativi e misurabili. Si stima che circa il 3% della popolazione esposta all'elettromagnetismo sviluppa sintomi associati all'elettrosensibilità, mentre circa il 35% sviluppa sintomi moderati come deficit del sistema immunitario o malattie croniche1. In Italia la regione Basilicata ha riconosciuto questa sindrome e l'ha inserita nell'elenco delle malattie rare con delibera di giunta n.1296/2013. Inoltre, se ci soffermiamo a riflettere sulle modifiche indotte dall'utilizzo della Rete alla nostra psiche, notiamo che molte di queste non risultano affatto positive. L'utilizzo dei dispositivi associati alla Rete provoca un'alterazione di alcune sostanze presenti nel sangue come adrenalina e dopamina2 e, dunque, un vero e proprio cambiamento mutagenico, come sembra suggerire il pionieristico studio di Kimberly S. Yong3. Le ricerche dell'Accademia cinese delle scienze di Wuhan, hanno inoltre descritto come nei casi da dipendenza da internet si arrivi a una vera e propria modifica della struttura del cervello, in particolare della regione che contiene le fibre nervose4.

Come incide l'elettromagnetismo sulla natura?
Le più colpite dall'elettromagnetismo sembrano essere alcune specie di insetti e piante. È noto lo studio di Jochen Kuhn il quale ha osservato che inserendo un telefono cellulare all'interno degli alveari le api o non riescono a tornare affatto o tornano in quantità piccolissime. Le particelle di magnetite presenti nel corpo delle api le rendono fortemente sensibili e, dunque, impotenti di fronte ai campi elettromagnetici5. In passato l'abbattimento degli alberi per far posto alle antenne è stato un fenomeno triste ma limitato, con la tecnologia 5G questo processo desta maggior preoccupazione poiché a causa della velocità delle sue onde, il 5G necessita di milioni di mini antenne a micro onde millimetriche posizionate a breve distanza l'una dall'altra. Gli alberi, in particolare quelli più alti di cinque metri, ostacolano una buona irradiazione del segnale 5G e dunque dovranno essere abbattuti. È utile ricordare che gli alberi contrastano il dissesto idrogeologico, il surriscaldamento climatico e l'aumento delle emissioni di CO2. Da tenere poi presente che il 5G necessita di hardware per la costruzione del quale sono necessari materiali che diventeranno sempre più rari. La loro estrazione, i casi del coltan e del litio sono emblematici, comporta l'asportazione di ampie zone di territorio durante la quale si creano a cascata ulteriori danni ambientali a corsi d'acqua, falde freatiche, flora e fauna presenti in quei luoghi. Per non parlare dello sfruttamento dei lavoratori, poiché, ci piaccia o meno, la green economy si basa sullo sfruttamento schiavistico di decine e decine di migliaia di fanciulli minatori.

Marco Piracci

  1. I dati sono riportati nel documento Stop 5G, disponibile online.
  2. Raffaella Perrella, Giorgio Caviglia, Dipendenza da internet. Adolescenti e adulti, Maggioli Editore, San Marino 2014, p. 38-39.
  3. Kimberly S. Young, Presi nella Rete. Intossicazione e dipendenza da internet, (1998) Calderini-Edagricole, Bologna 2000.
  4. Jeremy Laurance, «Addicted! Scientists show how internet dependency alters the human brain». Disponibile online.
  5. Matteo Cozzi, Elettromagnetismo, disponibile online.