Concerti, dischi e un libro
“(...) E i concerti, vuoi mettere? Musica che accade
davanti a te è senz'altro meglio di musica riprodotta
da ascoltare, è un'esperienza più complessa, un
ragionamento profondo e complicato. Ma, se ai concerti non ci
puoi andare e l'alternativa è il silenzio, il buio sonoro,
allora penso sia positivo avere, tramite una registrazione,
la possibilità di godere della creatività musicale
anche restandosene a casa seduti davanti a due casse acustiche
immaginando di essere proprio lì a guardare le dita che
si muovono mentre la musica prende forma. Mi sono ritrovato
mille e mille volte ad ascoltare un disco dove avrei voluto
leggere anche il mio nome scritto in copertina, dove immaginavo
di essere lì dentro a suonare mentre nell'altra stanza
c'è qualcuno che registra, io che sto a guardare gli
altri che mi guardano e gli viene da ridere e poi viene da ridere
pure a me e ci si ritrova a tirarsi addosso manciate di note
col flauto e la chitarra e la batteria come fossero palle di
neve, a impazzire di felicità e volare, dissolverti,
scomparire, bruciare, diventare luce...”
(da Pop, ed. Silentes 2017 - info: store.silentes.it)
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La cover dell'album Piedirante |
Quanto è importante per me la musica, importante come
respirare, eppure quanto poco ne so, e quanto poco ne capisco.
Ogni quando possibile, e se dando un'occhiata rapida al portafoglio
mi accorgo che posso permettermelo, mi piace prendere un disco
da ascoltare e riascoltare a casa, e ancora di più mi
piace andare ad ascoltare musica dal vivo. Non mi importa se
suonano in piazza o in una cantina trasformata in circolo, se
qui in paese o a cento chilometri di distanza, se fanno jazz
oppure musica popolare, rock o cose sperimentali. Non mi importa
se è un autore giovane o se è vecchio quanto e
più di me, se è un gruppo di adesso o una rockstar
affermata... Al partecipare a un concerto mi spinge una fame
curiosa vorace che conosco da quando ero un ragazzino e che
col passare dell'età non dà segno di calmarsi
o spegnersi. Ve l'ho già detto, sì: oltre che
(...e forse più che) con le orecchie a me piace ascoltare
la musica con lo stomaco - mi piace sentire vibrare l'aria giusto
dietro lo sterno, sentirla entrare viva e vibrante tutta piena
di note e rumore dal naso e dalla bocca e scendere giù
nella pancia a dare segno di sé come fosse una cosa buona
da annusare respirare e mangiare. Musica come magia e come medicina,
come cosa buona che mi fa sentire bene, che desidero faccia
parte di me e di cui desidero diventare parte. Un bel concerto
è per me un'esperienza sinestetica: mentre succede mi
sento come se fossi portato via, quando si conclude mi sento
frastornato. Dopo un bel concerto mi sento soddisfatto come
dopo una bella cena allegra tra amici e compagni. Mi sento appagato
come se nel cammino, nel mio cammino personale intendo, mi fossi
portato avanti per un buon tratto. Un arricchimento consistente
e che non si misura con i soldi, come se dall'esperienza dell'incontro
fisico con la musica suonata dal vivo potessi diventare anzi
fossi diventato una persona migliore.
Gli Hotel Rif li avevo già visti e sentiti, ero stato
ad un loro concerto tanti anni fa quando le nostre due bambine
erano ancora piccole e con ogni probabilità quella era
una delle mie rare fughe di una sera. Li avevo visti e sentiti
sempre a Schio, sulla strada che si prende da Vicenza per andare
verso le montagne, verso Rovereto - allora cantava nel gruppo
quella Patrizia Laquidara con cui e di cui ha parlato Gerry
Ferrara su “A”436. Mi ha fatto un piacere enorme
tornare ad ascoltarli, anche per prendere le misure dei ricordi,
per rendermi conto di persona di come sono diversi rispetto
all'immagine sonora che di loro ho mantenuto dentro in testa.
È stato ben più complicato che sfogliare un album
di vecchie foto e confrontarne i contorni e la grana col mondo
che mi sta adesso davanti agli occhi: sono diversi loro e sono
diverso io, e non è solo perché sono passati gli
anni. Dal concerto, allora ed oggi, sono ritornato verso casa
con la pancia e la testa piena di buone cose sì, ma con
qualchecos'altro in più. Ci ho messo un po' per capire,
ma mi sentivo addosso anche un'euforia strana: con il dissolversi
nell'aria dell'ultima canzone, mentre tutti battevamo le mani
per appendere gli applausi in cielo come uno stormo di uccelli,
mi sembrava di essere appena sceso da un treno o da un autobus
tipo dopo un viaggio in un posto nuovo. Un posto in cui mi sembrava
di essere già stato, e invece no. Dove abita gente che
parla in maniera diversa da come parlo io ma con cui presto
ci si capisce, un posto dove ti offrono una sedia per riposare
e da bere c'è acqua fresca e vino buono, dove in cucina
usano impasti con spezie ed erbe che attorno a casa mia non
crescono ma che hanno aroma e sapore che spingono ad allungare
i discorsi, a scambiare sorrisi, strette di mano ed abbracci.
Un posto che non è casa e neanche quasi-casa e che non
somiglia a casa, ma in cui si sta bene perché la voglia
di ritornare chissà perché trova tutte le strade
sbagliate, e si perde. Non so, sarà forse perché
le mie radici sono rimaste corte e sottili - sono nato in un
posto, cresciuto in un altro e ho messo su casa in un altro
ancora - ma mi ritrovo spesso con la voglia di andare via, voglia
addosso di vedere cosa c'è di là del mare e delle
montagne, voglia di prendere un treno che non ho mai preso prima
per arrivare alla fine dei binari e vedere come sono fatte le
stazioni e le strade, cosa mangia la gente, come parla, cosa
si mettono addosso, cose così. Quando mi assalgono queste
voglie di mettermi in strada, voglie di orizzonte nuovo, gli
Hotel Rif sono i compagni di viaggio perfetti.
Per tentare di rivivere l'aria del concerto ho portato a casa
un cd: si chiama “Piedirante” e nonostante non sia
una produzione recentissima è un lavoro sopra al quale
la polvere implacabile del tempo preferisce non appoggiarsi:
la vedo che volteggia, esita indecisa e poi decide e si spinge
altrove.
Contatti: il sito www.hotelrif.com appare irraggiungibile, ma
con facebook a trovarli ci mettete un attimo.
Le differenze che uniscono
Un progetto editoriale insieme a Carmine Mangone... beh, fino a solo qualche mese fa era solo un sogno comune anzi diciamo meglio un sogno a lunga scadenza messo in frigorifero e lasciato lì. Ma un giorno, parlandone a quattr'occhi, ci si è accorti che del nostro vago e bel fantasticare ci eravamo stufati - così l'abbiamo concretizzato: il libro si chiama “Vieni: tumulto, carezza” (co-ed. Ab Imis e stella*nera, 2019).
Ci si conosce con Carmine da tanti anni oramai non ricordo più di preciso da quanto, lui più giovane di me e affamato di anarcopunk quando avevo già assaporato le prime delusioni grosse, quelle che feriscono - io però zitto, deciso a non confidargli le mie perplessità perché trovavo fosse ingiusto raccontare l'amaro a un ragazzo che ci crede. Lista delle differenze appariscenti: l'età anagrafica e la provenienza geografica, intanto. Che sono nato prima l'ho già detto, dico poi che lo sono nella provincia del nordest quella che dicono tutti traina il Paese ma che nessuno vede languire soffocata da anni di asfalto e cemento armato e discariche abusive, lui salernitano universitario a Firenze. Io fanzinaro, mentre lui scrittore e traduttore e persino poeta che bazzica City Lights e giri che io neanche mi azzardo. Chi prima e chi dopo, una riva o l'altra del fiume, città oppure paese, istituto tecnico oppure università sono tutte differenze che, a guardare bene, sono proprio sottili e senza consistenza, senza spessore, polvere che serve a poco o niente negli ingranaggi - quelli nostri, dico.
Tra di voi c'è chi Carmine già lo conosce, grosso modo metà lo adora l'altra metà lo evita. Scrivo a questa seconda metà: fate come me e toglietevi gli occhiali e approfittate della miopia, fate dell'imprecisione della vostra vista un vantaggio strategico e mettetevi lì d'impegno a scrutare i contorni mal definiti delle cose. Prendetevi del tempo e mentre cambia la luce del giorno soffermatevi sui colori che acquistano sfumature e si confondono. Leggete il libro un morso alla volta una leccata alla volta un bacio alla volta. Leggetelo in due, strappate le pagine e scambiatevele. Leggetelo in tre. Leggetelo da soli e senza che nessuno vi veda toglietevi i tappi dalle orecchie e soprattutto toglieteveli dal cuore, lasciatelo respirare, toglietegli il collare e lasciatelo correre, lasciatelo volare a perdifiato, lasciatelo andare via.
Il libro l'ha scritto Carmine come solo lui sa scrivere d'amore, ci sono dentro cinque tavole (meglio: quattro dentro e una subdola in copertina - un disegno che si capisce solo a partire dalla seconda volta) di Simone Lucciola, io ho dato una mano a comporre il testo per la tipografia e nonostante i miei sforzi per rovinare tutto ne è venuta fuori una cosa figa. Niente distribuzione commerciale né alternativa (solo qualche banchetto selezionato), offerta libera e responsabile.
Contatti: www.carminemangone.com,
simonelucciola.blogspot.com.
Marco Pandin
stella_nera@tin.it
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