Rivista Anarchica Online


società

Siamo tutti coinvolti

di Elisa Mauri

La distanza fisica, sociale e psicologica tra “noi” e le persone sfruttate, discriminate e detenute, insieme a un apparato burocratico che giustifica azioni crudeli, creano l'humus per una disumanità dilagante. E la responsabilità di chi accetta supinamente l'attuale situazione è incancellabile.


«Quanto più è grande la distanza fisica, psicologica e sociale, tanto più è facile e praticabile la crudeltà. Perché la distanza interrompe il legame causale tra l'azione e la sofferenza inflitta. L'azione offensiva si trasforma in un atto indiretto, cui si interpongono altre azioni e persone, viene frazionata mediante specializzazioni funzionali all'interno di un procedimento complesso. La divisione del lavoro facilita i comportamenti disumani trasformandoli in atti mediati e collettivi che annullano la responsabilità individuale.»
Antonio Deriu ha appena descritto il meccanismo su cui si fonda la banalità del male. Lui ne scrive in relazione alle istituzioni totali, all'interno delle quali chi ha un ruolo, definito da una gerarchia e da un'organizzazione burocratica, rischia fortemente di agire questa banalità del male, senza nemmeno pensarci troppo e trovando diverse giustificazioni formali dietro cui nascondersi – Gaetano De Leo li chiamerebbe i meccanismi del disimpegno morale.
Mentre leggo le conclusioni del breve saggio di Deriu mi ricordo – nel senso etimologico del termine, quindi rimettere nel cuore, che anticamente era considerato la sede della memoria – alcuni fatti: mi ricordo delle 160 persone salvate da Open Arms, abbandonate in mare perché nessuna autorità politica intendeva dare loro un porto sicuro, come previsto dalla legge.
Mi ricordo anche di diverse persone incontrate in carcere che hanno dovuto affrontare la traversata del Mediterraneo per sperare di poter realizzare il loro sogno di una vita diversa, magari anche più volte: ho in mente un ragazzo africano molto giovane che aveva dovuto tentare due volte il viaggio perché la prima volta era stato rispedito indietro come un pacco postale che torna al mittente.
Mi ricordo diversi genitori – sì, anche italiani – che non trovando lavoro sono finiti nelle maglie della devianza criminale per sopravvivere, per dare da mangiare ai loro figli, per pagare l'affitto, le rate della macchina e le rette a scuola: c'è chi fa piccoli furti, chi spaccia piccole quantità di droga per avere qualche soldo per fare la spesa, chi finisce nelle mani abili degli strozzini che sanno approfittare dei momenti di difficoltà delle persone.
Mi ricordo di aver guardato recentemente la serie tv Good Girls su Netflix che racconta proprio di come delle brave ragazze – Beth, Annie e Ruby – si trasformino in una piccola gang criminale per mandare avanti le rispettive famiglie: la figlia maggiore di Ruby ha necessità di fare un trapianto di rene a causa di una rara patologia di cui soffre, ma l'intervento è molto costoso. Annie deve prepararsi a combattere una battaglia legale con il suo benestante ex marito che chiede l'affidamento esclusivo di Sadie. Beth deve salvare la sua casa e il futuro dei suoi figli dai casini economici causati dal marito fedifrago. Così queste tre donne, finora rispettabilissime cittadine americane, decidono di rapinare il grande supermercato per cui lavora Annie: si ritrovano con un bottino di circa 100 mila dollari, che scopriranno appartenere a Rio, capo di una banda di gangster.
Perché parlo di fatti reali e di serie tv? Perché in fondo, tutti i fatti sopracitati parlano delle nefaste conseguenze di scelte politiche di cui siamo responsabili.
Certo, se seguiamo la catena del disimpegno morale possiamo dirci che la politica è una cosa lontana da ognuno di noi, che noi non possiamo nulla. Sembra quasi che subiamo la politica e non che siamo noi a sceglierla, a determinarla. Infatti, fino a prova contraria, apparteniamo a Paesi democratici dove è il popolo a scegliere i suoi rappresentanti attraverso uno strumento specifico: il voto. Quindi, come cittadini abbiamo una responsabilità individuale che si riflette poi nel collettivo, nella comunità che abitiamo e nella società che contribuiamo a costruire.
Dobbiamo tornare allora al momento in cui qualcuno ha scelto di mettere una X sul nome di chi vuole riportarci indietro al fascismo e al totalitarismo, di chi fa propaganda di disvalori, di prepotenza e di disumanità, di chi agisce contro la legge, anche internazionale, perché si crede al di sopra di questa, proprio come una sorta di monarca illuminato.
Hanno fatto una scelta che stanno pagando altre persone, ma la loro sofferenza è dimenticata – all'opinione pubblica non interessa vedere le atrocità dei lager libici – oppure viene giustificata – prima gli italiani – oppure se stai in carcere vuol dire che hai sbagliato e se hai sbagliato è giusto che paghi.

Le condizioni per essere disumani

E allora torniamo alla banalità del male, perché sembrano esserci quelle poche ma fondamentali condizioni perché si manifesti: isolamento di un gruppo di persone – carcere, larger libici, centri di detenzione –, creare una distanza fisica sociale psicologica – non credo che Salvini, né tantomeno i suoi elettori abbiano mai incontrato una persona detenuta oppure un naufrago sopravvissuto alla traversata del Mediterraneo –, e generare un apparato burocratico che, in qualche modo, giustifichi azioni disumane a danno di quel gruppo – tipo quella propaganda fascista che sta tornando in auge, oppure un decreto sicurezza. Ecco creato l'humus per diventare disumani, per agire come vuoti ingranaggi di un grande meccanismo burocratico e di potere.
Anche Eichmann si sentiva “solo” una piccola rotellina, che faceva “solo” il suo dovere, all'interno di un disegno più grande: «un uomo all'apparenza normale, religioso, affezionato alla famiglia, privo di patologie psicologiche, aveva organizzato lo sterminio di milioni di uomini, celato da un apparato burocratico che si muoveva con zelo e precisione, sotto la legittimazione formale dell'autorità politica.»
La facilità con cui possiamo essere fagocitati da questo meccanismo burocratico, mi ricorda l'esperimento dello psicologo Stanley Milgram, il cui scopo era quello di studiare il comportamento di soggetti a cui viene richiesto, da un'autorità amministrativa, di eseguire delle azioni contrarie all'etica e alla morale condivisa dalla comunità.
Reclutò così un campione di uomini dai 20 ai 50 anni, di diversa estrazione sociale e chiese loro di prendere parte a un esperimento sui processi di apprendimento. Il gruppo venne allora diviso in allievi e insegnanti; gli insegnanti ebbero il compito di infliggere una scossa elettrica agli allievi, seduti su una sedia collegata ad un generatore di corrente in una stanza separata, ogni volta che questi commettevano un errore. A ogni errore l'intensità della scossa aumentava – ovviamente la scossa non veniva realmente erogata, ma gli insegnanti non conoscevano questo dettaglio.
Con questo esperimento Milgram dimostrò sostanzialmente due cose:

  1. qualsiasi persona, collocata all'interno di un'organizzazione complessa, poteva essere indotta a compiere azioni dalle disumane conseguenze. Infatti, solo il 30% degli insegnanti si rifiutò di rispettare gli ordini e quindi di preservare gli studenti dalle scosse elettriche;
  2. la propensione degli insegnanti ad eseguire gli ordini variava in rapporto alla distanza fisica con gli studenti che avrebbero pagato sulla loro pelle le conseguenze di quell'obbedienza: quando gli insegnanti non assistevano alla sofferenza degli studenti erano più propensi ad infliggere loro le scosse – insomma, occhio non vede cuore non duole.
Svegliarsi dal sonno della ragione

Oggi, nel 2019, chi è parte di quella maggioranza che ha determinato il governo deve sentirsi responsabile della sofferenza di quelle 160 persone in mezzo al mare su una nave di 35 metri, della censura nelle scuole e sugli striscioni che fanno opposizione, del fatto che la politica scelga dei decreti sicurezza e non di investire in politiche sociali e di integrazione.
La cosa più grave è che nel 2019 con ogni mezzo tecnologico e di informazione a propria disposizione non è difficile informarsi e anche variare i propri canali d'informazione: ci sono documentari sui lager libici disponibili su youtube, qualcuno parla ancora dell'impatto rovinoso della miseria nella vita delle persone, ma se non volete fare troppa fatica potete anche guardare una serie tv, come Good Girls, ma anche la famosa Orange is the new black dove si parla di carcere, di immigrazione e della mancanza di supporti sociali.
Esistono diversi modi per vedere, per svegliarsi dal sonno della ragione, quindi non voler vedere diventa una scelta e anche di questa scelta siete responsabili in prima persona, voi e nessun altro.

Elisa Mauri