Rivista Anarchica Online





Free labour.
Alle origini dello sfruttamento digitale

Ci sono attività tipiche delle interazioni digitali (moderazione di forum e chatline) che vengono sfruttate per estrarre profitto non remunerato.

Il concetto di digital labour eredita le considerazioni sul free labour sviluppate all'inizio degli anni Duemila. All'epoca, il Web costruito sopra Internet è all'inizio della sua esplosione; si contano quasi quattrocento milioni di utenti (cresciuti a 3,5 miliardi nel 2017). Per molti si tratta ancora di un mondo esotico, enigmatico. Le grandi imprese del settore approfittano degli ultimi momenti di euforia a Wall Street, prima dello scoppio di quella che passerà alla storia come la bolla speculativa delle Dot-com. La gran parte degli smanettoni e hacker non si interessano molto di investimenti, finanza ed economia. Internet è per loro, più che altro, il terreno di gioco più inebriante che sia mai esistito. Alcuni fra i più politicizzati, come noi, ritengono che l'incrocio fra Internet e una cultura dell'autogestione, del DIY (Do It Yourself), consenta non solo di comunicare liberamente, ma anche di creare una società emancipata dal mercato, dal denaro, dagli Stati.
Oggi questo elogio di un «anarco-comunismo» in salsa Internet, pronto a invadere la quotidianità, può far sorridere. Alcune analisi si sono però rivelate piuttosto fini, come quella di Richard Barbrook e Andy Cameron, che fin dal 1995 avevano indicato nella «ideologia californiana»1 il filo conduttore per comprendere i mutamenti sociali dell'epoca digitale, l'informatica di massa orientata al dominio. Oggi questa ideologia si è infiltrata dappertutto, nell'insieme degli strumenti con cui ci connettiamo alla Rete, fino a modificare il nostro modo di pensare, agire, relazionarci.
Proprio nell'anno 2000 la studiosa Tiziana Terranova pubblica la prima versione del suo articolo «Free labour», nel quale discute alcune forme di attività online attraverso il prisma del lavoro. Alcuni impiegati delle imprese dominanti nell'industria dei media digitali, constata l'autrice, possono avere l'impressione di fare «qualcosa che non assomiglia affatto al lavoro», mentre altri loro colleghi sono veri e propri «schiavi della Rete». La spiegazione di queste opposte percezioni è semplice: posizioni gerarchiche differenti e trionfo di un neoliberismo a cui Internet sta offrendo gli strumenti perfetti per aumentare la flessibilità, ovvero la precarietà; facilitare la formazione e riqualificazione permanente; estendere e rendere più solido il modello della cosiddetta «auto-imprenditoria» e così via. Terranova sottolinea inoltre che il confine fra lavoro e svago diventa sempre più sfumato, se ci si attiene alla percezione degli impiegati del settore digitale, anche grazie alla cultura hacker.
Questo aspetto si rivela ancora più interessante se guardiamo non a quei privilegiati che si divertono al lavoro, ma a coloro che ritengono di compiere un lavoro invisibile e rivendicano per questo una remunerazione. Nel 1999, sette moderatori «volontari» delle chatrooms di AOL (America On Line) chiedono di essere pagati per il lavoro svolto gratuitamente da anni. Questo è secondo Terranova un evento rivelatore di un fenomeno nascosto ma ormai massiccio, un'attività in eccesso fonte di valore, un «lavoro» al tempo stesso gratuito e «libero», per via del duplice significato del termine “free” in inglese. I moderatori dei forum e delle chatroom non sono certo i soli in questa situazione. Moltissime contributrici e contributori si dedicano, senza percepire un centesimo, alla programmazione di software, alla creazioni di siti Web, alla gestione di mailing list e così via.

Dal lavoro immateriale alla moltitudine

Secondo Terranova alcune categorie marxiste tradizionali, come il concetto di sfruttamento, possono essere utilizzate per comprendere la situazione, ma presentano notevoli limiti. Il free labour non è una forma di lavoro «tradizionale» in un contesto specifico, ovvero Internet. Incarna piuttosto «una relazione complessa con il lavoro, diffusa nelle società tardocapitaliste». Così l'intera analisi viene ricondotta a una prospettiva teorica erede dell'autonomia italiana, imperniata in particolare sui concetti di «lavoro immateriale» e «operaio sociale», sfruttato in una società che assomiglia a una fabbrica, centrali nelle analisi di Lazzarato e Negri.
Nell'organizzazione globale della produzione, il «lavoro immateriale» svolgerebbe ormai un ruolo strategico. Il general intellect marxiano dei Grundisse diventa così lavoro all'origine del contenuto informativo e culturale della merce, lavoro che mobilita un sapere sociale accumulato dall'intera società. Per Lazzarato si manifesta in «due fenomenologie diverse di lavoro»: da una parte, per quanto riguarda il «contenuto informativo» della merce, allude direttamente alle modificazioni del lavoro operaio nelle grandi imprese dell'industria terziaria, dove i compiti lavorativi sono sempre più subordinati alla capacità di trattamento dell'informazione e di comunicazione orizzontale e verticale; dall'altra parte, per quanto riguarda l'attività che produce il «contenuto culturale» della merce, allude a una serie di attività che non sono solitamente codificate come lavoro.2
La «fabbrica sociale», idea faro dell'autonomia italiana, è una particolare declinazione rispetto al marxismo ortodosso e al ruolo centrale che questo assegna alla fabbrica (e all'operaio) nella produzione. Mira a prendere in considerazione alcune trasformazioni del capitalismo, estendendo lo schema della critica marxista stessa. Nel concreto, descrive il divenire fabbrica di una società in cui il capitale invade l'insieme dei rapporti sociali, estendendosi su ogni territorio e forma di vita per «valorizzarle», ovvero per estrarne il massimo valore possibile.
Il tempo libero si riduce quindi a un momento, anch'esso da valorizzare, di una vita sociale interamente sottomessa al capitale. Allo stesso modo, la categoria di lavoro produttivo può essere estesa all'insieme delle attività sociali, inglobando così il lavoro domestico non retribuito svolto perlopiù da donne che, nella gran parte dei casi, si trovano obbligate a compierlo. In questo contesto, l'espressione «classe operaia» consente più agevolmente di designare una grandissima varietà di categorie sociali. Sostituita dalla sua versione post-operaista più dolce, «moltitudine», è adatta a descrivere più o meno chiunque faccia parte delle società attuali.
Gli esempi di free labour portati da Terranova possono quindi configurarsi come lavoro a livello teorico, pur mettendo in discussione in certo modo le rappresentazioni comuni del concetto stesso di lavoro.
I social media sono fabbriche,
gli utenti sono operai sfruttati?
No. I social media commerciali di massa sono architetture studiate per estrarre biodiversità mediante la profilazione3. Gli utenti seguono le procedure dettate dalle interfacce, dall'architettura. Sono materie prime, non lavoratori: le procedure di mercificazione riguardano i loro corpi, il loro tempo, la loro attenzione. L'interazione con i social disegna i loro caratteri, struttura la loro psiche, formatta le loro relazioni sociali. Riconfigura la società della prestazione in ossequio alla logica del libertarianesimo4. Il lavoro è effettuato dagli algoritmi. Le attività sono piacevoli, basate sulla gamificazione5, cioè sul riconoscimento e la gratificazione continua.
D'altra parte non tutti i social media sono uguali. Si possono costruire piccole reti federate fra loro a livello internazionale, grazie a sistemi peer-to-peer6, collaborando con le macchine, con un approccio hacker.
Non tutte le macchine sono uguali, non tutte le tecnologie sono orientate al dominio.

Ippolita
info@ippolita.net

  1. Si veda “A rivista anarchica” anno 48 n. 423 marzo 2018 In un mondo ridotto a un gigantesco mercato di Ippolita.
  2. Maurizio Lazzarato, Le Concept de travail immatériel: la grande entreprise, in “Futur antérieur”, n° 10, 1992. Ripreso in www.multitudes.net/Le-concept-de-travail-immateriel/.
  3. Si veda “A rivista anarchica”, anno 49 n. 434, maggio 2019, Profilazione digitale di Ippolita. La profilazione (profiling) è l'insieme delle tecniche che serve per identificare il profilo dell'utente in base al comportamento.
  4. Il libertarianesimo è una variante estremista del liberalismo. Il libertarianesimo porta alle estreme conseguenze l'idea di una libertà concepita come assenza di restrizioni rispetto all'esercizio del diritto di proprietà di ciascun individuo su se stesso e sugli oggetti che ha legittimamente acquisito. Tale rivendicazione conduce il libertarianesimo a una critica dello Stato in quanto istituzione che limita la libertà individuale.
  5. Si veda Ippolita, Anime Elettriche, Jaca Book, p. 99.
  6. Si veda “A rivista anarchica”, anno 47 n. 415, aprile 2017, Individui autonomi e reti organizzate di Ippolita. In un sistema p2p ogni macchina connessa alla rete – anche il nostro computer di casa volendo – condivide una parte delle proprie risorse al pari delle altre macchine connesse. In questo sistema l'architettura esalta l'uguaglianza di ogni nodo rispetto a tutti gli altri e la sua libertà di contribuire o meno alla rete stessa: non vi sono vincoli alla comunicazione tra nodi che avviene sulla base della scelta di ciascuno.