Rivista Anarchica Online


Amazzonia

La foresta brucia

di Adriano Paolella

Nei roghi del Brasile (e non solo) va in fiamme anche l'ipocrisia di un modello economico incapace di risolvere i problemi comuni.


La situazione

La Foresta Amazzonica contiene il 10% delle specie animali e vegetali dell'intero pianeta, in essa abitano circa un milione di nativi divisi in 400 gruppi di differenti lingue, abitudini, culture; produce il 20% dell'ossigeno presente nell'atmosfera e assorbe 2 miliardi di tonnellate di CO2 l'anno, pari al 10% delle emissioni annuali totali.
La Foresta Amazzonica brucia. 225.000 ettari in fumo nel solo mese di luglio, il triplo rispetto al 2018; oltre 72.000 incendi, di cui il 50% ha interessato la foresta pluviale, sono stati censiti nel solo Brasile dall'inizio dell'anno; in questo momento sta bruciando circa un ettaro di foresta ogni minuto (fonte: BBC).
Secondo Greenpeace l'andamento degli incendi mette a rischio la possibilità di attuare le decisioni prese dagli Stati nella COP di Parigi (limitare l'aumento delle temperature a 1,5°C). E tutto ciò è riconducibile all'azione umana: gli incendi sono dolosi e l'attuale governo brasiliano è indicato come primo fautore di questa politica del fuoco, per avere ridotto i livelli di protezione, per aver attuato una politica di sfruttamento delle risorse, per non essere intervenuto in tempo, per aver risposto, su sollecitazione internazionale, in maniera risibile (invio di militari senza adeguate attrezzature antincendio).
L'impegno di privati e di governi a distruggere la Foresta Amazzonica è palese da molto tempo. Fino agli anni '60 del secolo scorso l'accesso alla foresta era limitato, si deforestavano i suoi margini, ma negli anni '70 fu costruita una strada, la Transamazzonica, con il preciso scopo di sostenere lo “sviluppo” dell'area, che penetrò nel profondo della foresta, ne distrusse l'unitarietà, la divise in parti, indebolendola, e sostenne gli interessi senza scrupoli di chi voleva sfruttare, fino alla distruzione, il più esteso e complesso sistema naturale del pianeta.
Dal 1970 ad oggi si sono persi più di 800.000 km² di foresta pluviale dei circa 4.100.000 km² allora esistenti. Nel corso degli anni la distruzione ha avuto andamenti diversi, in ragione dell'efficacia delle politiche di tutela e controllo attuate, dai 21.130 km² del 1977 ai 13.730 del 1990, dai 18.226 del 2000 fino ai 7.000 del 2010. Sono quantità comunque sempre troppo elevate (per avere un confronto quantitativo, Israele ha una superficie di 20.770 km² e l'Italia di 302.073 km²), ma i dati di queste settimane indicano una recrudescenza inaspettata.


Toa55/Shutterstock.com

Le ragioni

Come può avvenire questo suicidio planetario quando tutti i governi del mondo non fanno che sottolineare l'importanza della Foresta Amazzonica per la salute degli individui e per la qualità della vita degli esseri umani?
Dal 1960 a oggi il consumo mondiale di carne è passato da 70 a 330 mln/t anno. Nello stesso periodo la popolazione è aumentata da 3 mld a più di 7,6 mld di individui e il consumo pro capite è aumentato (in Italia nel 1961 si consumavano 27 kg di carne, oggi intorno agli 80 kg pro capite anno), e anche se nel 2018 un Etiope ha consumato 7 kg di carne (bianca o rossa), uno Statunitense è arrivato a 115 kg (fonte: FAO).
Ogni cittadino europeo consuma 61 kg di soia di cui il 93% costituito da mangimi animali (ad esempio, per fare 100 grammi di carne di maiale sono necessari 51 grammi di soia ovvero 12,5 kg di soia l'anno a testa solo per i 25,4 kg di carne di maiale) (fonte: WWF).
Per sostenere questa produzione e questo consumo sono necessari milioni di ettari di terreni utilizzati o direttamente per l'alimentazione dei bovini o per coltivare gli alimenti per i bovini. La ricerca di terreni per l'allevamento è in costante crescita. I luoghi ottimali di questa espansione sono le foreste pluviali, dove la proprietà è spesso pubblica, dove vi sono concessioni di uso e dove spesso i terreni afferiscono alle comunità native; è qui che si può razziare terreni e risorse e così dal 1961 al 2007 la superficie arabile mondiale è aumentata di 150 mln di ettari a scapito delle foreste.
Il Brasile è il maggiore produttore di soia del pianeta; nel 2018 con 117 mln/t anno ha superato gli USA (116 mln/t anno), ed è anche il più grande esportatore di soia (che, come abbiamo visto, è fondamentale per gli allevamenti). Ma il Brasile è anche il secondo maggiore produttore mondiale di carne bovina, con scenari futuri di grande crescita: secondo Rabobank's Food & Agribusiness Research and Advisory Department il Brasile passerà dagli attuali 4,5 milioni di capi bovini a 9 milioni nel 2023, aumentando la produzione di carne bovina al ritmo di 2,5 mln/t anno.
La carne bovina ha un prezzo medio (bovini da ristallo, vitelli, vitelloni) di circa € 4.000 a tonnellata. Un montagna di soldi. E il Brasile è il più grande esportatore mondiale di carne bovina (nel 2015 l'UE ha importato 120.000 t e l'Italia è il primo importatore europeo, con 28.000 t) (Fonte: Confagricoltura).

Foresta Amazzonica: la deforestazione non è un incidente,
è un preciso progetto

Il re è nudo

L'incendio dell'Amazzonia:
- dimostra il fallimento delle politiche internazionali sui beni comuni. I governi non riescono a tutelare il patrimonio ambientale del pianeta, bene comune per eccellenza; non riescono a praticare politiche che non compromettano qualitativamente e quantitativamente suolo, acqua, aria, mari, foreste;
- evidenzia la strutturale incapacità dei governi di operare insieme, di entrare in un'ottica non nazionalistica, di difendere gli interessi della collettività dalla predominanza degli interessi privati che governano i governi, e speculano indiscriminatamente anche quando a rischio è la salute del pianeta e della popolazione mondiale;
- manifesta il disinteresse della diversità, delle minoranze etniche e culturali, delle comunità senza potere, considerando l'autonomia dei nativi e delle specie animali selvagge (tutto molto bello ma nelle riserve, nei parchi, negli zoo) incompatibile con i caratteri della società da essi creata (forse perché concorrenziale);
- è la prova che in ambito ambientale e sociale i comportamenti non stanno migliorando, che la consapevolezza dell'importanza dell'ambiente non è diffusa e consolidata come si vuole da più parti fare intendere e che, quando serve, si ricorre alla violenza per sostenere il predominio dell'interesse di pochi (e prova ne sono, oltre agli incendi dolosi delle foreste pluviali, i 162 ambientalisti uccisi nel 2018 (Fonte: Global Witness) e le migliaia di indigeni assassinati negli ultimi anni);
- dimostra il fallimento delle politiche di autodeterminazione qualitativa del settore produttivo (che secondo la teoria industriale e i protocolli internazionali riuscirebbe a migliorarsi in ragione della crescita di una domanda sempre più qualificata del mercato), della spirale del miglioramento continuo dei prodotti (di cui siamo succubi, ad esempio, nel campo della mobilità su gomma – euro 1,2,3, etc.), dell'autonomia dell'economia da società e politica (il mercato si autodetermina e attraverso nuove soluzioni tecnologiche migliora le condizioni dell'ambiente e della società). Sul totale della produzione planetaria il numero delle industrie che hanno migliorato ambientalmente e socialmente i processi produttivi e il ciclo di vita dei loro prodotti sono una encomiabile ma ristretta minoranza; il resto riamane una produzione di quantità e di bassissima qualità;
- rende palese i due mondi connessi: la contemporanea presenza di un mondo percepito leggero, ottimista, pulito, accattivante e di un mondo pesante, nascosto, greve ma funzionale e connesso al primo, dove si fanno i lavori sporchi, dove si massacra l'ambiente e si riducono in schiavitù persone e comunità, dove non vi sono diritti per nessuno tranne per quelle piccolissime minoranze che con e per i soldi governano gli stati. Dimostra che la sensibilità ambientale dei governi, quando presente, esiste fin quando non vi è un forte interesse di sfruttamento delle risorse. Ad esempio, se in Europa si è registrato l'aumento della superficie boscata (dal 1990 al 2015 incremento di 17,5 mln/ha) (fonte: State of Europe's Forests 2015) non è perché vi è una politica in tal senso ma solo perché non vi è interesse economico ad usare i terreni montani e alto collinari per l'agricoltura, e proprio la mancanza di una politica in tal senso fa intendere che nel caso malaugurato servisse il legno, le foreste italiane e europee avrebbero i giorni contati;
- Mostra l'importanza di sensibilizzare i cittadini sul fallimento del liberismo (e del modello consumistico globale connesso) colpevole di non avere portato benessere diffuso e di non essere riuscito a conservare il più esteso patrimonio naturale del pianeta; è quindi inadeguato a influire nella configurazione del nostro futuro perché nonostante i grattacieli, la ricchezza (di pochi), la superficialità dei contenuti, le merci, ha un lato oscuro, violento, insensibile che porta dolore e malessere.

Gli incendi registrati dal satellite nella giornata del 23 agosto 2019
Fonte: Nasa. Fire Information for Resource Management System

Conclusioni: non ci prendete in giro (almeno questo)

Ci sono due maniere per prenderci in giro: la prima è quella più rozza, del mondo “sporco”, è la risposta di Bolsonaro che minimizza il problema e manda l'esercito (demagogia di basso livello); la seconda è quella leggera, ottimista, quella del G7 che rende disponibile 20 mln di dollari per contribuire ad affrontare l'emergenza incendi.
Negli ultimi anni i governi hanno elargito alle aziende e alle amministrazioni per la ricerca, per l'aumento della qualità dei prodotti e per il sostegno a sistemi operativi basso emissivi (aumento efficienza auto, mobilità, riscaldamento, edifici, energia, etc.) finanziamenti per centinaia di miliardi di euro. È aumentata l'efficienza di alcuni settori (come detto, non di tutti), ma aumentando al contempo la quantità delle produzioni, le emissioni sono aumentate (anche nei settori finanziati).
Allora avendo a disposizione un sistema naturale che assorbe il 10% delle emissioni di CO2 la cifra da investire per la sua salvaguardia dovrebbe essere coerente con il valore delle emissioni non emesse, e quindi nell'ordine dei miliardi di euro e non dei milioni.
La volontà governativa di salvare la Foresta Amazzonica non si esprime con una elemosina, ma smettendo di comprare la soia e la carne prodotta in Brasile, avviando interventi di riforestazione dell'Amazzonia, bloccando le speculazioni in atto, obbligando alla ricomposizione della foresta nelle aree percorse da incendi (vi è una norma di questo tipo in Italia che, seppure trascurata da molte amministrazioni, ha avuto effetti positivi), acquisendo con gli organismi internazionali le concessioni di sfruttamento (per poi non utilizzarle) e direttamente i terreni forestali, come fatto da alcune associazioni ambientaliste.
I cittadini sono fondamentali per stimolare e costringere l'attuazione di politiche in questo senso, agire direttamente sul mercato non mangiando carne e soia brasiliani (che è il motore dei disboscamenti in Amazzonia) e riducendo il consumo di carne (che è causa di emissioni di gas serra e di disboscamenti e impoverimento dei suoli in tutto il mondo, oltre ad essere uno degli alimenti più onerosi per l'ambiente) e sperimentando forestazioni locali.

Adriano Paolella