Rivista Anarchica Online


politica

Il lato nascosto delle elezioni

di Andrea Papi

Un vero e proprio mutamento genetico irreversibile. Questo si evidenzia, secondo il nostro collaboratore, dall'analisi della partecipazione e dei risultati elettorali delle ultime elezioni (europee e locali). Una disaffezione dal voto che ha più a che vedere con il disinteresse per la dimensione sociale e solidale della società che con la volontà di riprendere in prima persona la responsabilità delle scelte per il futuro.


I risultati delle ultime elezioni europee del 26 maggio scorso mettono in evidenza come sia ormai un dato di fatto che l'immaginario collettivo abbia subito una definitiva mutazione. Nella società italiana senza dubbio, ma anche in varie maniere nel resto d'Europa e del mondo occidentale.
Tenendo conto che il periodo di riferimento della mia esperienza è quello post-sessantottino, di cui le attuali giovani generazioni non solo non hanno memoria ma presumo neanche un vago sentore, mi sento di affermare con certezza che ora il “mondo” in cui viviamo non solo non è più lo stesso, cosa di cui ci eravamo accorti da un pezzo, ma che il cambiamento assestatosi corrisponde a un vero e proprio mutamento genetico irreversibile.
Il riferimento alla mia “epoca” esistenziale è importantissimo. Permette di avere una panoramica comparativa che ci mostra con grande realismo la qualità dell'avvenuta trasformazione. Il Sessantotto di mezzo secolo fa è stata l'ultima vera rivolta generazionale antisistema, per tanti versi collegata al contesto socio-politico occidentale di tipo otto-novecentesco, quando le propensioni collettive erano ancora caratterizzate da tensioni che per comodità chiameremo di tipo socialistico. Le collocazioni di destra e sinistra, per esempio, avevano un senso comprensibile e sensato, dal momento che i riferimenti teorici e immaginativi che ne scaturivano si rivolgevano da una parte a progettualità sociali utopiche tendenti a realizzare situazioni alternative anticapitaliste di tipo social-solidaristico, dall'altra di converso si schieravano a difesa dei poteri liberal-capitalistici vigenti. In tutta evidenza, il mondo per come lo vivevamo ci sembrava sostanzialmente diviso in due aspirazioni contrapposte. Da una parte il desiderio di una società futura più giusta e più equa, dall'altra il “piacere” di essere immersi nel consumismo liberista.

Maggiore sicurezza (economica ed esistenziale)

Oggi tutto ciò si è completamente volatilizzato, portandosi via le aspirazioni e gli scenari da “sol dell'avvenire”. Le masse dei diseredati e non abbienti, una volta potenzialmente rivoluzionarie, non sembrano desiderare più nessun tipo di società alternativa all'esistente, mentre danno l'idea di aspirare a cambiare le proprie condizioni di vita senza porsi il problema di modificare questo mondo in senso socialistico. La propensione immaginativa non esplora più territori utopici di là da venire. Ciò che generalmente sembra albergare nei desideri collettivi invece è una maggiore sicurezza, sia economica sia esistenziale. Nonostante il presente non soddisfi per nulla perché sta rendendo tutti più poveri, non è affatto ripudiato. Più che altro si aspira a volerlo diverso, più accettabile di com'è, auspicando che “chi ha in mano le redini del gioco” sia in grado di migliorarlo nel senso desiderato.
Oggi si è contro la “casta” politicante perché si ha la netta impressione che agisca solo a proprio vantaggio, occupandosi esclusivamente dei propri privilegi senza curarsi dei bisogni della collettività, per conto della quale in fondo è diventata “élite” politica e dirigente. Non si è contro il potere in quanto tale, ma contro il modo personalistico con cui viene usato e gestito. Non si rifiuta la gerarchia, mentre si vorrebbe che fosse più efficiente e più giusta. Non è in discussione il sistema, ma il modo in cui viene gestito.
Il “popolo”, nella mia epoca generazionale si sarebbe detto le “masse”, in generale oggi sembra soprattutto aspirare ad essere governato bene. Non interessa che chi governa sia di destra o di sinistra. L'una o l'altra collocazione non rappresentano ormai più nulla di ideale cui guardare. Si vorrebbe invece che i capi e i dirigenti sapessero provvedere con competenza ed efficienza ai bisogni di tutti, pensando che sarebbe rassicurante e farebbe sentire protetti e curati. Per questo c'è una richiesta sempre più insistente di capi forti e autorevoli che sappiano “ben comandare”. Per questo la Lega salviniana attrae e riscuote successo, in questa fase dribblando ogni altra forza politica. Suscita l'idea di essere forte e decisa, di sapersi imporre e di aver le idee chiare sul da farsi, dichiarando fra l'altro in continuazione che agisce per l'interesse del “popolo”, in particolare dei più deboli. Nell'immaginario collettivo è riuscita ad accreditarsi come la forza politica che più di ogni altra sta dalla parte dei deboli e degli oppressi e sa come difenderli e proteggerli.
Ma per comprendere meglio gettiamo uno sguardo non “canonico” sui risultati elettorali. Ufficialmente la Lega ha ottenuto il 34,26%, il PD il 22,74%, il M5S il 17,06%, ecc. Pochi cenni sui media al fatto che alle urne hanno espresso voti il 56% degli aventi diritto di voto, mentre si è astenuto il 44%. Praticamente nessun cenno alle schede bianche e nulle, che secondo qualche indiscrezione trapelata ammonterebbero all'incirca attorno ad un abbondante 5%. Chi non ha votato complessivamente corrisponderebbe perciò a circa la metà degli aventi diritto, esattamente come chi invece lo ha fatto. Dal momento che fra l'altro gli eletti prenderanno poi decisioni per tutti, compresi quelli che si sono astenuti, è importantissimo sottolineare che le percentuali reali del consenso non corrispondono a quelle ufficializzate, ma andrebbero dimezzate. All'incirca alla Lega spetterebbe il 17%, al PD l'11%, al M5S l'8%. Così, divenuta ormai una costante che si ripropone puntuale ad ogni elezione, l'effettiva capacità rappresentativa nei fatti è molto ridotta rispetto a quello che si pretenderebbe di far apparire ufficializzandola.

Tutto il sistema perde di valore

Circa la metà della popolazione, dunque, non sta esprimendo preferenze tra le offerte politiche elettorali. I motivi sono molteplici e anche disparati. O perché c'è sempre meno gente interessata a dire la propria, o c'è sempre più indifferenza per le cose della politica o, come per gli anarchici, si sceglie coscientemente di astenersi perché si vorrebbe un'autentica democrazia diretta antisistema, o per un'avanzata sfiducia nei governanti e un sopravvenuto desiderio di ritirarsi in disparte.
Anche se non viene mai affrontata seriamente, questa costante mina lentamente alle fondamenta l'impostazione e la filosofia delle democrazie rappresentative applicate, demotivandole e mettendone a nudo contraddittorietà e incoerenza insite. Tutto il sistema perde a poco a poco di valore e di senso. È ormai soltanto un rituale, il cui unico scopo rimane quello di attribuire consenso alle forze che sono più brave a estorcerlo. Una reale entità sempre più dubbia, che esprime élite politiche cui viene delegato un potere che poi nessuno, se non se stesse e gli organismi istituzionali addetti, potrà controllare e indirizzare, non certamente la base popolare che le ha delegate, la quale in fondo sarebbe costituzionalmente il vero depositario della sovranità politica.
È innegabile che la politica istituzionale sia sempre più delegittimata da chi ne dovrebbe essere il “naturale” fruitore. Un simile sguardo apre la vista su un panorama social-politico esplorato soltanto in sordina, territori sociali praticamente ignorati alla luce del sole, sfuggenti e tendenzialmente refrattari ad essere incubati in un unicum uniforme funzionale ai poteri dominanti, dove potenzialmente può maturare qualsiasi tensione resistente ai sistemi di potere vigenti. Dove, proprio per l'endemica refrattarietà alimentata dalla costante pressione di un'ingiustizia sociale incombente, sarebbe teoricamente possibile il sorgere di reti e ambiti non inquadrabili e potenzialmente autonomi.
L'astensione non è altro che una riluttanza, in alcuni casi un rifiuto cosciente, a partecipare al rito elettorale, sempre più stanco, sempre più sordo alle grida di dolore e insofferenza che provengono dal basso, sempre più incapace di rappresentare alcunché in modo autentico. Nonostante non abbia senso considerarla un atto di per sé sovversivo, al tempo stesso è però anche una specie di “cartina al tornasole” in grado di aiutare a far affiorare gli aspetti oscuri e occultati del degrado della politica, di mettere in mostra la decadenza della democrazia rappresentativa. Se ascoltata e letta con intelligenza non ideologica può aiutarci a comprendere come proporci, nel tentativo rinnovato e aggiornato di diffondere culture e pratiche autogestionarie e libertarie, proseguendo il cammino... verso le idealità anarchiche.

Andrea Papi
www.libertandreapapi.it