Rivista Anarchica Online


racconto

Qualcosa di bello

di Cinzia Piantoni

Non importa se vi trovate su una metropolitana affollata, sotto l'ombrellone, o in una cella. Anche quest'estate vi proponiamo un racconto, da leggere dovunque voi siate.


Il pomeriggio del 10 marzo 2022, per l'esattezza alle 14 e 32 di un assolato giovedì, senza che Gregorio Bentrovato ne avesse percepito la benché minima avvisaglia, qualcuno aveva spento la luce.
Non stava succedendo nulla di diverso dal solito: chiuso nel suo studio, col quotidiano del giorno aperto alla sezione della cronaca estera, aveva appena finito di bere l'espresso che la badante gli preparava di nascosto da figli e cardiologo, e si stava godendo un complesso articolo sulla crisi Russia-Cina.
Proprio in quel momento, senza neanche lasciargli finire la frase che stava leggendo, paf! Il buio totale. Istintivamente si era aggiustato le lenti da presbite sul grosso naso aquilino e aveva strizzato gli occhi, ma non era cambiato nulla.
«Alina, corri!» aveva urlato.
La donna, intenta alla visione del suo sceneggiato preferito sul minuscolo televisore che aveva in camera, si era precipitata nello studio con uno scatto degno del miglior centometrista.
«Professore, che succede?» aveva chiesto affannata.
«Chiama i miei figli. Non ci vedo più.»

* * *

«Questa farà il botto su Instagram», commentò Filippo. Sul display dello smartphone osservava se stesso nei panni di una mummia avvolta nella carta igienica, in piedi sul banco col pollice alzato. Peccato non gli avessero fatto anche un video, il sottofondo di Thriller di Michael Jackson era stato davvero un tocco di stile.
«Ma', che ne pensi, come filtro meglio Lark o Juno?» aggiunse mostrandola alla donna bionda al volante, che stava fissando la coda di auto davanti a sé come se sperasse di poterla disintegrare con lo sguardo. A quelle parole il colorito di lei passò da elegantemente pallido a paonazzo in una frazione di secondo.
«Stai scherzando?» urlò in direzione del figlio, togliendogli il cellulare di mano e buttandolo sul sedile posteriore. «Tu questo non lo rivedi per un bel po'.»
«Ma mamma», si lamentò Filippo, «non capisci che era un atto di protesta?»
«Protesta un corno. Non usare la scusa della carta igienica che manca a scuola, tu volevi solo fare casino. Sei fortunato che hai voti alti, se no a quest'ora un sette in condotta, o anche un cinque, non te lo levava nessuno.»
Lui si ravviò il ciuffo, dell'identico tono di biondo della madre, e provò a farle il sorriso da simpatico mascalzone che di solito funzionava con tutti.
«Non guardarmi così, che non attacca. Discuteremo i dettagli con papà, ma stanne certo: sarà una punizione che non dimenticherai.»
Funzionava con tutti, ma chiaramente non con lei.

Bastarono tre parole di suo padre, quella sera, a suonare come la peggiore delle condanne: «Andrai dal nonno.»
Supplicare per avere un castigo diverso, promettere di cambiare, proporre lo scambio con un mese di lavaggio piatti... Tutto inutile. Papà parlava poco, ma ogni cosa che diceva era definitiva come una sentenza passata in giudicato.
«Vedrai che non sarà male come sembra», tentò di addolcire la pillola sua madre. «Il nonno ha bisogno di qualcuno che gli legga il giornale, e perché non tu?»
«Perché io, piuttosto. Non può farlo Alina?»
«Alina ha già parecchio da fare, soprattutto ora che il nonno ha questo problema agli occhi. Non vogliamo caricarla di un'ulteriore incombenza.»
«Fatemi indovinare», disse Filippo, «Alina ci ha provato, ma nonno Gregorio le ha rotto così tanto le scatole che ora lei si rifiuta di continuare.»
Lo sguardo fugace che i suoi genitori si scambiarono fu la conferma che aveva ragione.
«Non può ascoltare il telegiornale in televisione?» li incalzò.
«È così tanto che non vai a trovarlo da non ricordare nemmeno che non vuole nessuna TV in casa?» gli rispose il padre. «Già è un miracolo che faccia tenere la sua in camera ad Alina.»
«Comunque questo è quanto, fine della discussione. Da domani andrai dal nonno tutti i pomeriggi, gli leggerai il suo giornale, e se non ti è troppo disturbo nel frattempo gli farai anche un po' di compagnia. Tutto questo finché il suo problema al nervo ottico non si sarà sistemato e tornerà a vedere o, se non dovesse succedere, fino a data da destinarsi.»
Filippo non sprecò ulteriore fiato per quella che, ormai aveva capito, era una battaglia persa.

* * *

«Sei in ritardo», fu il benvenuto del nonno.
Era seduto alla sua enorme scrivania, col quotidiano già dispiegato davanti a sé.
«È evidente che hai preso da tuo padre», aggiunse.
Vestito di tutto punto, lo fissava da dietro le lenti spesse come se potesse vederlo. Filippo rabbrividì.
«Siediti», gli ordinò. «Ho saputo della tua bravata.»
«Già, ehm...»
«Niente spiegazioni, ragazzo. Non m'importa», disse sfarfallando con le lunghe dita nodose, come a scacciare un insetto. «Sono problemi dei tuoi genitori. Ora siediti qui davanti e leggi.»
Meglio così, pensò Filippo, se evitiamo i convenevoli faremo prima.
Il quotidiano subì una rotazione di 180 gradi, finendo tra le sue mani sudate. E meno male che il nonno non poteva vedere l'alone che avevano lasciato sul mogano lucido della scrivania.
Si schiarì la voce e iniziò a leggere.

«Il Ministro dell'Interno ha dichiarato che anche quest'anno non parteciperà alle celebrazioni per il 25 aprile. Nel tempo questa festa è stata monopolizzata dalla sinistra, diventando simile a un enorme spot, ha dichiarato, perciò ho deciso, come il mio predecessore, di non partecipare ad alcun evento pubblico, bensì di stare a casa con mia moglie e i miei figli. Il Ministro ha inoltre comunicato che intende proporre la soppressione della festività a livello nazionale, ritenendola ormai obsoleta.»
«Che cosa?!» sbottò Gregorio. «Ragazzo, ripetimi l'ultimo paragrafo.»
Erano due settimane che suo nipote gli leggeva il giornale ogni pomeriggio, e ormai la sua voce leggermente cantilenante aveva per lui un effetto distensivo. Ma ascoltare un abominio del genere aveva cancellato all'istante qualsiasi traccia di relax.
Filippo rilesse le frasi, esattamente uguali a prima. A ogni parola Gregorio sentiva la nausea aumentare di pari passo con la rabbia.
«Come diavolo si permette?» esclamò alzandosi in piedi. «Questo tizio lo sa cos'è la guerra? Lo sa cosa significa mangiare persino le bucce delle patate, tanta è la fame? E lo sa quanti uomini e quante donne hanno lottato per quella libertà che lui ritiene così banale?»
Sentiva il cuore pompare forte nel petto, e l'aria venir meno.
«Nonno, calmati!»
«No, che non mi calmo», urlò battendo il pugno sulla scrivania. «Io all'epoca ero un ragazzino di buona famiglia, coccolato e protetto proprio come te, ma lo sai cosa faceva la nonna? La staffetta. Lo sai almeno, cos'è una staffetta? Lo sai quanti pericoli ha corso?»
«Io...»
«No, che non lo sai. Non lo sai che ha rischiato la tortura, o la morte, più volte di quelle che potresti immaginare. Suo padre, il tuo bisnonno, era un partigiano anarchico; ha perso una mano per colpa di un ordigno. E tutto questo finirà per essere dimenticato. Tutti loro saranno dimenticati!»
Stava urlando, e se ne rendeva conto, ma non gliene importava. Nel buio vedeva la faccia bovina del ministro sovrapporsi a quelle sorridenti di Eulalia e suo suocero, immortalati in una foto in bianco e nero del maggio 1945. Lei è una ragazzina appena sedicenne, ha due trecce corte e gli occhi luminosi, lui è magrissimo e ha il moncherino fasciato, capelli neri e lo stesso sguardo vivace della figlia. Entrambi sorridono.
D'un tratto l'aria gli mancò del tutto, più cercava di respirare e meno ossigeno arrivava; poi, dopo una fitta in pieno petto, più nulla. L'ultima cosa che sentì fu l'urlo terrorizzato di suo nipote che chiamava Alina.

* * *

«Ha chiesto di te, tesoro», disse sua madre uscendo dalla stanza d'ospedale.
Filippo non riusciva a parlare, perciò si puntò l'indice contro il petto con aria interrogativa.
«Già, tu», concordò suo padre con un sorriso benevolo.
«Cos'ha detto il dottore?» riuscì a chiedere.
«Il nonno ha avuto un attacco di panico, che gli ha causato una lieve aritmia. Ora sta bene, ma visti i precedenti il cardiologo ha suggerito di tenerlo in osservazione per questa notte.»
«Ti va di salutarlo, così poi lo lasciamo riposare?»
Filippo annuì ed entrò nella stanza.
Con la camicia da notte azzurrina dell'ospedale, perso in quell'enorme letto bianco, il nonno sembrava minuscolo, come un uccellino caduto dal nido. Una persona completamente diversa dall'uomo che incontrava ogni pomeriggio.
Filippo non sapeva come iniziare.
«Ragazzo, stai bene?»
A quanto pare il nonno aveva sviluppato una specie di super udito come gli eroi dei fumetti.
«Sì, non preoccuparti per me. Tu piuttosto, come stai?»
«Bene, a parte l'odore terribile che c'è qui dentro. Mi sembra di essere caduto in una piscina di disinfettante.»
Aggiungiamo anche il super olfatto alla lista.
«Vuoi che ti legga il resto delle notizie?» chiese aprendo il giornale spiegazzato che aveva tormentato nervosamente fino a quel momento.
«No, grazie», disse il nonno allungando il braccio sinistro verso di lui, «per oggi basta così.»
Filippo istintivamente tese la mano a trovare la sua. Le dita del nonno erano strane, sembrava di toccare dei bastoncini di legno ricoperti di stoffa. Ma erano anche tiepide e confortevoli.
«Raccontami qualcos'altro, ragazzo. Qualcosa di bello...»

* * *

Qualcosa di bello.
Filippo non aveva dormito, quella notte. Si era rigirato nel letto pensando in continuazione a quella frase del nonno. Lì per lì non sapeva cosa dirgli, così gli aveva raccontato la prima cosa piacevole che gli era tornata alla mente. Qualche giorno prima, sul pullman per andare a scuola, aveva visto due amici di vecchia data rincontrarsi dopo tanti anni. I due, probabilmente coetanei del nonno duri d'orecchie dato il volume delle loro conversazioni, si erano abbracciati ridendo dandosi enormi pacche sulle spalle. Quando era sceso alla sua fermata, con gli aggiornamenti erano arrivati solo agli anni Novanta (nel '94 la nipote di uno dei due aveva avuto un parto plurigemellare, e nel '96 il figlio maggiore dell'altro aveva divorziato).
Mentre lo raccontava gli sembrava un fatto talmente piccolo e stupido che già si immaginava il rimprovero del nonno, invece lui aveva annuito sorridendo per tutto il tempo. Eh sì, a quanto pare sapeva anche sorridere, quell'uomo ultimamente era pieno di sorprese.

Ora che si trovava lì nel suo studio, di fronte al nonno vestito come sempre e col solito sguardo serio, sembrava quasi che le ultime ventiquattr'ore non fossero esistite.
Lisciò la prima pagina del giornale cercando di trovare il coraggio di iniziare.
«Allora ragazzo, cosa aspetti?»
Il gigantesco titolo in prima pagina diceva: IL MINISTRO NON MOLLA: “VOGLIO LO STOP AL 25 APRILE“.
Filippo deglutì. Si ricordava ancora troppo bene l'immagine del nonno accasciato a terra, con Alina che piangeva e i paramedici dell'ambulanza che lo caricavano sulla barella.
Poi, quasi senza rendersene conto, sentì se stesso leggere: IL MINISTRO SI ARRENDE: “VIA LIBERA AL 25 APRILE“.
Anche se stavolta era davvero microscopico, lo vide di nuovo: il sorriso del nonno.
Le parole iniziarono a uscire una dopo l'altra con estrema facilità, gli bastava leggere l'esatto contrario di quello che diceva il quotidiano. In breve le parole divennero frasi, e le frasi paragrafi. I paragrafi si sommarono in articoli, nei quali Filippo raccontava al nonno le cose come sarebbero dovute essere.
La scena del pomeriggio precedente non avrebbe dovuto ripetersi mai più.

Giorno dopo giorno divenne sempre più facile. Filippo comprava il giornale al mattino, evidenziava gli articoli peggiori, e li riscriveva sullo smartphone nel tragitto verso la scuola e ritorno. Arrivato a casa li stampava e se li portava dietro verso il condominio dove abitava il nonno. Col tempo affinò il suo metodo, aggiungendo alla lista delle vere buone notizie, che trovava con un'abile ricerca web durante l'intervallo. Era incredibile quante cose davvero belle succedessero nel mondo, e quanto fossero difficili da trovare.
Quel mattino però, in prima pagina, vide annunciato qualcosa che non poteva ignorare.
«Alina, senti... Mi faresti un favore? Puoi dire al nonno che ho la febbre, e che oggi non verrò?»
Così il giorno dopo, non in prima pagina ma nell'angolino in basso a destra della foto a pagina sette, a fare capolino sotto lo striscione “UNITI CONTRO L'OBLIO, LOTTA PER IL 25 APRILE“, Filippo vide qualcuno che solo un paio di mesi prima non si sarebbe mai aspettato di vedere: se stesso.
«Nonno, tutto okay? Stai bene?»
Filippo chiuse con un fruscìo l'ultima pagina del quotidiano.
Nel buio, Gregorio trovò la mano del nipote, e le diede un colpetto con la sua per rassicurarlo.
«Sì ragazzo, scusami. Ero un po' sovrappensiero.»
L'aria tiepida della primavera si era insinuata nello studio dalla finestra lasciata socchiusa, e il profumo zuccherino del glicine che trasportava l'aveva distratto per tutto il tempo della lettura. Era incredibile quanti dettagli in più riuscisse a notare, ora che non vedeva.
«Quando si è vecchi si hanno sempre troppi ricordi per la testa», si giustificò col nipote.
Non l'aveva dimenticato, che il nome glicine deriva dal greco glykýs, cioè 'dolce'. Che bella risata aveva fatto Eulalia, quando glielo aveva detto. Lei adorava quei fiori.
«Non preoccuparti, nonno», rispose Filippo. «Ah, a proposito», aggiunse con un colpo di tosse.
Gregorio trattenne un sorriso; aveva imparato che quando suo nipote aveva qualcosa di importante da dirgli lo faceva precedere sempre da un po' di raucedine da nervosismo. E soprattutto che lo teneva come ultima cosa prima di scappare.
«Ho deciso che dopo l'estate mi candiderò come rappresentante d'istituto. Quella scuola cade a pezzi, e io voglio cambiare le cose.»
«Bravo», commentò, «è davvero un'ottima idea.»
Altra tosse imbarazzata, e un rumore strascicato.
«Okay nonno, adesso vado. A domani.»
«A domani, ragazzo. E alzala quella sedia, non strisciarla!»
Gregorio ripiegò con cura il giornale, riflettendo tra sé. Ascoltando suo nipote si era ricordato di come ci si sente da giovani. Ogni generazione ha diritto a voler cambiare il mondo, e ogni generazione, in un modo o nell'altro, lo fa.
Tese l'orecchio ai soliti brevi convenevoli che il ragazzo scambiava con Alina, poi udì la porta sbattere e lo scalpiccìo dei passi sulle scale. Aspettò ancora qualche decina di secondi per sicurezza, poi aprì il cassetto in alto della scrivania. In quelle settimane aveva scoperto che la radiolina con la quale ascoltava i risultati delle partite negli anni Ottanta era ancora miracolosamente funzionante. La accese, e dopo qualche breve disturbo risuonò chiara la voce del giornalista radio. Bene, giusto in tempo per ascoltare le notizie delle cinque; chissà com'era andata la manifestazione del giorno prima?

Cinzia Piantoni