Rivista Anarchica Online





Una storia sbagliata

Mi sento un po' preso stretto all'angolo, non so come dire. Lo dico. Faccio fatica a parlarvi di questa storia, intanto e soprattutto perché è una storia di quelle che mi fanno stare male.
Ne ho vissute di press'a poco simili anche se sto lontano da Genova – queste storie capitano dappertutto e anzi, la distanza riesce ad aggiungere malessere, tristezza, voglia di chiudere persiane e portoni, di ficcarsi dentro ad una stanza con poca luce e mettercela tutta per tenere tutto fuori. Fuori dalla testa, dagli occhi, dal cuore. Brutto rendersi conto che i confini e le distanze e le differenze contano zero/niente non solo per gli innamoramenti ma anche per le cose sbagliate.
Questa storia Marco Sommariva un giorno me l'ha raccontata, solo poche parole infilate una dietro l'altra mentre aspettavamo un treno. Lui che mi voleva parlare e io che avevo non so come annusato il pericolo da lontano e cercavo di non ascoltare - treno sopra il quale alla fine sono salito e ripartito verso casa. Il mio amico è rimasto sul binario ma la sua storia è salita assieme a me, come fosse una valigia pesante che si è aggiunta al mio bagaglio.
Questa storia, lo ammetto, dopo un po' l'avevo lasciata lì sul bordo della mia strada – ve l'ho detto, faccio fatica, porto con me sempre troppe valigie stracolme. Forse ripensandoci non è vero né giusto dire che per me era una storia nuova: il genovese già ne aveva accennato sul suo “Lottavo romanzo” (mica un pacco di carta buttato là: è uno di quei libri fatti proprio per prenderti per le orecchie costringerti ad alzare gli occhi e parlarti direttamente), e dopo quelle due chiacchiere in stazione lentamente i contorni della storia si erano fatti meno vaghi.
Avevo ragione, avevo annusato il pericolo da distante. La storia, o per lo meno un assemblaggio di sue versioni, adesso la ritrovo anche qui, dentro a L'amico ritrovato (autoprodotto, 2018 – info e richieste a www.marcosommariva.com).
Ho deciso di parlarvene, anche se a disagio ed in fretta: è un ricordo a distanza di tempo di un ragazzo che una mattina decide di farla finita. Un ricordo collettivo, una specie di ritrovarsi tra vecchi amici e compagni dopo trent'anni, ognuno che si porta ancora dentro questa assenza. Assenza che ciascuno cerca di risolvere come sa, com'è capace: Marco stringe fra le mani dei ritagli scritti, Stefano Sommariva dei disegni, Andrea Claudi delle musiche.
Il Marco Sommariva come già saprete fa lo scrittore, stavolta ha messo insieme cose sue e d'altri, frasi sforbiciate che cercano di avvicinare, di spiegare restando sempre un po' indietro un po' da parte come per non disturbare. Frasi che cercano se non proprio di capire almeno di accendere un po' di luce in questo buio, buio che sconfina in copertina. Pure musiche e disegni sono strani. Le canzoni di Andrea Claudi non vanno da nessuna parte, proprio perché non c'era alcun posto dove andare, dove provare a guardare, dove restare non dico a ragionare ma almeno a respirare ognuno per conto proprio, ascoltando ciascuno i respiri dell'altro, il rumore dell'aria che entra a scaldarsi, a scaldare. Forse perché non c'è più niente da scaldare, perché non è rimasto niente su cui mettersi a ragionare, più niente da guardare.
I disegni di Stefano Sommariva hanno rumore d'ingranaggio: una serie di click, come di metallo che si tocca, suono che non viene da legno, né da un corpo umano o d'animale. Mi sembrano vignette meccaniche – il tratto deciso e forte come qualcosa che non riesco a togliermi dagli occhi, e sono colorate invece come ricordi sbiaditi. Dicevo sembra facciano rumore di ingranaggio, i disegni, racchiusi come sono dentro a una gomma di motocicletta: stagioni di sole e di neve che si susseguono, un calendario di incontri e di solitudini, semafori e segni per terra sulla strada. Di colpo uno stop che interrompe la storia, i colori, la musica.
Marco Andrea Stefano – mi sembra di vederli quando si sono ritrovati per ricordare il loro compagno: tutt'e tre nervosi occhi bassi, poca o niente voglia di stare seduti a parlare e guardarsi, poche cose dette e tante e tante cose da dire rimaste impigliate dentro a metà strada fra il cuore e i denti. Il libro è sottile come una promessa, poche pagine sì ma ognuna pesante come una montagna.

Marco Pandin
stella_nera@tin.it