Rivista Anarchica Online


dibattito autogestione

Umanesimo anarchico

del Cusa

Attenti agli sviluppi e alle degenerazioni dei movimenti di lotta autogestionari, quelle/i del Cusa propongono una riflessione sulle modalità di lotta e di presenza politica, al di fuori e contro qualsiasi ipotesi di inquadramento nel sistema di potere.


Nel 1992, qualcuno aveva provato a proclamare la fine delle Storia, quando un sistema di potere, che si credeva naturale come il ciclo degli equinozi o la forza di gravità, era crollato improvvisamente sotto i colpi di un blocco contrapposto e sotto il peso delle menzogne sulle quali fin dall'inizio si era fondato. Il sistema aveva lasciato campo a un capitalismo e a un liberismo sfrenati, che si sarebbero spinti ben oltre le più nere previsioni.
Qualcuno allora tentò delle improbabili “Rifondazioni”, sostenendo ai congressi nazionali che il fatto che una delle più gravi tragedie della Storia fosse coincisa con lo stesso apparato ideologico del loro partito, non richiedesse una riflessione critica su di esso. Si trattava di una spiacevole e imprevedibile coincidenza, dipesa dall'errata interpretazione di alcuni personaggi fraudolenti, indegni di quel simbolo e di quel nome (quegli stessi personaggi che erano stati incensati pubblicamente, fino a pochi anni prima).

Contro lo statalismo di sinistra

La barca non ha retto a lungo la tempesta. Nei cuori di molti militanti storici dei partiti comunisti, non solo la socialdemocrazia, ma persino la Croce sarebbe tornata a prendere il sopravvento. E in mancanza di quella seria riflessione sulle vicende storiche e sui paradigmi di liberazione, ci si è trincerati nella difesa delle istituzioni nate con l'avvento storico della borghesia. Istituzioni che ormai quasi più nessuno riconosceva come il nemico da abbattere o da superare. Una volta mascherate da costituzionalismo all'italiana, sotto lo slogan del “Noi non siamo stalinisti, perché siamo sempre stati per l'alternativa democratica” (cioè per quella linea fatta introdurre proprio da Stalin nei parti comunisti occidentali, dopo la Seconda guerra mondiale).
Nel frattempo, già negli anni ’60 e ’70, la critica e la contestazione allo statalismo di sinistra avevano iniziato una nuova fase, di pari passo con un relativo riflusso dell'anarchismo ideologico, anch'esso bisognoso di una rielaborazione critica sui suoi presupposti dopo l'esperienza della rivoluzione e della Guerra civile spagnola. Ma in mancanza di una seria riflessione sul tema della soggettività, anche il post-strutturalismo – per quanto prezioso nei sui apporti alla liberazione dal “discorso del potere” e dalle istituzioni disciplinari – avrebbe ben presto ceduto il passo alle folgorazioni sulla via di Damasco. Folgorazioni che hanno portato ad esempio gli adepti delle attuali generazioni, ad abbracciare Comunione e Liberazione in alcuni casi già a 20-30 anni.
Gli spazi sociali invece sono stati forse una delle esperienze più positive di questa parabola, pur con tutte le loro contraddizioni e i paradossi.
Nati con l'idea di ricreare un tessuto sociale frantumato intorno a delle idee socio-politiche, nell'intento di superare i modelli della società patriarcale e capitalista, ne hanno proposti di nuovi. Cercando altri modi di prendere decisioni comunemente.

Mosaici di molteplici attività

I movimenti di ribellione al sistema capitalista sono stati mosaici di molteplici identità. E nel loro piccolo, i centri sociali hanno espresso questa diversità.
Il centro sociale è antifascista per definizione. A volte, nello stesso spazio, si trovano persone con posizioni diverse che condividono gli stessi disagi nel quotidiano, vivendo gli stessi quartieri.
Perciò gli spazi sociali hanno puntano a sviluppare forme di resistenza collettiva come le ciclofficine popolari, i gruppi d'acquisto solidali, gli orti urbani, le palestre, con l'intento di stabilire rapporti diretti tra produttore e consumatore, fino all'autoproduzione. Usando nuovi mezzi di trasporto, mettendo in moto meccanismi di scambio e riuso, condividendo le proprie competenze.
Purtroppo però molte persone si sono chiuse dentro queste quattro mura e hanno preteso di farne un mondo perfetto, tagliando fuori il resto della comunità.
L'assemblea ha perso sempre più la centralità che aveva inizialmente, proprio in virtù delle carenze su un piano della ricerca soggettiva, individuale e sociale, da parte dei riferimenti usciti dal post-strutturalismo, e andati per la maggiore in questi ultimi decenni. E la diversità, che da un lato è sempre stata una ricchezza, ha portato anche a rotture e a gruppi sempre più ristretti di persone che, oltre a isolarsi, hanno facilitato involontariamente le infiltrazioni di polizia e Digos, generando a loro volta diffidenza verso le nuove persone che si avvicinavano agli spazi sociali. Hanno contribuito a questi fenomeni anche le politiche di “assegnazione”, grazie alle quali i centri sociali, a discapito della loro libertà, sono diventati di fatto proprietà di chi li gestisce e si sono assoggettati sempre più all'istituzione. Sempre in mancanza di strategie sociopolitiche (ma anche di riferimenti culturali), che riuscissero a offrire un'autentica prospettiva di liberazione dallo Stato, che ha potuto pretendere un affitto, esigendo il rispetto di alcune regole e essere sicuro che tutto quello che avveniva all'interno di essi rimanesse confinato e non si manifestasse all'esterno.

Legalità vs. legittimità

Di conseguenza, si sono riprodotte dinamiche di potere e sopraffazione che ogni persona si porta dietro dall'ambiente in cui è nata e cresciuta. Il concetto di “legalità” ha attecchito su quello di “legittimità”, e la gente si è allontanata dalla gestione della comunità, considerandola come un affare di chi governa, definendosi sempre di più “apolitica”.
Ora i centri sociali stanno tentando di tornare nelle strade e nelle piazze a parlare con la gente, per ricreare quella collettività che era il loro intento originale.
Chi non si è assuefatto al volere dell'istituzione però, nel tentativo di uscirne, si trova davanti all'insormontabile difficoltà di affrontare il mondo esterno.
Alcune correnti minoritarie di queste esperienze infatti avevano già iniziato a presagire, fin dalla loro origine, la crisi di alternative basate da un lato sulla difesa di paradigmi obsoleti come materialismo, scientismo e determinismo, dall'altro su un nichilismo o un anti-umanesimo filosofico altrettanto sterili nel lungo periodo e facilmente cooptabili da quei sistemi di potere che pretendevano di osteggiare.
Sono fioriti così, negli ultimi decenni, movimenti ecologisti e nonviolenti, lotte territoriali, marce per il clima e il disarmo, manifestazioni e reti antirazziste, coordinamenti femministi, collettivi e movimenti artistici di strada. Parallelamente a nuovi contributi al pensiero, tanto ignorati quanto fondamentali per i possibili percorsi futuri dell'umanità, si sono riscoperti e riletti criticamente autori come Jung, Feuerbach, Husserl, ma anche Bookchin o Berneri in ambito più strettamente libertario; si sono poi indagati nuovi campi di ricerca posti ad esempio dalle neuroscienze e dalla fisica quantistica.

Aneliti e spinte rivoluzionarie

Tutto questo ha avuto un'influenza positiva anche su alcune delle esperienze rivoluzionarie più interessanti dei tempi recenti, come quelle comunitarie contro le grandi opere in Italia o quelle dei movimenti di Occupy, degli scioperi contro la guerra e dei consigli del Rojava, solo per citarne alcune su un piano internazionale.
Ma la strada verso questo nuovo umanesimo, e ancor più verso questo nuovo umanesimo anarchico, sarebbe stata lunga, difficile e controversa. Portandosi dietro il fardello degli irrisolti e le contraddizioni del passato, si sarebbe scontrata da un lato con la dura repressione e screditamento da parte del potere, dall'altro con la prevedibile ostilità e diffidenza dei settori dell'antagonismo, più legati ai valori e alle formule tradizionali.
Presi fra due fuochi e in mezzo a questo pantano, gli aneliti e le spinte rivoluzionarie si sarebbero purtroppo presto arenati. In mancanza anche di un'adeguata risposta da parte delle forze e dei movimenti di ispirazione anarchica e libertaria, rimasti tendenzialmente arroccati in questi anni, salvo alcune significative eccezioni, su paradigmi tradizionali - o al massimo su quelli usciti come dominanti dalle elaborazioni fatte fra anni ’60, ’70 e ’80.
Molteplici sono stati anche i fenomeni di insorgenza giovanile e di contestazione che hanno mutuato, e stanno mutuando, più o meno consapevolmente, alcuni aspetti di questa ricerca. Ma confuse e a volte stereotipate ne sono state le influenze e non sempre adeguata è stata la capacità o la possibilità da parte dei gruppi e delle avanguardie organizzate di trasmettere una presa di coscienza e degli strumenti più adeguati.
Di tutti questi aspetti ne vediamo oggi purtroppo in Italia la più fulgida conseguenza, nell'affermarsi di fenomeni populisti e legalitari come il Movimento 5 Stelle, i quali hanno riportato pienamente la “questione umanistica” su un piano della strenua difesa delle istituzioni democratiche e repubblicane. Con gravissime conseguenze in termini di crisi migratoria e di repressione degli spazi sociali, ma anche di aumento di diseguaglianze, Stato di polizia, limitazione degli spazi sindacali, rafforzamento dell'economia imprenditoriale e abiura de facto della lotta anticapitalista.
Dunque se qualcuno nel 1915 profetizzava per il futuro prossimo della propria epoca un chiaro e inequivocabile Socialismo o barbarie, non è forse avventato oggi azzardare un altrettanto premonitore Umanesimo (anarchico) o fine della Storia. Oggi che ogni altra alternativa al capitalismo in tutte le sue forme sembra ampiamente fallita e i suoi mentori hanno scatenato una resa dei conti finale con la Storia stessa, contro ogni tentativo rivoluzionario. Quella Storia con cui i tutori dell'ordine vigente sanno di avere delle fratture e degli irrisolti ormai insanabili e che stanno cercando di portare verso un nuovo Medioevo sociale, culturale, psicologico.
Oggi più che mai, abbiamo bisogno di una nuova e diversa soggettività possibile, una soggettività che partendo dalla dimensione percettiva dia valore alla sfera emotiva e irrazionale, coniugandola con quella del pensiero. E a partire da questo, sia in grado di rompere con gli immaginari e i linguaggi codificati, sperimentando da un lato nuovi percorsi creativi – molteplici e unitari – di emancipazione oltre le “Colonne d'Ercole” del modo istituito, dall'altro elaborando costantemente delle forme organizzative e strategie socio-politiche, che non pongano fratture – bensì alchimie – fra dimensione individuale e sociale e che non siano modelli assoluti o “definitivi” di quel percorso di liberazione ma strutture in divenire, capaci di evolversi e ricrearsi continuamente.
Per incidere sulla realtà presente, declinandola verso i nuovi immaginari che quell'istinto alla creatività produce.
Un'umanità in movimento, un umanesimo che si espande in un pluri-universo di sensazioni e popoli in cammino. Dentro e oltre la lotta quotidiana per la sopravvivenza.

Difendere tutte le autogestioni

Ripartiamo dalla difesa di tutte le autogestioni – così duramente sotto attacco in questa fase – come esperienze da riqualificare e coordinare in base alle esigenze. A cominciare dalla centralità e orizzontalità del momento assembleare e dalla loro capacità di portare la prassi quotidiana oltre le soglie della legalità.
È fondamentale attivare un percorso sociale, culturale ma anche teorico, che dia punti di riferimento in costante evoluzione a tutte quelle persone, gruppi e movimenti che stanno esprimendo, seppur in modo confuso e parziale, questa sensibilità ma faticano a trovare strumenti che ne permettano una piena e duratura presa di coscienza.
Abbiamo bisogno di ricercare un umanesimo non antropocentrico, come vitalismo alternativo, e antagonista sia a quello religioso che a quello nichilista.
Questo umanesimo, ovviamente, non potrebbe che essere anarchico.

Cusa

Buon compleanno Cusa

In questo mese di maggio 2019 “Cusa – umanesimoAnarchico” festeggia il suo 10° anniversario. Dieci anni di lotte pacifiste, ecologiste, antirazziste, nonviolente, libertarie. Cusa è stato attivo in Stop razzismo, LibertArea e nel coordinamento contro il commissariamento degli spazi sociali a Roma. Ha curato alle Vetrine dell'editoria anarchica e libertaria di Firenze “Oltre la crisi: una via libertaria alla decrescita?” e incontri con l'ecologista Dimitri Roussopoulos.
Cusa non è un acronimo, bensì un termine che sta a significare il fatto che in un approccio umanista e anarchico alla conoscenza, ogni parola ha il senso ed il significato che le si da. E anche Cusa, come tutte le cose, ha il significato che le si attribuisce (vedi la prima domanda e risposta nella categoria F.A.Q. sul nostro blog).
Perciò la nostra firma è “CUSA - umanesimoAnarchico”, senza bisogno di ulteriori spiegazioni. Vogliamo continuare a lungo questo percorso assieme.

cusa.noblogs.org
umanesimoanarchico@inventati.org