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storia

Cospaia libera

di Alberto Brizioli

In una stanza del Vaticano sono esposte una serie di mappe delle regioni Italiane disegnate dal Boscowick. Pare che quella dell'Umbria rechi, in corrispondenza di una località all'estremo nord, la dicitura Cospaia Libera. Una repubblica libertaria?


All'inizio del '700 il trattato di Utrecht ufficializza la definizione dei confini tra Guiana Francese e Guiana Olandese. Nella spartizione è preso come punto di riferimento il fiume Maroni, che si biforca, durante il suo corso, in due riviere.
Tra queste due riviere sorge un'area, chiamata Awa, che per pura distrazione rimane al di fuori dei confini tracciati dai due stati. Nasce così un territorio neutrale, abitato da un migliaio di negri che rispondono a un unico capo e che nessuno si prende la briga di disturbare per quasi due secoli. Nel 1887 si scopre che in quel territorio si trovano dei giacimenti d'oro. Subito la libertà viene rimessa in discussione, come spesso è successo all'uomo e come, in un certo senso, è successo in quello sputo di terra italica di cui ci apprestiamo a parlare.
La genesi della cosiddetta “Repubblica di Cospaia”, da molti definita “Repubblica anarchica di Cospaia”, è anch'essa dovuta a un errore nella tracciatura dei confini. La faccenda risale alla prima metà del XV secolo, quando il granduca di Toscana prestò 25.000 fiorini al Papa, prendendosi in pegno la città di Borgo Sansepolcro (oggi uno dei comuni più a nord dell'Umbria) e il relativo circondario. La somma tardò a tornare indietro e si procedette dunque all'annessione. Due fiumiciattoli omonimi crearono l'equivoco, e un'area di 5km quadrati che i due corsi d'acqua circoscrivevano divenne terra di nessuno. Per meglio dire, quella terra si trovò a non appartenere né allo Stato Pontificio né al Granducato di Toscana, ma continuò ad appartenere, ancor più di prima, alle circa quattrocento anime che vi risiedevano.
Non tardarono, i Cospaiesi, nel 1441, a proclamare la repubblica, seppur in senso lato, perché il motto su cui la convivenza si reggeva era “se Iddio ce l'ha donata a tutti quanti, non vogliam né governo, né governanti”.

Stemma dell'antica Repubblica di Cospaia

Attività economica particolarmente redditizia

Cospaia diede della libertà una definizione nuova, che ha molto a che fare con l'amicizia e il duro lavoro, con la furbizia e l'onestà. Non esistono molti documenti scritti sui primi duecento anni di vita della microscopica repubblica. I cittadini erano perlopiù contadini analfabeti, si dedicavano con abnegazione all'agricoltura, come gran parte degli abitanti dell'alta valle del Tevere.
Peculiarità condivisa solo con Urbino, coltivavano il Guato, rara pianta dalle tinte turchine usata per la tintura delle stoffe. Si amministrarono, da subito, sulla base di deliberazioni collegiali. Nessun cittadino vantava cariche onorarie; soltanto il parroco aveva un suo statuto speciale. Era una sorta di ambasciatore dei cospaiesi all'estero, nonché l'unico in grado di scrivere. I suoi registri delle unioni e delle nascite sono tra i rarissimi documenti scritti della prima Cospaia.
I due grandi stati confinanti, incapaci di catalogare l'esperienza di quel lembo di terra secondo dogmi politici noti, si resero – nel dubbio di poterne ricavar vantaggio – disponibili alla fornitura di servizi. Quando serviva un medico, ne giungeva prontamente uno dalla repubblica fiorentina (pagato in natura o con collette volontarie); i più spinosi giudizi civili, la cui soluzione sfuggiva al buon senso degli anziani, si rimettevano al foro di Città di Castello, dove non risulta che fu mai presentato appello ad una sentenza di primo grado, e anche la molitura dei cereali si effettuava, esentasse, presso il mulino di Città di Castello.
La chiave della prosperità di Cospaia fu proprio l'esenzione da qualunque dazio o “balzello” (come allora si definivano alcune arbitrarie imposte pontificie). Questo dato rendeva l'attività economica particolarmente redditizia, e non tardò a trasformare Cospaia in un'oasi commerciale.
Nel 1574 il cardinale Tornabuoni spedì dalla Francia i primi semi di “erba tornabuona” (che presto sarebbe stata conosciuta con il nome di “tabacco”), e il connubio con i privilegi fiscali scatenò un boom economico. La vendita dei frutti della terra seguiva due principali canali: quello legale agli stati limitrofi e quello illegale della ramificata rete del contrabbando.
Mi è recentemente capitato di leggere, in un articolo sulla fuga di capitali illeciti verso la Svizzera, il termine “spallone” metaforicamente attualizzato per indicare chi si incarica del trasporto oltreconfine. Nel 1600 non c'era nulla di metaforico. Cospaia era frequentata da un gran numero di contrabbandieri che attraversavano le zone d'ombra non sorvegliate dalle autorità pontificie o toscane.
In un testo ottocentesco, tuttora il più esaustivo sui quattrocento anni di vita della singolare repubblica, opera di tale Filippo Natali, si dedica un capitoletto alla fisionomia e alle caratteristiche del contrabbandiere: “[...] ci vuole forza muscolare non comune per sopportare il peso della merce contrabbandata; agilità da leopardo per sgusciare fra i cespugli, sotto le borre, in fondo ai torrenti, in cima alle balze[...]; presenza di spirito per non turbarsi al sopraggiungere del pericolo, sia che provenga dalla condizione dei luoghi, sia che derivi dalla presenza degli uomini; coraggio ci vuole e fermezza. Eppure con tutte queste qualità fisiche e morali, la vita del contrabbandiere è breve e pochi giungono alla vecchiaia. I più finiscono tubercolosi e, quando non soccombono assolutamente, traggono l'età avanzata duramente in mezzo alle reumatiche affezioni e alle bronchiti acute.”
Questo passo sarà sufficiente a evocare l'immagine di una piccola repubblica dove si riuniva una fauna insolita e poco raccomandabile. Se sia stata una vera e propria area immune, che forniva diritto d'asilo a chi vi si rifugiava, è tuttora oggetto di dibattito, ma non ci sono documenti formali che lo attestino. Se nulla vietava che un reato fosse contestato a Cospaia, era però usanza che i birri toscani e i gendarmi pontifici evitassero intrusioni.
C'è ad esempio memoria di un certo Mori che, sottoposto a istanza di fallimento, fu atteso alle porte della repubblica e non fu molestato finché rimase presso la sua abitazione. Pare poi che vari soggetti, nel tempo, abbiano fatto perdere traccia di sé rifugiandosi presso l'ospitale comunità di contadini. Tuttavia, seppur solletichi l'immaginazione raccontare di un'oasi di criminali e malfattori incastonata tra le grigie regioni fiorentina e pontificia, questo torbido panorama si concretizzò soltanto in una breve parentesi temporale. Fu all'inizio del 1600 quando, nell'arco di pochi anni, si verificarono numerosi episodi turbolenti e altrettanti fatti di sangue.
Cospaia fu sempre nota per l'indefessa cura dei campi e per l'organizzazione di feste di sicuro successo, e non si può negare che, per un certo periodo, il concludersi di queste ultime sia stato cadenzato dalla combustione di archibugi. L'episodio più noto è l'omicidio del marchese Ottavio Bufalini e del suo servo Livio, il 10 agosto 1623, durante la festa di San Lorenzo. Come d'abitudine si teneva un ballo, accompagnato dalla cetra del servo dello stesso Bufalini, quando nacque, tra due contendenti, la disputa per arrogarsi il diritto di ballare con una donna, e in breve tempo iniziarono a scoccare colpi a destra e a manca. A farne le spese fu proprio il Bufalini, che tentò di sedare la contesa insieme al suo servo. Pare che zuffe di simil natura fossero all'ordine del giorno e, benché non ci sia da dar letterale credito ai riluttanti e interessati resoconti delle autorità confinanti, vari atti ufficiali di quel periodo indicano Cospaia come covo di malaffare e ritrovo di banditi di vario ordine.
Questo sarà uno dei pretesti sulla base del quale, nel '600, si muoveranno i primi tentativi di annessione. Le dicerie e le invidie, nei piccoli centri umbri, costellano tuttora i bar e i pomeriggi. Figuriamoci quante voci possa aver alimentato Cospaia nei territori vicini (e soprattutto quante invidie), per la propria prosperità economica e per l'immunità da qualunque imposizione normativa.
Il Papa e il Granduca, alla fine del '700, erano determinati a risolvere una volta per tutte la questione, e nel 1785 si apprestavano a ridefinire i confini. Qui, tuttavia, come in ogni storia che si rispetti, si fece strada un imprevisto. Dalla Francia arrivarono i disordini della rivoluzione e Cospaia fu riportata a questione da rimandare. La prima ed unica parentesi di dominio altrui, negli altrimenti immacolati 400 anni di anarchia cospaiese, si ebbe con l'annessione di Napoleone nel 1808. Fino al 1814 sarà sottoposta agli stessi tributi (non irrisori viste le esigenze belliche) di tutte le città confinanti, nonché inquadrata nel loro stesso dipartimento governativo. Il ristabilirsi del precedente assetto politico porterà con sé l'ormai annosa indecisione sul da farsi. Sarà l'ennesima occasione per farsi i fatti propri, e per dare avvio agli ultimi prosperi anni di attività commerciale da zona franca.
Nel suo ultimo decennio di vita, Cospaia fu teatro di un'esplosione di magazzini per lo stoccaggio di merci e stoffe. I soliti mercanti si videro affiancati da speculatori provenienti da ogni dove e il contrabbando divenne pratica sistematica e consistente (anche grazie alla connivenza di qualche guardia ben retribuita).
Più di un tentativo di introduzione di tributi fu prontamente disinnescato a fronte dei reclami cospaiesi, ma ormai la ricchezza non poteva più passare inosservata. L'attenzione dei confinanti era troppa perché quella longeva storia libertaria continuasse a prosperare.
Nel 1825 diventa ufficiale che Cospaia verrà spartita tra Stato Pontificio e Granducato di Toscana anche se, in ultima istanza, quasi tutto il territorio finirà in mano al papato.
Il 28 giugno 1826 vengono letti gli editti con i quali si proclamano, nella rassegnata ilarità generale, gli innumerevoli vantaggi che i cospaiesi trarranno dalla sudditanza al pontefice.
A ciascun cittadino, per arricchire il panorama della presa in giro, è consegnato un papetto (moneta che al tempo valeva circa il quinto di uno scudo). Il delegato pontificio, letti gli editti e terminati i rituali, si diresse, insieme ai quattordici capi famiglia che avevano appena presentato atto di sottomissione, in una delle abitazioni padronali. Entrò insieme con loro, uscì e li chiuse dentro. Si fece una passeggiata per il paese, entrando, senza chiedere permesso, nelle abitazioni e ovunque ritenesse opportuno. Poi tornò dai quattordici, aprì la porta e gli spiegò che quell'atto serviva a sancire che da quel momento Cospaia apparteneva al Papa.
Terminavano così, con un superfluo atto di violenza, quattrocento anni di funambolica autonomia.
Se oggi si percorre una delle strade che attraversano San Giustino ci si imbatte, ad un tratto, in un cartello che recita Benvenuti nel territorio dell'antica repubblica di Cospaia 1441-1826. Tangibili resti del glorioso passato non se ne rinvengono.
Esperienze come queste non arricchiscono i posteri di palazzi da adibire a musei. Quello che lasciano suona più come il consiglio di un anziano nonno al nipote: “Persegui la tua libertà, destreggiandoti tra le innumerevoli insidie che la minacceranno. Non ti sottomettere mai. Che vengano a prenderti e gli costi il massimo sforzo. Soprattutto celebra l'affrancamento da capi e padroni amando il prossimo. Fai dell'esenzione da regole l'occasione per un rispetto di molto superiore al minimo garantito dalla legge, che non conosce il sodalizio umano ma soltanto il non uccidere e il non rubare”.
Solo una norma scritta, l'unica su cui la vita e la convivenza a Cospaia si ressero, è sopravvissuta ai secoli e ancora si legge all'ingresso della chiesa del paese: perpetua et firma libertas.

Alberto Brizioli


Leggere Cospaia

La storia di Cospaia e molte altre vicende straordinarie che hanno avuto luogo in Umbria sono
narrate in Umbria Nascosta – guida psicogeografica della regione, edita da Emergenze
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