Rivista Anarchica Online





Licenze, copyright, copyleft

Licenza deriva dal latino licentia, da licire, “essere lecito”; nell'accezione che ci riguarda significa: concessione, da parte di un organo competente, di una determinata autorizzazione, ma anche il documento che comprova l'autorizzazione concessa, licenza di esercizio.
Le licenze infatti specificano una concessione da parte di un soggetto nei confronti di qualcun altro. Nel caso del software “concedono” l'utilizzo del codice alle condizioni stabilite da chi redige la licenza: “licenziare” significa “concedere il potere specificato”. Allo stesso modo, nel caso di altre opere dell'ingegno, come foto o video, regolano i poteri degli utenti.

Contratti: il copyright

In assenza di indicazioni differenti, dobbiamo sempre presumere che un'opera sia sottoposta al copyright, la versione anglosassone del diritto d'autore. Si tratta di una tutela automatica, perciò non è necessario che l'autore la segnali attraverso formule come “riproduzione riservata”, “tutti i diritti riservati” e così via. La cessione dei diritti esclusivi rispetto a un'opera esige, nella maggior parte degli ordinamenti giuridici, una prova solida a carico di chi vuol godere di questa cessione. Perciò in caso di diatriba l'autore è sempre privilegiato: gli basta provare di essere l'autore dell'opera.
In ambito informatico la licenza è un contratto tra il detentore del copyright e l'utente. Si parla quindi propriamente di “licenza d'uso”. La licenza è una sorta di certificato che l'autore appone alla propria creazione. Un software rilasciato senza alcun testo che ne regola l'utilizzo rischia infatti di finire nelle mani di qualcuno che può arricchirsi indebitamente, farne un uso non etico, o semplicemente non rispettare la volontà del creatore.
Nell'epoca del web 2.0, dei social media e dell'Internet di massa, l'importanza delle licenze ha oltrepassato il ristretto ambito dei creatori di programmi informatici. Ogni utente contribuisce ai flussi di dati con creazioni originali di vario tipo, dai post alle foto, dai video agli audiomessaggi.
Ognuno di questi contributi è soggetto a una licenza d'uso di cui l'utente è normalmente ignaro: si tratta della licenza di default, prevista dal servizio che si sta utilizzando. Di solito la licenza è parte dei Termini di Servizio o Condizioni d'uso che l'utente accetta al momento della creazione dell'account.
Ad esempio, nel caso di Facebook, per quanto riguarda i contenuti sottoposti alla Proprietà Intellettuale (PI, come foto e video), la società precisa che: L'utente ci concede le seguenti autorizzazioni [...] ci fornisce una licenza non esclusiva, trasferibile, che può essere concessa come sottolicenza, libera da royalty e valida in tutto il mondo, che consente l'utilizzo dei Contenuti PI pubblicati su Facebook o in connessione con Facebook (Licenza PI). La Licenza PI termina nel momento in cui l'utente elimina il suo account o i Contenuti PI presenti nel suo account, a meno che tali contenuti non siano stati condivisi con terzi e che questi non li abbiano eliminati.

Imparare a scegliere

Anche se alcuni servizi offrono la possibilità di scegliere licenze diverse (Youtube consente per esempio di optare per una licenza Creative Commons BY, in cui si segnala la paternità dell'opera), in generale dobbiamo presupporre che le licenze standard dei servizi commerciali tendono a rendere il più possibile automatica la diffusione dei contenuti e quindi a minimizzare le possibilità di scelta effettiva. Infatti nel caso delle piattaforme social se un contenuto viene condiviso da molte persone, cancellare il post originale non eliminerà il contenuto stesso, ormai diventato virale.
Quali sono queste possibilità di scelta? Difficile non cadere nei cavilli legali. Solo in ambito software esistono dozzine di licenze molto diffuse a livello mondiale, ognuna con le sue specificità e le sue criticità. Citiamo solo quelle più rilevanti nel quadro di una critica delle tecnologie del dominio.

GPL e Copyleft

La licenza GPL (General Public Licence), giunta alla versione 3, nasce dal progetto GNU animato da Richard Stallmann. Stallmann si pose il problema di come distribuire il software libero. Distribuire sotto Public Domain (Dominio Pubblico) non garantisce che il software rimanga libero. Chiunque infatti può scaricare o comprare un software del genere e adottarlo come prodotto della propria azienda, commercializzandolo e soprattutto appropriandosi dei diritti, eventualmente per utilizzi non etici secondo il creatore.
L'accento non è quindi sulla sostenibilità (il software si può vendere in ogni caso), quanto piuttosto sulla salvaguardia della sua libertà.
Stallmann adottò allora quello che definì permesso d'autore, giocando sul significato della parola copyleft: anziché privatizzare il software, lo rendeva libero, fornendo tutta una serie di garanzie nei confronti dell'autore del software stesso.
Il copyleft non nega il copyright, ma si basa su di esso, e sulla sua caratteristica di essere automatico. L'idea centrale della GPL è di dare a chiunque il permesso di eseguire, copiare, modificare e distribuire versioni modificate del programma, ma senza dare la possibilità di aggiungere restrizioni. La GPL è virale perché le libertà di cui è intriso il software sono garantite a chiunque ne abbia una copia e diventano “diritti inalienabili”: il permesso d'autore infatti non sarebbe efficace se anche le versioni modificate del software non fossero libere.
In questo modo la GPL garantisce il creatore del software e la comunità di riferimento stessa, perché ogni lavoro basato sul prodotto originale sarebbe stato sempre disponibile, libero, aperto per tutta la comunità.

Creative Commons

Le licenze Creative Commons intendono ampliare le possibilità di condivisione di contenuti attraverso licenze modulari, componibili. Non si limitano al software, si possono applicare a qualsiasi opera dell'ingegno. I libri di Ippolita sono distribuiti sotto licenza Creative Commons BY-NC-SA (Attribuzione – Non Commerciale – Condividi allo stesso modo). Ciò significa che è possibile copiare e distribuire questi testi, a patto di indicare l'autore originale (Ippolita), di non usarli a fini commerciali e di condividere eventuali opere derivate (per esempio, una graphic novel, una versione audio, o uno spettacolo teatrale!) sotto la stessa licenza. Si tratta di una licenza copyleft, perché virale: non è possibile renderla solo copyright.
Per noi, non si tratta della miglior scelta possibile, ma solo della meno peggio. Le CC sono licenze di tipo liberale, che aderiscono a un modello di società liberale, create negli Usa (come la GPL) e basate sul sistema giuridico locale. Vanno adattate alle altre legislazioni e presuppongono quindi un sistema giuridico con cui non vorremmo aver nulla a che fare, ma con il quale dobbiamo fare i conti quando pubblichiamo dei libri che vengono distribuiti e venduti sul “libero mercato”.
Vogliamo proteggerci dal rischio dell'appropriazione da parte di soggetti che non amiamo, come piattaforme commerciali e corporations; d'altra parte, vogliamo estendere il più possibile la possibilità per i lettori di far circolare i nostri testi. Se fossero sotto copyright, copiarli sarebbe un illecito penale, punibile con la reclusione secondo le scellerate leggi in vigore dagli inizi del XXI secolo in Europa e negli Usa (EUCD, European Copyright Directive e DMCA, Digital Millenium Copyright Act). Chiunque scarichi un contenuto protetto da copyright è, in linea teorica, penalmente perseguibile!

Altre licenze

Esistono moltissime altre licenze, dalle più permissive alle più restrittive. Fra le prime, citiamo BSD e Apache per i software; fra le seconde, tutte le licenze Creative Commons che non consentono opere derivate e non sono quindi copyleft. Degni di nota sono anche i casi di opere cadute nel pubblico dominio, per le quali cioè il copyright è scaduto (di solito, settant'anni dopo la morte dell'autore) e di “uso lecito” (fair use) o altre situazioni di libero utilizzo, ad esempio per scopi didattici. Un comodo ed esaustivo elenco di licenze, nella prospettiva del progetto GNU (Free Software Foundation), si trova all'indirizzo https://www.gnu.org/licenses/license-list.it.html.

La cultura “Free culture” è libera?

La domanda è meno leziosa di quanto sembri. La pagina riassuntiva sponsorizzata dalla FSF riportata sopra indica che la licenza da noi scelta per la pubblicazione dei libri di Ippolita, una CC BY-NC-SA, non è considerata “Free culture” in quanto non consente lo sfruttamento commerciale automatico: “Questa licenza non si qualifica come libera, poiché sussistono restrizioni sul pagamento in denaro delle copie”. Dal nostro punto di vista, questo significa che la licenza è più libera, non meno libera! Non sempre le copie dei nostri libri o di opere da essi derivate saranno pagate in denaro, a volte saranno regalate, copiate, diffuse con altri metodi e per altre ragioni, scambiate con altri libri, con altri beni. Sono oggetti che circolano in un tessuto di relazioni, non beni di consumo, non (solo) merci.
In questo come in molti altri casi le parole sono portatrici di un'intera visione del mondo. Dal punto di vista anglosassone, e statunitense in particolare, Free culture significa “cultura aperta al mercato”. Siccome l'egemonia linguistica determina anche un'egemonia culturale, la FSF si può arrogare il diritto di stabilire cosa sia parte della cultura libera e cosa non lo sia. Siamo orgogliosi di non essere conformi a questa definizione. Vogliamo poter inibire a persone non affini l'accumulo di profitto a partire dal nostro lavoro, ci sembra il minimo. La chiusura nei confronti di soggetti commerciali, o ideologicamente incompatibili è sintomo di maggiore libertà, siamo liberi di scegliere con chi condividere.

Ippolita
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