Rivista Anarchica Online


migranti

La fabbrica dei clandestini

di Davide Biffi

Il decreto governativo sull'immigrazione non farà altro che restringere le possibilità di regolarizzazione di quanti già sono in Italia. Proprio grazie a ciò aumenterà il numero di irregolari (clandestini). E ricordiamoci che clandestini non si nasce.


In queste settimane si parla tanto del decreto immigrazione: documento che sintetizza un'accozzaglia di provvedimenti che puntano a dare un ennesimo giro di vite sul tema immigrazione e sicurezza.
Da anni è diventato naturale associare la parola sicurezza a immigrazione; recentemente sicurezza e richiedenti asilo, rifugiati, profughi. Come se la sicurezza di noi tutti non dipendesse, per esempio, dalla qualità dell'ambiente in cui viviamo, da quello che mangiamo, dai mezzi di trasporto che utilizziamo (il pensiero è al recente disastro genovese e ai tanti morti sulle strade), dai lavori insicuri che tanti devono fare, da mafie, corruzione. Mi fermo qui, l'elenco potrebbe essere più lungo.
Il testo del decreto è lungo ma vale la pena soffermarsi su alcuni passaggi che già tanti hanno sottolineato e denunciato1 in maniera precisa e puntuale. Una delle cose più eclatanti e paradigmatiche a mio avviso è l'abolizione del permesso per protezione umanitaria e stupisce la motivazione con cui è passata. Parafrasando il testo e il legislatore il concetto è: essendo questo permesso il più concesso dagli organi competenti, lo aboliamo, perché concesso con troppa facilità.
Occorre approfondire e spiegare la questione. Il permesso per motivi umanitari era una delle tre forme di protezione che potevano essere concesse dalle Commissioni Territoriali (organo della Prefettura, quindi statale) ai richiedenti asilo. Era una forma prevista dall'ordinamento italiano, a fianco della protezione sussidiaria e dell'asilo politico. Detto male – i giuristi mi perdoneranno – era un permesso residuale concesso quando non erano rilevati gli estremi per una delle due protezioni internazionali citate, ma ci si trovava di fronte ad una situazione di particolare vulnerabilità o bisogno. Per esempio, veniva utilizzato molto con i giovanissimi migranti giunti in Italia dopo lunghi viaggi (riconoscendo quindi la circostanza di mettersi in viaggio poco più che bambini o adolescenti e arrivare in Italia appena maggiorenni); oppure veniva riconosciuto a persone provenienti da zone particolarmente devastate da disastri ambientali, da situazioni di guerra e delinquenza diffuse; a persone con patologie croniche e difficilmente curabili nel loro Paese di origine; o, ancora, a persone che in Italia avevano fatto un particolare percorso di integrazione. Uno strumento che concedeva una certa autonomia decisionale alle Commissioni.

Eliminate ulteriori garanzie di legge

Sia chiaro: le Commissioni non regalano protezioni. Il dato è più o meno costante da anni: meno della metà dei richiedenti asilo ottiene una forma di protezione in Italia. Nel 2017 delle 82.000 domande di protezione esaminate in Italia; il 52% ha ricevuto una risposta negativa.
L'attuale legge in vigore in tema di immigrazione (la Bossi-Fini) non prevede canali di ingresso in Italia se non si ha prima dell'arrivo un contratto di lavoro. La richiesta d'asilo è diventata di fatto l'unica possibilità di regolarizzazione in Italia. Non sto affermando che coloro che arrivano non hanno diritto alla richiesta di protezione, come sostiene ampiamente questo governo. Chiunque ha diritto a presentare domanda di protezione internazionale e per questo motivo non può essere espulso al suo arrivo – cosa che questo governo vorrebbe fare e per alcune nazionalità già fa – ma deve avere prima la possibilità di andare davanti alla Commissione e narrare la sua storia.
Gran parte delle persone che giungono in Italia non ha altra scelta per “mettersi in regola” e va quindi di fronte alla Commissione per il riconoscimento della protezione internazionale alla “spera in Dio”, quando va bene. La Commissione ha il compito di decidere se chi ha di fronte a sé ha il diritto o meno alla protezione; se può rimanere in Italia o se deve tornarsene a casa.
E qui torniamo ad una parziale spiegazione del numero di dinieghi. Se solo esistesse la possibilità di chiedere un permesso per “ricerca lavoro” crollerebbero di conseguenza gli sbarchi e i numeri della richiesta di protezione internazionale. La Commissione applica la legge; la Commissione è composta da “tecnici”, gente imparziale, si dirà. Certo, ma la Commissione ha l'onere di valutare la verità e la credibilità di quel che raccontano i migranti sulla loro storia di vita e sul rischio che correrebbero tornando nel proprio Paese, in un'audizione che dura tra una e due ore, tre quando va bene.
La verità, le storie di vita e migrazione, sono incommensurabili con una legge che possa decidere “tu sì e tu no”, tu resti e tu torni a casa tua. Siamo certi che nell'Italia del 2018 un organo tecnico, composto da donne e uomini in carne ed ossa, non si faccia minimamente scalfire da un clima di respingimento che esiste non solo in Italia ma in tutta Europa?

La vergogna in Libia: il “contenimento” dei migranti

Torniamo al punto: quando un governo dice che si danno troppe protezioni umanitarie e addirittura la abolisce per legge è un chiaro messaggio politico quello che trasmette sia all'elettorato che agli altri organi dello Stato. In questo modo continua la propaganda: c'è un'emergenza immigrazione e “aboliamo i permessi facili per i finti profughi”, sembra dire il governo. Ciò che si fa non è altro che eliminare ulteriori garanzie di legge, dopo che Minniti nell'agosto 2017 ha tolto il secondo grado di appello contro le decisioni delle Commissioni.
L'intento di questo provvedimento di Salvini non farà altro che restringere le possibilità di regolarizzazione di quanti già in Italia. Proprio grazie a ciò aumenterà il numero di irregolari (clandestini). Così sarà mantenuto quel bacino di disgraziati contro cui scagliarsi e fare campagna elettorale: “troppi i clandestini!” (che avete creato voi. Perché clandestini non si nasce!).
Parallelamente il caso Diciotti e tutto il teatrino sul blocco dei porti, le continue visite del Ministro dell'Interno nelle periferie dove promette di risolvere i problemi a colpi di ruspa, il bombardamento social, la promessa di rimpatriare centinaia di migliaia di irregolari, il caso Lucano.
Lo schema è chiaro: continuare a parlare e agire in questi termini e toni sulla questione migratoria, rincorrendo e alimentando l'umore dell'elettorato, che lo legittima, che lo osanna.
L'altro tema a cui volevo accennare è la situazione in Libia, imprescindibile se vogliamo parlare di flussi migratori verso l'Italia e l'Europa. La Libia è stata fatta esplodere nel 2011 e non è mai stata ricomposta.
I precedenti governi siglarono accordi per il “contenimento” (imprigionamento) dei migranti sul territorio libico che in quest'anno stanno dando i loro migliori frutti (se per migliori intendiamo il netto calo degli arrivi via mare). L'attuale governo vuole continuare su questa strada e la posta in gioco aumenta, perché in Libia hanno capito da anni che si fanno grandi affari con l'Unione Europea che teme “l'invasione” dei migranti. In Libia si continua a fare affari anche con il traffico di esseri umani: dopo gas e petrolio, quello della migrazione è business migliore. Rapimenti, taglieggiamenti, furti a danno dei migranti; sfruttamento lavorativo, prostituzione, violenze, torture sono il pane quotidiano per coloro che hanno la sfortuna di arrivare in Libia.
I migranti in Libia sono una materia prima di grande importanza e sono intrappolati in una situazione di violenza costante, una situazione disperante: l'unica via d'uscita è tentare di giungere in Italia.
Tutti conoscono la situazione in Libia e qualunque agenzia lo ribadisce costantemente: Onu, Unhcr, Oim, per citare quelle istituzionali. E lo sa chi ogni giorno è a contatto con i migranti che quel viaggio lo hanno fatto, perché i migranti ne parlano, lo raccontano e, purtroppo, lo ricordano; eccome se lo ricordano. Però c'è chi dice che la Libia è un porto sicuro, che non esiste la tortura, che i centri di accoglienza lì non sono così male, che quelli che arrivano qua sono grandi, grossi e palestrati e quindi in Libia non si sta così male.
Allora, mi chiedo: questi migranti si sono messi tutti d'accordo per inventarsi una grandissima balla per fregarci? Oppure dicono la verità? Verità, anche questa, che non viene ascoltata e tenuta in considerazione. Allora, cos'è la verità? Forse è solo quello a cui siamo disposti a credere.

Davide Biffi

  1. Si veda per esempio la lettera che il Naga di Milano ha indirizzato al presidente della repubblica e a cui hanno aderito decine di sigle: http://naga.it/index.php/notizie-naga/items/litalia-non-diventi-il-paese-dei-lager.html.