Rivista Anarchica Online





Dibattito antifascismo/ Con il piede in mezzo all'uscio

Sollecitati dagli interventi pubblicati sulla rivista dell'aprile 2018 (“A” 424) prendiamo parola per integrare le considerazioni pubblicate. Ci pare che tutti i compagni (maschi) intervenuti sottovalutino la reale portata della questione. Ed in particolare “condannino” le pratiche antifasciste “di piazza” che tentano di togliere agibilità politica e sociale alle formazioni di estrema destra.
Fedeli a Luigi Fabbri poniamo la questione della “controrivoluzione preventiva” di cui i fascisti (vecchi e nuovi) si fanno interpreti.
Anche nel 1919 il fascismo sembrava “inattuale”; allora, come oggi, il fenomeno si rappresentava come folkloristico e la “buona borghesia” pensava di poterlo utilizzare contro il pericolo di una rivoluzione sociale. Anche oggi – pur mancando un immaginario rivoluzionario – le contraddizioni sociali sono stridenti tanto da portare il presidente della Repubblica Francese a paventare la “guerra civile in Europa”. E il fascismo è ancora lì, pronto a servire la nazione.
Ma il punto è: quale azione è efficace per contrastare il fascismo?
Spesso nelle discussioni pubbliche che facciamo (come Nodo Sociale Antifascista di Bologna - https://staffetta.noblogs.org/) usiamo la metafora del piazzista: se mette il suo piede in mezzo all'uscio non te lo levi più di torno.
Lo stesso vale per le formazioni fasciste: se non togli loro agibilità e gli impedisci di organizzarsi non te li togli più di torno.
Quindi è ben vero che se il 25 aprile è “tutto l'anno” e l'azione sociale che compagne e compagni conducono in ogni dove e su qualsiasi tema è il migliore antidoto contro le pulsioni autoritarie e segregazioniste; altrettanto compagne e compagni si debbono porre il problema – ed agire di conseguenza – affinché chi fomenta e organizza autoritarismo e segregazione non abbia agibilità alcuna.
Ben vengano quindi tutte le azioni – di massa o militanti – che contendono metro per metro le nostre strade e i nostri quartieri all'azione organizzata dei fascisti.
Se si lascia che il fascista metta il piede in mezzo all'uscio si sarà perso molto terreno e per chi ama la libertà ci sarà “vita grama”. Le testimonianze in merito si sprecano. Dove i fascisti hanno avuto la possibilità di aprire sedi, di organizzare associazioni collaterali, di fare banchetti, le aggressioni non si contano (vedi mappa ecn.org/antifa). Ed è lì che la politica istituzionale balbetta agendo collateralmente ai fascisti per produrre politiche di governo (locale o generale) sempre più autoritarie.
Da Bologna (16 febbraio 2018 migliaia di giovani contro Forza Nuova), a Macerata (10 febbraio 2018 decine di migliaia di persone per ribadire No al fascismo), a Firenze (10 marzo 2018 ancora decine di migliaia di persone contro ogni razzismo), a Piacenza (10 febbraio 2018 migliaia di giovani e lavoratori della logistica contro Casa Pound) per arrivare a Palermo (dove un noto picchiatore ha imparato cosa vuole dire aggredire), l'antifascismo che non delega allo stato il contrasto al fascismo ha dato un'indicazione precisa di cosa voglia dire contrastare il fascismo vecchio e nuovo.
Il 25 aprile scorso a Bologna è stato organizzato il consueto (da ormai cinque anni) corteo “non istituzionale”; promotrici sono state variegate realtà antifasciste bolognesi tutte accomunate dalla medesima analisi del fascismo contemporaneo dove i “nemici” non sono solo Forza Nuova, Casa Pound, Lealtà e Azione, Hammer Skin, Veneto Fronte Skinhead e ciarpame vario ma anche i pariti istituzionali come Fratelli d'Italia e Lega Nord (nelle cui file c'è un pullulare di “guardie del corpo” e servizi d'ordine dove i tatuaggi espliciti si sprecano), per non dimenticare le derive rosso-brune che oggi trovano ascolto nelle smarrite forze della sinistra antiimperialista e anticapitalista (ma, guarda caso, non antiautoritaria).
Per preparare la manifestazione si sono date corso a una ventina di iniziative a carattere culturale e sociale in diversi quartieri della città. Questo per sottolineare il carattere sociale dell'antifascismo che si rappresenta il 25 aprile e che è confluito nella festa popolare del Pratello R'Esiste (una manifestazione che vede la partecipazione di decine di migliaia di persone). Ma le stesse realtà antifasciste bolognesi sono sempre vigili e pronte a contrastare i gruppi fascisti nelle strade e nelle piazze, davanti alle scuole e ai mercati rionali perché “pri fasist a bulagna gn'è gnac un panen” (canzone dialettale che ricorda lo sciopero delle lavoratrici e dei lavoratori dell'Autogrill “Cantagallo” contro Almirante).
Oggi come allora, sui nostri monti e in Spagna, nelle strade e nelle piazze la resistenza al fascismo è compito inderogabile delle e degli amanti della libertà. Fiducia nello stato non ne abbiamo, l'antifascismo è nostro e non lo deleghiamo (slogan di apertura del corteo del 25 aprile 2018).

I compagni e le compagne del circolo anarchico Berneri
Bologna



Genova/ Di stato si muore ancora. Il caso Jefferson Tomalà

Dello scorso giugno è la notizia della morte di Jefferson Tomalà, un giovane 21enne di origini ecuadoriane, ucciso nel corso di un intervento effettuato dalle forze di polizia nella sua abitazione a Genova, a seguito di una chiamata da parte della madre del ragazzo, la quale ha chiesto aiuto perché Jefferson minacciava di togliersi la vita.
Non è chiaro se le forze dell'ordine fossero intenzionate a contattare i medici per valutare la possibilità di un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio); quel che è certo è che l'unica ambulanza arrivata sul posto ha potuto solo raccogliere la sua salma, perché un agente della polizia ha esploso contro Jefferson ben cinque colpi. Infatti gli agenti, una volta intervenuti, hanno spruzzato sul viso di Jefferson dello spray urticante: comprensibilmente questo gesto, anziché calmarlo, lo ha agitato; con il coltello che prima impugnava minacciando di uccidersi, Jefferson ha allora ferito un poliziotto e per questo viene ammazzato, colpito più volte, ad altezza d'uomo, davanti alla madre, in una stanza in cui erano presenti otto persone e in cui magari sarebbe stato possibile operare in modo diverso per tutelare il poliziotto ferito senza sparare ripetutamente a Jefferson.
Il Ministro dell'Interno si è dichiarato “vicino al poliziotto” che ha ucciso Jefferson, il quale avrebbe “fatto il suo dovere”; il capo della Polizia Gabrielli ha anche annunciato che presto i poliziotti avranno in dotazione i Taser (le pistole elettriche).
La morte di Jefferson – perché, anche in assenza camici, è pur sempre la morte di una persona che aveva bisogno di calma e supporto, avvenuta per mano di persone che esercitano il proprio potere con forza e coercizione – ci ricorda ancora una volta quella di Mauro Guerra, ucciso con uno sparo da parte un carabiniere il 29 luglio 2015 a Carmignano di Sant'Urbano mentre cercava di fuggire per sottrarsi a un TSO, e quella di Andrea Soldi, strangolato su una panchina di piazzale Umbria dalle forze dell'ordine durante un TSO, il 5 agosto del 2015 a Torino. Per la morte di Andrea, si è concluso poche settimane fa il processo; sono stati condannati a un anno e otto mesi per omicidio colposo i tre vigili autori della cattura (Enri Botturi, Stefano Del Monaco e Manuel Vair) e lo psichiatra Pier Carlo Della Porta dell'Asl che ha richiesto il TSO Poco più di un anno e mezzo per aver ucciso un uomo. Basta fare un confronto con le pene di oltre 4 anni che lo stesso tribunale ha inflitto ad alcuni imputati NO TAV che si opposero alla distruzione di un territorio per un progetto inutile quanto oneroso.
La psichiatria da anni teneva sotto stretto controllo Andrea, assoggettandolo alle sue cure tramite depot (la puntura intramuscolo bisettimanale o mensile). Tante volte Andrea aveva cercato di liberarsi da questa trappola, di riprendere in mano la propria vita e le proprie scelte: per questo aveva subito una decina di trattamenti obbligatori, fino all'ultimo che l'ha portato alla morte.
Il regime terapeutico imposto dal TSO ha una durata di 7 giorni e può essere effettuato solo all'interno di reparti psichiatrici di ospedali pubblici. Deve essere disposto con provvedimento del Sindaco del Comune di residenza su proposta motivata da un medico e convalidata da uno psichiatra operante nella struttura sanitaria pubblica.
Dopo aver firmato la richiesta di TSO, il sindaco deve inviare il provvedimento e le certificazioni mediche al Giudice Tutelare operante sul territorio, il quale deve notificare il provvedimento e decidere se convalidarlo o meno entro 48 ore. Lo stesso procedimento deve essere seguito nel caso in cui il TSO sia rinnovato oltre i 7 giorni. La legge stabilisce che il ricovero coatto può essere eseguito solo se sussistono contemporaneamente tre condizioni: l'individuo presenta alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, l'individuo rifiuta la terapia psichiatrica, l'individuo non può essere assistito in altro modo rispetto al ricovero ospedaliero.
Subito ci troviamo di fronte ad un problema: chi determina lo “stato di necessità” e l'urgenza dell'intervento terapeutico? E in che modo si dimostra che il ricovero ospedaliero è l'unica soluzione possibile? Risulta evidente che le condizioni di attuazione di un TSO rimandano, di fatto, al giudizio esclusivo ed arbitrario di uno psichiatra, giudizio al quale il Sindaco, che dovrebbe insieme al Giudice Tutelare agire da garante del paziente, di norma non si oppone.
Per la persona coinvolta l'unica possibilità di sottrarsi al TSO sta nell'accettazione della terapia al fine di far decadere una delle tre condizioni, ma è frequente che il provvedimento sia mantenuto anche se il paziente non rifiuta la terapia. Se, in teoria, la legge prevede il ricovero coatto solo in casi limitati e dietro il rispetto rigoroso di alcune condizioni, la realtà testimoniata da chi la psichiatria la subisce è ben diversa. Con grande facilità le procedure giuridiche e mediche vengono aggirate: nella maggior parte dei casi i ricoveri coatti sono eseguiti senza rispettare le norme che li regolano e seguono il loro corso semplicemente per il fatto che quasi nessuno è a conoscenza delle normative e dei diritti del ricoverato.
Molto spesso prima arriva l'ambulanza per portare le persone in reparto psichiatrico e poi viene fatto partire il provvedimento. La funzione dell'ASO (Accertamento Sanitario Obbligatorio) è generalmente quella di portare la persona in reparto, dove sarà poi trattenuta in regime di TSV o TSO secondo la propria accondiscendenza agli psichiatri.
Il paziente talvolta non viene informato di poter lasciare il reparto dopo lo scadere dei sette giorni ed è trattenuto inconsapevolmente in regime di TSV (Trattamento Sanitario Volontario); oppure può accadere che persone che si recano in reparto in regime di TSV sono poi trattenute in TSO al momento in cui richiedono di andarsene. Diffusa è la pratica di far passare, tramite pressioni e ricatti, quelli che sarebbero ricoveri obbligati per ricoveri volontari: si spinge cioè l'individuo a ricoverarsi volontariamente minacciandolo di intervenire altrimenti con un TSO.
A volte vengono negate le visite all'interno del reparto e viene impedito di comunicare con l'esterno a chi è ricoverato nonostante la legge 180 preveda che chi è sottoposto a TSO “ha diritto di comunicare con chi ritenga opportuno”.
Il TSO è usato, presso i CIM o i Centri Diurni, anche come strumento di ricatto quando la persona chiede di interrompere il trattamento o sospendere/scalare la terapia; infatti oggi l'obbligo di cura non si limita più alla reclusione in una struttura, ma si trasforma nell'impossibilità effettiva di modificare o sospendere il trattamento psichiatrico per la costante minaccia di ricorso al ricovero coatto cui ci si avvale alla stregua di strumento di oppressione e punizione. Per questo ancora una volta diciamo NO ai TSO, perché i trattamenti sanitari non possono e non devono essere coercitivi e affinché nessuno più debba morire sotto le mani di forze dell'ordine al servizio degli psichiatri.
La nostra più sincera e affettuosa solidarietà alla madre e alla famiglia di Jefferson.

antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org
335 7002669
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Pisa



Un appello da Viterbo/ Si dimetta il governo dell'ecatombe

Da anni nel Mediterraneo è in corso un'autentica ecatombe, provocata dalla criminale decisione dei governi europei di impedire a chi è costretto a lasciare il paese d'origine per salvare ovvero migliorare la propria vita in fuga da fame e guerra, da dittature e disastri ambientali, di giungere in salvo qui in modo legale e sicuro, con gli stessi ordinari mezzi di trasporto e le stesse ordinarie modalità con cui gli europei raggiungono liberamente ogni parte del mondo.
Il governo italiano, rifiutando di soccorrere ed accogliere i naufraghi, commette un crimine abominevole. Il governo italiano, aggredendo i soccorritori che salvano le vite, commette un crimine infame. Il governo italiano viola il primo di tutti i doveri e la prima di tutte le leggi: salvare le vite.
Questo governo commette un crimine contro l'umanità.
Grotteschi alibi, ignobili menzogne, una retorica perversa, abissi di depravazione.
Non si adduca ad alibi che anche altri governi europei commettono la stessa infame violenza: il fatto che un crimine sia commesso da più soggetti non diminuisce la responsabilità di ciascuno. Non si persista nell'oscena enormità di sostenere che chi salva le vite è complice delle mafie schiaviste dei trafficanti: chi salva le vite in pericolo fa cosa buona e giusta; i complici e i mandanti delle mafie schiaviste sono invece i governi europei che hanno creato quel criminale mercato con la scellerata decisione di impedire ad esseri umani che ne hanno pieno diritto di giungere in Europa in modo legale e sicuro.
Si cessi infine di fare l'elogio della violenza criminale con la perversa retorica secondo cui il bene (detto “buonismo” per irriderlo) sarebbe male e conseguentemente viceversa, e quindi commettere il male (lasciar morire degli innocenti) sarebbe meglio che fare il bene (salvare loro le vite).
Un simile abisso di depravazione scandalizza ed indigna ogni essere umano.
Si dimetta il governo dell'illegalità e della disumanità, siano processati i ministri criminali e razzisti. Il governo italiano attuale, con il suo esplicito programma di persecuzioni razziste e religiose in flagrante violazione della Costituzione, è illegittimo “ab origine”: poiché è evidente che i propugnatori di quel programma quando hanno giurato fedeltà alla Costituzione hanno commesso uno spergiuro e un falso, una frode e un tradimento.
Il governo italiano di cui è effettuale padrone chi da molti anni svolge una brutale propaganda di istigazione all'odio razziale (reato previsto e punito dalla legge vigente); il governo italiano di cui il vero capo ha reiteratamente annunciato l'intenzione di realizzare schedature etniche dei rom che lo stesso presidente del Consiglio dei ministri ha dovuto confessare essere incostituzionali; il governo italiano che nel suo programma prevede effettuali vessazioni nei confronti dei fedeli di una delle maggiori religioni del mondo; il governo italiano che non soccorre i naufraghi in pericolo di morte ed anzi perseguita i soccorritori che loro salvano le vite; ebbene, questo governo italiano il cui programma e il cui operato chiaramente confliggono con la Costituzione della Repubblica italiana, questo governo italiano che commette ed annuncia crimini mostruosi, deve dimettersi. Deve dimettersi.
Deve dimettersi, ed i ministri responsabili di gravissimi delitti devono essere processati e condannati a norma delle leggi vigenti.
L'Italia è una repubblica democratica, uno stato di diritto, un paese civile.
Il razzismo è un crimine contro l'umanità.
Salvare le vite è il primo dovere.

Il Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo
centropacevt@gmail.com



Poesia/ Come una volta

dedicata a Judith, Julian, Hanon, per sempre

Qualcuno
si stupirà forse
ma non è cambiato
niente
voglio ancora viaggiare
senza passaporto
il mondo è tondo
i confini
mai sottoscritti
nessuno mi ha chiesto
se ero d'accordo
voglio fumare
erba
se mi va
altro che tabacco
con avvertimenti di morte
e bicchierini con alpini
e non venite a dirmi
che vi importa
di noi
aghi nel braccio
in vicoli bui
lasciateci in pace
suicidio assistito
se quando come
decideremo
salti nel buio
come una festa
libera scelta
libera sempre
libero tutto
voglio mangiare
seduto sui gradini
di una chiesa
chiedere l'elemosina
ovunque
offrire ai cristiani ai marxisti a tutti
la possibilità
di esserlo
togliermi la camicia
in piazza
abbronzare le spalle
del bianco ridicolo
colpevole
che sono
assomigliare un giorno
al nero magnifico
che ero
togliermi i pantaloni
le mutande
camminare
con naturalezza
tra lo shopping
idiota
del centro
la pubblica decenza
pornografia mascherata
occhio malevolo
tutto è puro
per chi è puro
augh ho detto
la cosiddetta utopia
così semplice
così naturale
così
sana
mentre la malattia
in divisa
dilaga nelle strade
nelle teste
si mostra in tv
tronfia nauseante
avete vinto
un'altra mano
un giorno sarà diverso
nell'attesa
venite a prendermi
capro espiatorio
volontario
crocifiggetemi pure
vi aspetto.

Sandro Spinazzi
Marghera (Ve)



Dibattito su Stirner/ Non è vero che tutto fa anarchia

Prima di iniziare queste brevi e rapsodiche riflessioni vorrei specificare che non ritengo sia corretto proporre un canone di anarchismo, rispetto al quale accreditare quale anarchica una corrente di pensiero. Ortodossia ed eresia non hanno senso in ambiente an-archico. Si può tutt'al più proporre – per comodità e non per verità – una ricostruzione idealtipica nella nostra corrente di pensiero, che racchiuda quelli che appaiono all'osservatore i caratteri comuni di prospettive di pensiero che radicalmente negano la legittimità del potere quale imprescindibile criterio di regolamentazione sociale, tanto da tratteggiarne i labili, in quanto mai definibili con certezza, contorni. Ciò premesso non ritengo nemmeno che qualsiasi prospettiva di pensiero che esaltando indiscriminatamente la libertà e negando la legittimità d'ogni vincolo possa di per sé definirsi o venire definita anarchica.
Venendo al punto, sull'ultimo fascicolo di “A” (“A” 427, estate 2018) Enrico Ferri nel presentare la traduzione italiana da lui curata del volume di Mackay, Max Striner, sein Leben un sein Werk, ha, sia pure indirettamente, riproposto un annoso problema di teoria delle dottrine politiche: ovvero il rapporto tra l'anarchismo ed il liberalismo.
Nel porre in dubbio l'integrità anarchica del pensiero di Stirner, sottolineando come ne L'unico non vi sia né riferimento esplicito all'anarchia, né tanto meno sia ravvisabile una prospettiva che si riconduca ad una sintesi tra uguaglianza e libertà, che caratterizza invece il pensiero di autori fondanti il pensiero/movimento anarchico, tra i quali spicca ovviamente Bakunin, rammenta che il filosofo di Bayreuth all'incontrario di altri pensatori anarchici concentra la sua attenzione su quell'individuo proprietario (der Einzige), il quale, ben lungi dall'essere in rapporti solidali con gli altri, instaura che il propri simili rapporti di sapore utilitaristico. Il fine di Striner non sarebbe la società (anarchica), ma un'unione (degli egoisti) da conseguirsi con la ribellione conto lo stato presente e non con la rivoluzione dello stesso.
Posta così la questione, la prospettiva stirneriana appare in netta contrapposizione con quella solcata alcuni decenni più tardi da Bakunin nello scritto noto al lettore italiano come Dio e lo stato, nel quale il rivoluzionario russo propone una serrata (e coerente) critica dell'individualismo e dell'utilitarismo che pervadono il pensiero liberale. Bakunin non conduce il liberalismo alle sue estreme conseguenza (fra le quale potrebbe spiccare l'abolizione di quel male necessario che è lo stato), egli ne mina le basi proponendo al lettore una visione dei fatti politici antitetica a quella liberale contrapponendo all'individuo a-sociale l'essere umano socializzato, alla libertà quale solitudine la libertà quale conseguenza del rapporto tra liberi.
A mio parere non vi è dubbio che Bakunin sviluppi forme di pensiero nettamente divergenti dal liberalismo, non avendo con questa corrente alcune premessa comune, tanto da poter affermare che l'anarchismo bakuniniano è cosa totalmente altra dalle declinazione del liberalismo ed in alcun modo a queste può essere ricondotto.
Mi pare invece che lo stirnerismo possa ragionevolmente ricongiungersi al liberalismo rappresentandone una delle sue forme più estreme e, per certi versi, coerenti. Non è un caso che Stirner non perori la causa del male necessario (cara ai vari Paine ed Humboldt), ed anzi proclami l'abolizione dello stato, ma non in nome dell'abolizione del potere, che all'incontrario deve ritrovare nell'individuo la propria (naturale) sede. Stirner in un certo qual modo ripropone quale realtà positiva (si veda il suo Verein) quello stato di natura da cui si diparte la speculazione liberale (che giunge poi, proprio a fronte della supposta sregolatezza degli individui, a legittimare la fondazione dello stato); costruzione ipotetica quella liberale che Bakunin rigetta totalmente.
In Strirner possiamo cogliere un percorso liberale svolto all'incontrario; anziché condurre l'individuo dallo stato di natura allo stato civile tramutandolo in suddito/cittadino, il nostro anela di ricondurre il cittadino allo stadio di individuo, di unico trasportandolo dalla società all'unione.
Se così stanno le cose (mi scuso per le semplificazioni), ovvero se da un lato riscontriamo il pensiero bakuniniano tutto proteso a valorizzare l'essere umano nel suo rapporto con gli altri e dall'altro la prospettiva stirneriana radicalmente volta all'esaltazione dell'unicità, allora i due approcci appaiono in contraddizione e non possiamo ragionevolmente ritenere che siano due generi appartenenti alla stessa specie.
In buona sostanza, mi pare, nello specifico, di poter scorgere da un lato (Bakunin) una declinazione dell'anarchismo, dall'altro (Stirner) una riproposizione in termini critici del liberalismo. Più in generale, se la prima si costituisce in opposizione al liberalismo, allora non potrà esserne una specificazione e quindi anarchismo e liberalismo, al di là di assonanze terminologiche e di incontri storici, appartengono a prospettive di pensiero politico diametralmente apposte. Nel caso della seconda, pur pervenendo ad esiti opposti, stirnerismo e liberalismo mantengono in comune la medesima struttura di pensiero tutta incentrata su un individualismo utilitaristico.
Tutto questo per significare che, come detto all'inizio, non ogni esaltazione della libertà è sinonimo di un pensiero anarchico, a maggior ragione se si spaccia la sregolatezza quale anarchica libertà.

Marco Cossutta
Trieste



Cara “A”/ Ringraziamenti e antifascismo

Cara “A”,
questa che ti sto scrivendo è innanzitutto una lettera di ringraziamenti. Parafrasando il titolo di un celeberrimo libro, potrei dire infatti di essere anarchico grazie ad “A”.
Era l'estate del 1978, esattamente quarant'anni fa, avevo 14 anni ed ero nel limbo tra la fine delle scuole medie e l'inizio delle superiori. Al mare sulla spiaggia avevo avuto una lunga discussione di politica con un mio compaesano più grande di me, che era del PDUP e che stava per iniziare l'università e che alla fine se n'era andato tutto arrabbiato dicendomi che con le mie idee non sarei mai potuto essere un comunista (mentre io ero convinto di essere un simpatizzante di Democrazia Proletaria e dell'Autonomia Operaia) e che “al massimo” potevo essere un anarchico.
Tornando a casa mi sono fermato all'edicola del mio paese, dove era un po' di mesi che avevo notato “A” che insieme a “Re Nudo” e al “Male” stava al confine tra le riviste musicali e quelle porno e l'ho comprata, investendoci gran parte della mia magrissima paghetta mensile. L'ho letta tutta quella sera stessa e probabilmente c'ho capito pochissimo, ma la mattina dopo sono diventato anarchico e da allora ho sempre continuato a leggerti.
Chiaramente in tutto questo tempo in tante occasioni non sono stato d'accordo con quello che leggevo sulla rivista. Per fare solo un esempio relativamente recente: il diluvio di articoli vegani e antispecisti mi ha convinto del fatto che dopo oltre cinque lustri di vegetarianesimo sarebbe per me il momento di tornare a mangiare carne e pesce (anche se per ora non ne ho avuto il coraggio) per evitare di essere confuso con certi fanatici anti-umani.
Dato che però credo che nel movimento anarchico non possa non esistere un certo pluralismo del pensiero, ti ringrazio anche di questo, di avermi messo a contatto con anarchismi molto lontani dal mio. E comunque: se da allora ho continuato (a parte un paio d'anni di smarrimento nel Movimento Nonviolento dopo Comiso) ad essere anarchico, è stato per un sacco di motivi, a partire dalle persone bellissime che ho incontrato e che continuo ad incontrare tra gli anarchici e le anarchiche. Se sono diventato anarchico, però, è grazie ad “A” che era in vendita all'edicola del mio paese...

Dopo una cena in pizzeria
Non è solo per il “nostro” quarantesimo anniversario, tuttavia, che ti scrivo, ma anche per intervenire nel dibattito sull'antifascismo. Al di là di ogni considerazione sui “fatti di Palermo” su cui avete fatto benissimo ad aprire la discussione (a me personalmente l'idea dell'imboscata con lo smartphone suscita ben più di qualche perplessità), mi sembra che in questo momento ci sia un problema molto più grande e che è rappresentato dal governo che c'abbiamo a livello nazionale e in moltissime città.
Mentre sto scrivendo questa lettera, sono settimane che le cronache riferiscono di navi cariche di migranti bloccate in mare e costrette a vagare sotto il sole tra i porti del Mediterraneo, di ronde di Casa Pound e di Forza Nuova che vagano incontrastate sulle spiagge e per i quartieri, di aggressioni razziali e squadriste che si susseguono in tutta la Penisola (magari sotto la forma molto millennial del tiro al negro con armi ad aria compressa) senza parlare di quello che succede nel mondo virtuale dei social e dei commenti su Internet ormai invasa da onde di troll di estrema destra.
Mi sono deciso a scrivervi questa lettera dopo esser stato ad una cena in pizzeria con delle mie colleghe insegnanti (faccio il maestro elementare) che dopo aver passato tutta la serata a parlare allegramente ad alta voce delle cose più personali e delicate, appena l'argomento è finito sulla chiusura dei porti ordinata da Salvini, tutte fortunatamente si sono messe a dire male del capo della Lega, ma a voce bassissima e io mi sono sorpreso (vergognandomene) a pensare che era meglio, che se qualcuno ci sentiva, come minimo si rischiavano insulti e litigate. Non credo onestamente che tutto questo non sia in qualche modo legato all'arrivo al governo di Lega e 5 Stelle, due partiti che in modo neanche troppo diverso hanno fatto dell'odio e dell'intolleranza la propria cifra distintiva.
Al di là delle cose che ho già scritto, mi spaventa un governo che secondo Salvini rappresenta “la realizzazione del desiderio di oltre 60 milioni di italiani” (cioè di tutti gli abitanti della Penisola, compresi i minorenni, gli stranieri che non possono votare e i 30 milioni di aventi diritto al voto che non hanno votato Lega, 5 Stelle e i loro alleati di fatto Fratelli D'Italia - che di voti ne hanno presi solo poco più di 16 milioni), mentre Di Maio ha festeggiato l'arrivo al governo dei “cittadini” (cioè di leghisti e grillini. Tutti gli altri sono – siamo – parassiti o traditori), in perfetta coerenza con la definizione di “populisti” di cui si fanno vanto i nuovi governanti, in primis l'ingessato premier Conti.
Chi non è d'accordo con “il popolo” (ad esempio chi si ostina a non considerare i migranti “invasori”) non ha diritto di parola, come minimo è da considerarsi un privilegiato, un abitante “di piazza Navona o di via Montenapoleone a cui nessun immigrato minaccerà mai il posto di lavoro” (lo ha scritto il tycoon televisivo Carlo Freccero in un articolo sul Manifesto, che evidentemente non sa resistere alle firme dei Vip neanche quando dicono delle porcherie).
Da quando sono diventato anarchico mi sono battuto contro tutti i governi che si sono succeduti nel nostro paese, da quelli pentapartito e di unità nazionale della Prima Repubblica alle varie compagini di centrodestra e di centrosinistra ai tremendi governi Monti e Renzi, e tanti o pochi ho sempre avuto compagni accanto a me, persino contro il presidente “Santo” Pertini quando nel 1982 venne in visita a Carrara e con alcuni altri compagni “irresponsabili” (come ci definì qualche compagno più anziano) organizzammo una protesta firmandoci “gli anarchici del Nautilus”.

Diamoci una svegliata
Davanti, però, a questo governo che tiene a morire di caldo sui ponti delle navi i profughi e i migranti impedendone lo sbarco, le uniche iniziative di protesta (a parte che nei porti e nei luoghi di frontiera come Ventimiglia) sono opera di sparuti gruppi di coraggiosi disorganizzati e in genere molto molto giovani o di associazioni paracattoliche e noi “compagni” mi sembra che più che altro siamo impegnati a far finta di niente o ad occuparci di temi meno impopolari, mentre anche a sinistra aumentano le voci dei rosso-bruni che – dal Partito Comunista di Marco Rizzo al filosofo marxista-fighetto Diego Fusaro – giustificano la persecuzione dei migranti e il respingimento dei profughi. Credo che forse potremmo iniziare a darci una svegliata se finalmente trovassimo il coraggio di cominciare a chiamare tutto questo con il suo nome che è “fascismo” e che, come diceva Malatesta nell'interessantissimo articolo di Franco Bertolucci pubblicato su “A” n. 424 (aprile 2018) va condannato (e combattuto) “non solo come fatto economico e politico, ma anche e soprattutto come fenomeno di criminalità”.
Lo so che sono anni che sulle pubblicazioni anarchiche e su quelli della sinistra radicale in genere vengono pubblicati dotti articoli di dotti accademici che dottamente ci spiegano che la Lega, Trump, Orban etc. non hanno nulla a che vedere col fascismo. Io confesso che mi sono sempre irritato quando ho sentito chiamare con disinvoltura fascisti la Democrazia Cristiana o Berlusconi dai loro avversari elettorali e spero che abbiano ragione “dotti, medici e sapienti” e che stavolta sia il mio turno di usare questo termine a sproposito.
Temo però che abbia ragione il filosofo francese Eric Fassin che in un articolo sul Manifesto ha scritto che sarebbe “appropriato parlare di un «momento neofascista». Come nel fascismo storico, si ritrovano in effetti oggi il razzismo e la xenofobia, la dissoluzione dei confini tra destra e sinistra, il culto di leader carismatici e la celebrazione della nazione, l'odio delle élite e l'esaltazione del popolo, il disprezzo per lo Stato di diritto e l'apologia della violenza, ecc. (...) rifiutare di nominare questo neofascismo autorizza a non far nulla. I rigorosi scrupoli intellettuali di alcuni finiscono per servire da pretesto alla molle viltà politica di molti.
Gli eufemismi impediscono la mobilitazione di un antifascismo che, lungi dall'essere la cauzione democratica delle politiche economiche attuali, riconosca la responsabilità del neoliberismo nell'ascesa del neofascismo”.
Saluti fraterni e libertari

Robertino Barbieri
Asciano Pisano (Pi)




I nostri fondi neri

Sottoscrizioni. Mario Zonfrilli (Roma), 20,00; Angelo Roveda (Milano) 4,00; Giorgio Brunetti (Venezia) 100,00; Enzo Cafarelli (Como) 4,00; Enrico Calandri (Roma) ricordando Giuseppe Pinelli e Franco Serantini, 100,00; Marcello Vescovo (Alessandria) 25,00; Lorena Stella (Porto – Portogallo) 30,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Amelia Pastorello e Alfonso Failla, 500,00; Luciano Collina (Sala Bolognese – Bo) 10,00; Mauro Mazzoleni (Malnate – Va) 10,00; Pasquale Palazzo (Cava dei Tirreni – Sa) 10,00; Vincenzo Mazzucca (Rovito – Cs) 4,00; Pino Fabiano (Cotronei – Kr) ricordando Spartaco... 10 anni dopo, 10,00; Renzo Furlotti (Parma) 10,00; Michele Morrone (Rimini – Rn) 10,00; Giovanna Serricchio (Bologna) 10,00; Augusto Piccinini (Campiano – Ra) 10,00; Orazio Gobbi (Piacenza) 10,00; Francesco Martinelli (Castel del Piano – Gr) 10,00; Davide Foschi (Gambettola – Fc) 10,00; Enrico Moroni (Settimo Milanese – Mi) 10,00; Bruno Dal Pane (Ravenna) 10,00; Davide Andrusiani (Castelverde – Cr) 10,00; Paolo Maddonni (Roma) 10,00; Marzia Benazzi (Mantova) 10,00; Chiara Mazzaroli (Trieste) ricordando Paola, 50,00; Enrico Torriano e Monica Bagnolini (Bologna) in memoria dei migranti annegati, 100,00. Totale € 1.097,00.

Ricordiamo che tra le sottoscrizioni registriamo anche le quote eccedenti il normale costo dell'abbonamento. Per esempio, chi ci manda € 50,00 per un abbonamento normale in Italia (che costa € 40,00) vede registrata tra le sottoscrizioni la somma di € 10,00.

Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti specificato, si tratta dell'importo di cento euro). Paolo Facchi (Casatenovo – Co) Giorgio Scalenghe (Omegna – Vb); Dario Cercek (Lecco); Marco Maggi (Montichiari - Bs) sottoscrive un abbonamento sostenitore a favore di un suo amico; Angelo Maria Monne (Dorgali – Nu); Fabrizio Cucchi (Empoli – Fi), Giorgio Bixio (Sestri Levante – Ge); Massimo Fiori (Cremona); Roberto Pietrella (Roma Vitinia - Rm), 250,00. Totale € 950,00.