Rivista Anarchica Online


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Tra limite, responsabilità, delega e partecipazione

di Francesco Codello

In una prospettiva libertaria, cambiamento sociale e cambiamento individuale devono accompagnarsi sistematicamente. E la questione della delega (o meno) si pone come centrale. Per vivere già oggi un possibile futuro.


Scriveva l'anarchico Gustav Landauer: «Lo Stato non è qualcosa che può essere distrutto da una rivoluzione, è una condizione, un rapporto tra gli esseri umani, un modo di comportarsi. Può essere distrutto contraendo altri rapporti, comportandosi in modo diverso».
Questo monito, che non esclude per niente la necessità di un rivolgimento sociale radicale, ci richiama direttamente a una serie di responsabilità. Innanzitutto a non fuggire dal dovere, se vogliamo veramente cambiare a fondo l'esistente, di assumere nei nostri rapporti quotidiani una diversa e più coerente postura che realizzi i principi e i sogni che coltiviamo. Troppe rivoluzioni nella storia hanno tentato di fondare un mondo nuovo per poi concretizzarsi in sistemi oppressivi perlomeno altrettanto malvagi di quelli che si erano prefissi di sostituire.
Mi pare ormai consolidato il fatto che, in una prospettiva libertaria, cambiamento sociale e cambiamento individuale debbano accompagnarsi sistematicamente. Pertanto il monito di Landauer ci obbliga a pensare un modo diverso di stare con gli altri, una visione più complessa e dinamica del processo di cambiamento, a progettare un mondo differente vivendolo in fìeri qui e ora, senza attendere e sperare in virtù catartiche che caratterizzino la rivoluzione come un evento. Come dichiarava Alexander Herzen: «Un fine infinitamente remoto non è affatto un fine, è un inganno».
Responsabilità dunque è una parola chiave se si accettano queste premesse. Essere responsabili significa assumere tutti i contenuti che la parola ci offre, vuol dire recuperare i vari significati che responsabilità contiene: respondeo (impegno e promessa, garantire), rem-ponderare (capacità di valutare, ponderare), responsare (resistere, contrastare), recipere (responsabilità senza colpa, gestione sociale del rischio, l'attenzione si sposta sulla vittima che va protetta). Tutti questi significati rimandano, come si può vedere, all'intersoggettività e alla reciprocità.
L'etica della responsabilità è più del semplice rispetto (lasciar essere l'altro), è rispondere di (prendersi cura, ha cioè una valenza attiva). In una prospettiva libertaria è un continuo spostamento, una ricerca di equilibrio mai definitivo, tra l'etica basata sulla convinzione (rispetto ai principi) e l'etica della responsabilità (attenta alle conseguenze).

Ma delegare è (talvolta) inevitabile

Agire responsabilmente significa pertanto, come ripeteva Paul Goodman, «tracciare il limite»: non oltrepassare livelli inaccettabili di compromesso (saper dire no, non ci sto, disobbedisco), ma anche riconoscer un limite oggettivo, insuperabile qui e ora (il che non significa per sempre); praticamente vuol dire non riconoscersi in chi assume il limite in modo tradizionalista ma neanche in chi lo nega in nome del permissivismo. Ambedue queste prospettive mettono il limite nel medesimo contenitore, non distinguono. Ci sono invece due tipi di limite qualitativamente molto differenti tra loro: uno che potremmo definire come aggressivo, l'altro come difensivo. I limiti aggressivi li poniamo agli altri (magari con la scusa o la motivazione di proteggerli), sono cioè imposti, non possono essere giustificati col pretesto della legittima difesa, hanno a che vedere con le relazioni di dominio e non con il diritto (giustizia). I limiti difensivi vengono scelti e li mettiamo per difenderci, per proteggerci dall'usurpazione di qualcuno (legittima difesa), non contraddicono l'uguaglianza dei diritti. Insomma la protezione non deve portare a una restrizione dei diritti, ma a suggerire e proporre dei mezzi di prevenzione supplementare. Responsabilità, limite, parole e concetti importanti per chi desidera cambiare se stesso e il mondo.
La principale e più praticata fuga dalla responsabilità avviene attraverso l'esercizio sistematico della delega. Delegare la propria responsabilità significa soprattutto affidare ad altri il proprio diritto-dovere di decidere, vuol dire abdicare alla propria autonomia. Attraverso una sistematica delega la società finisce col privare gli esseri che la compongono della propria libertà e soprattutto della propria autonomia. La delega è nociva e alienante quando sistematizza un processo di privazione, di abdicazione, di rinuncia, di fuga dalla responsabilità. Si nutre non solo di meccanismi evidenti di dominio e di potere (potere di far fare) ma anche di consuetudini e di abitudini che diventano parte integrante della propria specifica personalità. La delega nega il potere positivo e irrinunciabile (potere di fare) soprattutto in una dimensione e prospettiva libertaria.
Delegare è (talvolta) inevitabile anche in una prospettiva antiautoritaria ma questa funzione deve esaurirsi con la fine del mandato specifico attorno al quale è stata di volta in volta pensata e realizzata. Soprattutto deve concretizzarsi senza che possa generare alcun privilegio di posizione e concludersi immediatamente dentro l'orizzonte esclusivo del mandato. Purtroppo nella nostra società, sia la responsabilità, sia il concetto di limite che quello di delega, vengono strumentalizzati per fini di consolidamento del dominio. Dobbiamo riappropriarci invece dei significati più veri e profondi di questi concetti senza i quali nessuna società, soprattutto di carattere libertario, può fare a meno.


foto: peus/Depositphotos.com

Se, come diceva Aristotele...

Essere responsabili, tracciare il limite, delegare, non sono concetti antitetici in una visione anarchica, lo diventano in una prospettiva e in una pratica autoritaria. I tre elementi che costituiscono una postura libertaria non possono essere tra loro scissi, non devono essere separati, ma tenuti strettamente collegati tra loro. La stessa importante opera di chiarimento va fatta attorno al concetto di partecipazione. Mai come oggi siamo continuamente sollecitati da ogni angolo e aspetto della vita sociale a partecipare.
Ma che significa, a che cosa dobbiamo partecipare, come e in che modo? Cosa intende o meglio sottintende la partecipazione? Sappiamo in realtà cosa significa questo verbo? Partecipare a queste scelte che la società ci chiede, in realtà, può significare di fatto recitare una parte di un copione scritto e diretto da altri, avvalorare e accettare un dato di fatto definito e giustificato come inevitabile e non modificabile. La partecipazione è oggi soprattutto un meccanismo il cui scopo è quello di tirare dalla propria parte un maggior numero possibile di persone a profitto di un'impresa o di una decisione assunta a priori. Ma se questo è vero (esempi non mancano ovviamente) non si tratta di rinunciare a questo concetto ma di rivalorizzarlo in un senso più autentico e originario.
Denunciare una forma illusoria di partecipazione vuol dire poi, coerentemente, chiarirne la natura più autentica e positiva in una prospettiva libertaria. Se, come diceva Aristotele (e non solo), siamo (anche) animali politici (abitanti la polis) è perché ci realizziamo come umani (anche) in quanto discutiamo con gli altri delle condizioni della nostra vita in comune. Questa pratica di con-divisione sociale non può esaurirsi in un aspetto (ad esempio il voto) ma essere realtà continua e sistematica, praticabile e praticata sistematicamente, tanto da diventare costume (ethos). Partecipare significa prendere parte, ma anche contribuire, infine beneficiare. Prendere parte si distingue dal far parte: il primo è un modo di partecipare che si sceglie ed è limitato all'oggetto scelto, il secondo è il risultato di scelte e condizioni in cui ci si trova anche a prescindere dalla propria volontà (far parte di una famiglia ad esempio).
Partecipare vuol dire anche contribuire, concetto non contenuto nel precedente: posso prender parte a una conferenza senza parteciparvi attivamente (contribuire). Questo aspetto evidenzia una dinamica interattiva, che fa si che colui che contribuisce si integri attivamente e continuamente in una storia comune. Beneficiare significa poter utilizzare e controllare i beni comuni, potersi far parte attiva non solo nella creazione ma anche nell'utilizzo delle risorse che assieme si sono create. Come si vede ci sono una molteplicità di significati attribuibili al termine partecipare che in una prospettiva libertaria vanno tenuti assieme e collegati strettamente e indissolubilmente agli altri concetti sopra esposti.
La postura anarchica in una società non anarchica non può, a mio modo di vedere, prescindere dall'interrogarsi continuamente su questi temi e soprattutto non può esimersi dallo sperimentare forme relazionali diverse qui e ora.
Queste pratiche sono le uniche possibilità che abbiamo di prefigurare un mondo diverso a partire da ciascuno di noi in relazione con gli altri.

Francesco Codello