Rivista Anarchica Online


Racconto

Stella D. non esiste

di Cinzia Piantoni


Lei gli sorrise. Era un sorriso semplice e spontaneo, da ragazza della porta accanto, che al solo apparire le illuminò il viso. Dal vivo era incantevole, persino più di quanto si percepisse dalle sue foto sui social. Di una bellezza totalmente naturale. Per intenderci, sembrava che l'unico sforzo che avesse fatto per rendersi carina fosse una spazzolata ai lunghi capelli biondi e un tocco di lucidalabbra.
«Va tutto bene?» gli chiese, imbronciando con grazia le labbra color fragola.
Ric annuì, deglutendo rumorosamente. E ora come faceva a spiegarglielo, che lei non aveva alcun motivo logico per trovarsi lì?

Il giorno prima

Dio, se esisti toglimi il senso dell'olfatto in questo preciso momento, implorò Ric nella propria testa, fallo e non ti chiederò mai più nient'altro per il resto della mia vita.
Non che ci credesse sul serio, in un'entità suprema che governava l'universo e le vite di tutti gli esseri umani, ma quell'odore era talmente forte che era valsa la pena provare. D'altronde, come poteva essere biasimato? Era l'ora di punta del 14 agosto più caldo che ricordasse, e la combinazione dei due fattori “vagone pieno zeppo” e “aria condizionata spenta” stava rischiando di diventare letale.
Avvertì una goccia di sudore sbucare dal cuoio capelluto e tracciare una linea netta sulla propria fronte, per poi fermarsi in bilico sulla punta del naso. La asciugò infastidito col dorso della mano.
Sì, faceva davvero troppo caldo.
Slacciò il primo bottone della polo aziendale color senape, poi si sfiorò il lobo destro per attivare il visore smartphone, unici due gesti che il suo minuscolo spazio vitale gli permetteva. Davanti ai suoi occhi apparve una proiezione visibile solo a lui della schermata del suo cellulare, rimasto al sicuro nello zaino. Gli bastò fissare per pochi secondi l'icona di Instagram per aprire l'app in cerca di distrazione.
Dedicò uno sguardo veloce al proprio profilo personale: la schermata gli comunicava impietosa che l'ultimo post su Rico1987real aveva collezionato solo trenta “mi piace” e quattro commenti, dei quali uno era di suo cugino. Gli occhi scivolarono impazienti sul view screen, facendolo passare in pochi secondi alla pagina di Stella D.
Stella Diamanti, meglio conosciuta come Stella D., era una food, travel & lifestyle blogger (come comunicava la sua stringata biografia sotto il nome del profilo), e poteva vantare 296mila follower, solo su Instragram. Gli altri social sui quali era presente erano Twitter, Facebook, oltre a un blog dove pubblicava i resoconti dei suoi viaggi. Stella era il personaggio perfetto, perché riuniva in sé le passioni più comuni: i viaggi, la moda e la cucina, per questo era stato così facile per lei attirare tanti seguaci.
Più che “per lei” sarebbe stato meglio dire “per Ric”. Già, perché non solo Ric ne ideava ogni singolo post, lui Stella l'aveva proprio creata da zero, a partire da un'idea poco più che abbozzata.

Quando, a inizio 2019, era stato contattato da CibarYum per un posto come social media manager, aveva pensato a un malinteso. Cosa poteva farsene un servizio di consegna cibo a domicilio di lui, un esperto di computer grafica? E anche se fosse, perché chiamarlo per gestire i loro profili social? Non aveva senso. Ma quando sei disoccupato non puoi permetterti di andare tanto per il sottile, perciò, ormai quasi cinque anni prima, si era presentato nei loro uffici vestito di tutto punto e col portfolio sottobraccio come il più emozionato degli scolaretti.
Quello fu il giorno della nascita di Stella D., innovativo progetto multimediale di influencer marketing (com'era stato definito dal suo futuro capo con toni entusiastici) partorito dalla mente del boss supremo di CibarYum. Già, perché Stella D. aveva tanti pregi e un unico difetto, sempre che si potesse considerare tale: quello di non esistere.
Ric, da allora alla guida di un team di grafici, modellatori 3D, esperti di marketing, copywriter, persino un ex sceneggiatore, aveva plasmato giorno per giorno l'identità di quella che doveva sembrare una ragazza come tante, testimonial di CibarYum, e completamente creata al computer.

L'ultima foto postata era opera di Valerio, nuovo stagista dell'ufficio: un selfie di Stella D. davanti a uno specchio a tutta parete, con indosso un bikini verde menta. Ric allargò pollice e indice sullo schermo per zoomare sui particolari, rammentando a se stesso di fare i complimenti al ragazzo una volta tornato in ufficio. I capelli erano renderizzati alla perfezione, la pelle aveva le irregolarità cromatiche di una vera carnagione, e negli occhi della donna brillava un luccichio dolce che avrebbe reso impossibile capire che non era reale.
Sotto la foto, la didascalia diceva: “Finalmente vacanze! Adoro il mio nuovo bikini @pinkfriolero” seguita da una sfilza di hashtag, tra i quali, sapientemente nascosto, c'era “#advertising”, come richiesto dalla legge sulla pubblicità nei social media.
Fin dalla sua nascita Stella D. era stata usata per fare promozione a CibarYum, ma presto con i follower era aumentato anche il numero di aziende esterne pronte a pagare per uno spazio fra i post della famosa influencer.
I numeri parlavano chiaro: da quando Ric era uscito dall'ufficio mezz'ora prima i nuovi “mi piace” erano 411, venti nuovi commenti e sei messaggi privati. E quello era solo il profilo Instagram.
Peccato che insieme ai seguaci di Stella D. non fosse aumentato anche lo stipendio di Ric, ancora fermo alla stessa cifra di cinque anni prima.
Una voce robotica annunciò la sua fermata, riscuotendolo dai pensieri che si stavano rabbuiando in fretta. Sbatté gli occhi facendo scomparire il display dello smartphone e schizzò fuori dalle porte scorrevoli come un tappo da una bottiglia durante un brindisi. Il freddo dell'aria condizionata in funzione lo fece rabbrividire di piacere, mentre si avviava verso casa a passo spedito. Le nuove pubblicità di CibarYum tappezzavano i muri della stazione: “Non hai voglia di cucinare? Stasera lascia fare a noi!”.
Buona idea, pensò, e riaccese il visore per inoltrare il proprio ordine.

* * *

«Tesoro, sei proprio sicuro di non voler venire, domani? C'è anche lo zio Pietro con le cugine.»
«Mamma, te l'ho detto, purtroppo ho già un altro impegno», ripeté Ric mentre le sue dita si muovevano frenetiche nell'aria, impartendo comandi allo schermo del computer di casa. Da tempo ormai la bacchetta magica (così l'aveva battezzata qualche genio del marketing) aveva soppiantato il buon vecchio mouse, ma Ric non ci si era ancora abituato: quando la usava, più che un mago si sentiva un direttore d'orchestra idiota.
«Ci dovevi andare proprio domani, in Liguria?» insistette la donna, risuonando in vivavoce nel monolocale.
«Che palle, mamma. Ho prenotato due mesi fa per Alassio, lo sapevi.»
Mentre parlava, sulla pagina web davanti a lui scorrevano decine e decine di immagini della cittadina ligure. Ric cliccò deciso su quella più adatta al suo scopo, salvandola sul computer.
«Per favore, non usare certi termini con tua madre. Te l'ho chiesto perché non ti vediamo mai, Errico, e speravo che almeno per Ferragosto...»
L'uomo si morse la lingua per non ribattere. Quando sua madre usava il suo nome per esteso era perché voleva irritarlo, e anche stavolta ci stava riuscendo.
E dire che una volta quel nome gli piaceva, ai tempi della scuola lo usava persino per rimorchiare alle assemblee studentesche. I suoi genitori lo avevano chiamato così in onore di Errico Malatesta, uno dei padri del movimento anarchico, e questo aveva portato il Ric quasi ventenne a documentarsi e appassionarsi alla storia del suo omonimo.
Poi però era cresciuto, e in men che non si dica a nessuna ragazza importava più di cosa fosse l'anarchia, o da dove venisse quel nome così particolare, che la maggior parte delle volte veniva scambiato per il ben più comune Enrico. Per questo, dopo l'ennesima pronuncia sbagliata, aveva deciso di usare l'inconfondibile abbreviazione Ric. Niente di che, ma almeno nessuno lo scriveva o diceva con una enne al posto della erre.
«Prometto che appena sono un po' più tranquillo con il lavoro vengo a trovarvi, però intanto lascia che mi goda un po' di mare.»
Mentre diceva quest'ultima frase cercò di assumere un tono felice ma misurato, perché sua madre era sempre stata troppo brava a decifrare ogni sua bugia, e stavolta non voleva proprio farsi beccare.
Nel frattempo i suoi pollice, indice e medio lavoravano nell'aria con maestria, obbediti dallo schermo dove con un abile fotoritocco il viso di Ric veniva posizionato davanti allo sfondo di una soleggiata Alassio.
«Sì, dici così e non lo fai mai», brontolò la voce della donna.
Il familiare pling della notifica “fattorino a 500 metri” dell'app di CibarYum suonò celestiale alle orecchie di Ric.
«Scusa mamma, ti devo salutare. Tra meno di un minuto mi arriva il biker con la cena.»
«Okay, tesoro. Non è cibo cinese, vero? Mi chiedo quando imparerai a cucinare...»
Ric riattaccò con un “ci sentiamo” proprio a metà sbuffata materna, precipitandosi grato verso la porta.

* * *

«E con questa sono venti», disse a se stesso salvando l'ultima foto nella cartella “Alassio”.
«Direi che può bastare», aggiunse suggellando l'affermazione con un inelegante rutto all'aroma di involtini primavera.
Ora che aveva preparato un intero servizio fotografico fasullo per la sua tanto sbandierata vacanza, poteva iniziare col vero programma dei giorni successivi.
Ancora una volta si complimentò con se stesso per l'idea geniale. Inventandosi quel falso weekend al mare in solitaria aveva risolto tutti i suoi problemi in un colpo solo: prima fra tutti la mancanza di soldi per delle vere vacanze, poi la riunione di Ferragosto coi parenti alla quale non aveva la minima voglia di partecipare, e infine il bisogno di non vedere né parlare con nessuno (fatta eccezione del fattorino di CibarYum) per almeno tre giorni.
Si alzò dalla sedia della scrivania e si avviò verso il divano letto, fermandosi per una tappa davanti al frigo. Si godette il breve refrigerio dell'anta aperta, mentre si accingeva a estrarre la quarta birra della serata. Ovviamente, oltre che per una vacanza, non aveva soldi nemmeno per un impianto di condizionamento.
«E tu, da dove salti fuori?» chiese agguantando una bottiglia di vodka alla pesca mezza vuota della quale si era dimenticato.
Seduto in boxer sul divano, con il ventilatore puntato addosso e un bicchiere pieno di alcool in mano, stava scorrendo la lista di serie disponibili sulla sua SmartTV, quando fu distratto da un secondo pling dell'app di CibarYum.
Come al solito gli veniva richiesta una valutazione sul biker che era appena stato da lui. Così Ric scoprì che quella ragazza con gli occhi bistrati stile rocker, lunghi capelli neri e frangia azzurra, ben diversa dall'Abu88 che di solito gli consegnava la cena, era Cleo98.
L'ultima cosa che Ric avrebbe ricordato nitidamente il giorno dopo era di averle dato 5 stelle su 5 (d'altronde l'aveva salvato dalla telefonata di sua madre), poi più nulla.

* * *

«Va tutto bene?» ripeté Stella D. sbattendo le ciglia.
Era seduta al microscopico tavolino su cui Ric consumava tutti i suoi pasti, e sorseggiava una spremuta d'arancia che era saltata fuori da chissà dove.
«S... St... Stella?!» balbettò Ric rialzandosi dal divano. Non era possibile. Gli sembrava di avere una morsa di ferro stretta attorno alle tempie, sentiva la gola riarsa e la lingua felpata. E davanti a lui c'era un personaggio virtuale che invece pareva dannatamente vero.
«Ho bevuto troppo», constatò stropicciandosi gli occhi, «tu non esisti.»
Eppure Stella D. era lì, o almeno sembrava esserlo, nel minuscolo angolino che Ric aveva adibito a sala da pranzo.
«Ma certo che esisto», ribatté lei con una risatina melodiosa.
«Sai cos'è che non esiste, invece?» aggiunse facendosi improvvisamente seria, «un'assicurazione contro gli infortuni per i fattorini di CibarYum.»
«Eh?»
«Già. E nemmeno la possibilità di avere delle ferie pagate. O di mettersi in malattia.»
Ric chiuse gli occhi e si appoggiò allo schienale del divano, cercando di capire cosa stesse succedendo. Non solo la donna che aveva inventato gli stava apparendo come allucinazione, ma ora si era messa anche a fargli da grillo parlante. Doveva decisamente darci un taglio con l'alcool.
Con uno scatto corse in bagno e chiuse la porta dietro di sé. Forse una doccia gelata avrebbe sistemato tutto.

* * *

«L'app dovrebbe avertelo già segnalato», disse Cleo98 estraendo dallo zaino la sua cena ancora fumante, «ma il ristoratore ha voluto che te lo dicessi anche a voce: niente anelli di cipolla, li hanno finiti. Spera che questo non influirà sulla tua recensione.»
«Okay, grazie», rispose Ric, mentre lei già correva giù dalle scale sventolando una mano in segno di saluto.
Il suo finto weekend ad Alassio stava quasi per finire e, dopo cinque pasti di seguito consegnati da lei, poteva considerare la frangetta turchina di Cleo98 e il suo sorriso un po' strafottente come una piacevole consuetudine.
Stella D. per fortuna non gli era più apparsa, se non nella rassicurante cornice di Facebook e Instagram, così Ric aveva presto classificato l'episodio di Ferragosto come “pesante sbronza da dimenticare”.
Certo, quando la sera prima aveva visto Cleo98 mettersi una mano sulla fronte mentre se ne andava dal suo pianerottolo le aveva augurato mentalmente di non ammalarsi, ricordandosi quello che Stella gli aveva detto sui giorni di malattia non riconosciuti. Ma per il resto tutto era andato come sempre.
Si sedette al tavolino, aprendo l'involucro del suo fast food preferito. Grazie al cielo all'ultima cena di Natale aveva vinto un sacco di ticket CibarYum per ordinare pasti gratis, altrimenti a quel ritmo avrebbe fatto fuori lo stipendio in tre giorni.
Dopo un sorso di bibita ghiacciata, agguantò l'hamburger XXL e lo addentò famelico. Il mix di salse che copriva alla perfezione il sapore della carne sintetica lo fece mugolare di soddisfazione, anche se ormai, dopo tanti anni, nemmeno se lo ricordava più il gusto della carne vera.
«Tu lo sapevi che la tua amica Cleo98 non ha uno stipendio fisso, ma viene pagata a consegna?»
Ric tossì, poi si batté un pugno sul petto cercando di far scendere il boccone che gli era andato di traverso.
Quella voce. Era di nuovo lei. Alzò gli occhi, e sul divano c'era Stella D.
Indossava un vestitino a fiori e aveva le gambe ripiegate graziosamente sotto le cosce, mentre digitava assorta sullo schermo di uno smartphone.
«I dati aggiornati a questo momento dicono... Aspetta che controllo...»
Ric non sapeva cosa dire, né cosa fare. Eppure stavolta non aveva bevuto niente. Quella nel bicchiere del fast food era semplice aranciata, oppure era stato drogato di nascosto? O magari nel palazzo c'era qualche perdita di gas che gli stava dando alla testa?
«Ecco qua: 1,99 euro a consegna», scandì Stella D., «pensa a quante pedalate, sicuramente la ragazza sarà in forma.»
«Così poco?» domandò Ric, dimenticandosi per un attimo che stava parlando con un'allucinazione. Sì, aveva letto da qualche parte che i biker di CibarYum non navigavano nell'oro, ma non si era mai premurato di approfondire il tema. E d'altronde, pur volendo, lui cosa poteva farci?
«Già. E se pensi che bici, caschetto, telefono, e tutte le riparazioni sono a carico loro... Devono pagare a loro spese persino l'impianto del microchip GPS sottopelle.»
Ric non sapeva cosa dire. Erano tutte cose delle quali aveva già sentito parlare, ma che non aveva mai davvero ascoltato.
«Okay Stella, io domani mattina devo tornare in ufficio, quindi ho bisogno di cenare in pace e poi farmi una lunga dormita. E dei problemi dei biker ne parliamo un altro giorno, che ne ho già di miei.»
L'uomo finì il suo hamburger più in fretta che poté, poi si buttò sotto la doccia sperando che funzionasse di nuovo per farla scomparire.
Ma stavolta non andò così, perché la testimonial virtuale di CibarYum rimase seduta sul bracciolo del divano letto accanto a lui fino al mattino dopo, sussurrandogli all'orecchio i mostruosi dati di crescita aziendale, affiancati pari passo dalle statistiche sulla discesa vertiginosa dei fattorini verso la povertà assoluta.

* * *

Ric non parlò dell'accaduto con nessuno.
Il giorno dopo tornò in ufficio raccontando di quanto fosse affollata Alassio, e decise di fingere anche con se stesso che non fosse successo niente di strano. Era tutto frutto dello stress da superlavoro, nulla di cui preoccuparsi.

«Quindi, ricapitoliamo. Domani primo post della giornata con Stella che disfa le valigie di ritorno dal viaggio. Poi maschera tonificante e scrub delicato di Zila beautè. Sara, questi due sono tuoi.»
«Okay Ric, corro», disse la ragazza scattando in piedi e scomparendo in un lampo dalla sala riunioni.
«Poi Valerio, tocca a te», proseguì Ric leggendo gli appunti della riunione, «post con foto sexy e citazione filosofica, prendi una frase a caso dal database, poi verso l'una Stella ordinerà CibarYum perché troppo stanca per cucinare. Oggi devi inserire quel bistrot di Corso Sempione.»
«Io ho un'idea per la citazione.»
Quella voce, che Ric ormai conosceva fin troppo bene, gli fece raggelare il sangue. Non qui, implorò nella testa, non durante la riunione del mattino.
Era la prima volta che Stella gli appariva mentre si trovava con altre persone. Si guardò attorno, ma nessuno sembrava aver fatto caso alla ragazza bionda seduta su una delle sedie ergonomiche della sala meeting, che lo fissava sorridendo con la mano destra alzata. Alle unghie aveva lo stesso smalto color pesca che le avevano fatto indossare nell'ultima immagine pubblicata su Facebook.
Ric provò a ignorarla.
«Tanto lo so che mi senti», proseguì Stella D. senza distogliere lo sguardo. «Dicevo, usate questa come citazione, è di Pasolini: “Finché l'uomo sfrutterà l'uomo, finché l'umanità sarà divisa in padroni e servi, non ci sarà né normalità né pace. La ragione di tutto il male del nostro tempo è qui.”»
«Okay, adesso devi andartene», sbottò Ric.
Convinto che si stesse rivolgendo a lui, Valerio lo stagista sbarrò gli occhi, poi raccolse il suo quaderno degli appunti e si precipitò fuori dalla stanza, mentre il resto dei presenti assisteva ammutolito alla scena. Stella intanto se la rideva, tamburellando con le sue unghie perfette sul tavolo di vetro.
Ric fece finta di niente. Meglio che credessero di avere un capo stronzo, piuttosto che un capo pazzo furioso.
«Jian, dei post rimanenti ti occuperai tu», disse all'indirizzo di un uomo magro dai tratti orientali, che annuì compunto. «Pomeriggio: pulizie di casa col nuovo aspirapolvere robot, poi per cena ancora CibarYum, scegli una pizzeria tra le tre che ti ho mandato via e-mail, e poi un selfie no brand della buonanotte.»
L'uomo si congedò con un cenno del capo, e sparì dalla stanza senza emettere alcun suono.
«Gli altri aiuteranno con i rendering grafici. Inoltre ho mandato a tutti una lista dei prossimi marchi e ristoranti da sponsorizzare, alla riunione di domani voglio qualche nuova idea.»
In breve Ric si ritrovò da solo nella sala vuota. Solo, a esclusione di Stella D.
«Non ce la faccio più», disse prendendosi la testa fra le mani, «è davvero troppo.»
«Lo sapevi che in media un biker di CibarYum fa trenta chilometri ogni turno, e senza nemmeno una visita medica prima dell'assunzione?» ribatté Stella, «io è questo che definirei “troppo”.»
Il forte tintinnio che risuonò all'improvviso convinse Ric di aver fatto un passo ulteriore verso la pazzia. Era come una miriade di cicale che iniziano a frinire tutte insieme, e non dava cenno di voler smettere.
Luca, uno dei copywriter, entrò nella stanza.
«Vieni a vedere», gli disse ansimando, «sono tantissimi.»
E davvero, non stava esagerando. Davanti all'entrata della sede di CibarYum si era raccolta una folla enorme di fattorini in bici, ognuna dotata dell'inconfondibile portavivande a cubo, col logo blu su fondo senape. Quel rumore erano loro, che suonavano i campanelli delle biciclette in segno di protesta.
Dalla sua finestra al secondo piano Ric riusciva a distinguere le scritte sui cartelli, molte delle quali riportavano i dati che Stella gli aveva snocciolato durante le sue apparizioni. Avrebbe persino visto i biker in volto, se non avessero indossato tutti una maschera bianca.
D'un tratto però un dettaglio lo fece sobbalzare. Tra un casco e una maschera c'era qualcosa di familiare che sbucava ribelle: una frangetta azzurra. A quella vista Ric avvertì qualcosa dentro di sé che andava contro ogni logica, per uno che lavorava nell'azienda obiettivo della protesta: sentì risvegliarsi una specie di calore alla bocca dello stomaco, e un sorriso salire spontaneo alle labbra. E quasi avrebbe potuto giurarci, che quel sorriso era quello del buon vecchio Errico di quasi quindici anni prima.

* * *

Erano passati quattro giorni dall'episodio e stando ai media, a parte qualche trafiletto e un brevissimo cenno al telegiornale regionale, nulla era accaduto.
All'uscita dall'ufficio, quella sera, quando Ric aveva trovato a terra un volantino che invitava a unirsi alla protesta, quasi in automatico l'aveva raccolto e se l'era messo in tasca. Ma non aveva fatto nulla, se non appoggiarlo sulla mensola accanto alla TV, e riprenderlo in mano di tanto in tanto per fantasticare di partecipare alla manifestazione successiva.
Cercando online le poche notizie disponibili a riguardo, sempre più spesso si trovava a ripensare a quando, da giovane, aveva passato un periodo di attivismo anarchico. Il suo nome, Errico, non era stato solo una scusa per attaccare bottone con le ragazze, lui ci credeva in quella filosofia, era davvero convinto di poter cambiare le cose che non andavano.
Poi però gli anni erano passati in fretta, e mano a mano, quasi senza rendersene conto, aveva cominciato a vedere di meno i vecchi amici, ad ammassare scuse per disertare ogni manifestazione, a pensare solo ai propri problemi... D'altronde c'era il lavoro che lo assorbiva, e poi ci si era messo lo stress della vita di città, che si sa, era talmente frenetica! Era stato semplice mollare tutto, così come era stato comodo non dover spiegare più che si chiamava Errico con due erre.
«Non è il caso di andarci», disse rivolgendosi alla parte di sé che ancora accarezzava l'idea di partecipare alla manifestazione.
Si stese sul divano letto, sbuffando. Il caldo era insopportabile, e il venerdì sera si sentiva sempre svuotato da ogni energia, dopo una settimana in ufficio.
Prese in mano lo smartphone e aprì senza pensarci troppo l'app di CibarYum. Dopo la protesta dei campanelli aveva deciso di non ordinare più per non essere complice dello sfruttamento dei fattorini, ma quella sera si sentiva davvero troppo stanco. E poi, pensò, il mio singolo ordine non cambierà il corso delle cose.

* * *

«Buon appetito.»
«Grazie», rispose Ric alla nuca del biker, mentre quello già stava sulle scale. Gli era dispiaciuto ritrovarsi Sam02 e non la solita Cleo98. Mentre aspettava aveva fantasticato di dirle qualcosa sulla protesta dei campanelli, ma forse era meglio così: probabilmente lei avrebbe negato, o peggio Ric avrebbe finito per fare la figura dell'invadente e sentirsi a disagio.
E comunque il nuovo corteo si sarebbe svolto il pomeriggio seguente, aveva ancora tempo di pensarci su. Annaffiò un raviolo al vapore con la salsa di soia monoporzione, e mentre lo addentava si mise a scorrere l'homepage di Facebook. Aveva impostato un avviso che gli segnalava ogni news pubblicata relativa alle proteste, ma a parte i gruppi di biker ribelli nessun'altra pagina ne faceva menzione. Proprio uno di questi aveva appena postato una foto.
Quando Ric la vide gli si gelò il sangue. Era l'immagine di un incidente tra una bici CibarYum e un'auto. Dalla foto non se ne capiva la dinamica, ma quello che colpì Ric fu il fattorino a terra. Sembrava un fantoccio, sdraiato a lato della strada coi paramedici che lo soccorrevano. Era una ragazza, piena di sangue, e zoomando con pollice e indice Ric notò distintamente quello che mai avrebbe voluto vedere. Il viso era seminascosto dalla mascherina dell'ossigeno, ma quella frangetta era inconfondibile.
Alzò il viso, sicuro di chi avrebbe trovato nella stanza.
«Cosa ne pensi, ci andrai ora a quella manifestazione?» gli chiese Stella D. con un'espressione grave.

* * *

«Ne sei sicura?» le chiese Ric per l'ennesima volta.
«Sì, però adesso piantala, se no ti infilo in gola un involtino primavera di quelli che ti piacciono tanto», rispose lei ridendo sguaiatamente.
«Cleonice, fai piano», disse la madre di Cleo98 seduta al lato del letto, «se ridi troppo ti fa male, hai tre costole inclinate.»
«Non si ride mai troppo, mami», ribatté la ragazza accarezzandole una guancia. «Dài, involtino, schiaccia invio.»

A Ric l'idea era venuta quel pomeriggio, al corteo, e per quanto di primo acchito gli fosse sembrata assurda, più ci pensava e più capiva che era ciò che doveva fare. E il fato ci aveva messo lo zampino, rendendogli tutto più facile. L'incidente di Cleo98 aveva dato più risalto del solito al movimento di protesta, e tra le notizie che erano state pubblicate ce n'era una col nome dell'ospedale dove era stata ricoverata. Poi, quando aveva quasi per caso trovato la camera (gli era bastato chiedere a un gruppetto di ragazzi incrociati nei corridoi) e le aveva esposto la sua idea, invece di essere mandato a quel paese come si era immaginato, aveva ricevuto un consenso entusiasta.
«Ma probabilmente perderai il lavoro», le disse di nuovo.
«Anche tu», rispose lei.
«E la cosa non ti fa paura?»
«E a te?»
Si sorrisero. Con la coda dell'occhio, per un attimo a Ric sembrò di veder passare Stella D. fuori dalla porta.
«Questo non è lavoro», disse Cleonice, «è schiavitù. Premi invio.»
E Ric obbedì, pubblicando così l'ultimo messaggio di Stella D., in contemporanea su tutti i suoi account.

Sui display dei seguaci della bella influencer, apparve una foto. In quello che si intuiva essere un letto di ospedale, una giovane ragazza con il viso pieno di lividi e tagli, il braccio sinistro ingessato, e una gamba in trazione, sorrideva all'obbiettivo. Aveva i capelli neri, una frangetta azzurra a incorniciarle un'espressione vivace, e indossava una t-shirt con la scritta “Se non posso ballare, allora non è la mia rivoluzione!”.
Sotto la foto, il testo diceva: “Stella D. non esiste. Essendo un insieme di pixel, non è mai esistita, se non sui vostri schermi. Cleonice B. invece esiste, ha ventisei anni, una laurea in lettere moderne, e ha rischiato di ammazzarsi per consegnare un pasto abbastanza in fretta da mantenere una posizione alta nella classifica dei fattorini di CibarYum. Questo perché, se fosse scesa di posto, la sua probabilità di ricevere ordini sarebbe scesa drasticamente insieme a lei. Lo sapevate?”. A chiudere il messaggio, i link dei vari gruppi di protesta.
«Fatto», disse Ric con un sospiro. E sentì sciogliersi in gola un nodo che nemmeno si era reso conto di avere.

Da quel giorno in poi, Stella D. non gli apparve mai più.

Cinzia Piantoni

La citazione di Pier Paolo Pasolini è tratta da “La rabbia” (“Vie nuove” n. 38, Roma, 20 settembre 1963). La frase sulla maglietta di Cleonice invece è di Emma Goldman, tratta da “Autobiografia. Vivendo la mia vita”.