Rivista Anarchica Online


società

Bullismo e ipocrisia

di Andrea Papi

C'è quello contro altre/i studenti e studentesse.
Poi quello contro le/gli insegnanti. Quello da stadio o omofobo, ecc.
È un periodo che i mass-media ne riferiscono in continuazione (fino a quando passeranno ad altro). Per il nostro collaboratore il bullismo non ha niente di sovversivo, anzi scimmiotta il potere mafioso e anche il potere in quanto tale. Noi siamo contro. Ma come?


Da diverso tempo con una certa frequenza si scatenano allarmismi suscitati da comportamenti aggressivi e violenti affioranti tra i bambini, gli adolescenti e i giovani. Un apparente susseguirsi di scandali grandi e piccoli che, ogni volta per qualche giorno, danno avvio a disparati commenti vaganti sui social-network. Se fosse possibile guardare il tutto con occhio svagato potrebbe anche risultare comico, mentre purtroppo mostra una situazione che manifesta tendenze tragicamente drammatiche del modo di essere sociale del nostro tempo.
Gli episodi su cui si sono spese non poche parole e hanno mosso decisi interventi di tipo punitivo riguardano aggressioni, verbali e non solo, di studenti nei confronti dei loro insegnanti, ma anche di azioni nei confronti di coetanei. Sempre riprese coi cellulari e sparate su youtube per renderle visivamente pubbliche e vantarsene. Un elemento di sfrontata violenza totalmente gratuita, che evidenzia un insano desiderio di esibire ed esaltare capacità di sopraffazione dispotica e sottolinea una dissennata voglia di emergere e imporsi.
Si tratta di una serie dilagante di fenomeni che continua a scatenare reazioni e riflessioni di vario tipo. C'è stata pure la scesa in campo degli intellettuali che contano, dei vari professori, sociologi, psicologi ed esperti del comportamento per cercare di dare un senso al fenomeno e ipotizzare interventi in qualche modo correttivi.
Nonostante anch'io d'impatto sia stato scosso da un rifiuto immediato, sicuramente trascinato dal livello emotivo di fronte a tanta insopportabile tracotanza, se mi soffermo a riflettere temo che dietro tutte queste dotte e variegate analisi si nasconda una grande generale ipocrisia, seppure forse non del tutto volontaria e cosciente. È l'ipocrisia di vivere in fondo la cosa come se accadesse improvvisa e inaspettata. È l'ipocrisia di supporre che con gli interventi “giusti e adeguati” quasi sicuramente si possa risolvere il problema. È l'ipocrisia supponente di credere che in fondo sono ragazzi e vanno perciò ammaestrati.

Sopraffazione e prepotenza

L'intuizione e un ragionare non superficiale mi suggeriscono che, al di là della forma che può prendere, sempre legata al periodo in cui si manifesta, qui c'è qualcosa di profondo che preme da decenni, sicuramente secoli, forse millenni. È il bisogno ancestrale, direi pure tellurico, di lasciar scatenare la rabbia quando si percepisce di essere potenziali prede di insaziabili predoni, quando d'istinto ci si sente sottomessi a una costante condizione d'inferiorità.
E nell'oggi, dove la dignità di ogni individuo tende a scomparire sommersa da agglomerati di cose, merci e non/persone trasformate in singole entità indifferenziate, il bisogno di esserci oltre il p.i.n., di sentire che puoi, forse, contare al di là della massa di manovra di cui sei quantitativamente parte, preme con forza soprattutto in giovani con la prorompente esigenza che la loro vita possa avere un senso. Così, di fronte alla non consapevolezza del proprio stato e a una vaga percezione della propria non gradita condizione, il bisogno di uscire dalla gabbia esistenziale in cui nolente ognuno si trova crudelmente precipitato, all'occasione preme con furiosa cattiveria e spinge ad essere crudeli, spietati, persino abbietti e scellerati. Quando l'irrazionalità delle frustrazioni prende incontrastata il sopravvento, si trasforma in un concentrato di potenza che ha il solo scopo intrinseco di annunciarsi e imporsi, di emergere e inondare di sé il contesto, qualunque sia il prezzo da pagare e qualunque cosa possa succedere.
Eppure da nessun punto di vista sopraffazione e prepotenza possono essere assimilabili a una ribellione contro l'oppressione, mentre per loro natura lo sono al potere in qualsiasi forma si manifesti. Così quelle “prodezze giovanili”, che probabilmente a livello interiore possono anche sorgere come pulsioni di rivolta istintiva contro un potere ripudiato, prendono però la forma di soprusi, vessazioni e soverchierie procurate a soggetti più deboli non in grado di opporsi. Non possono che essere assimilabili ai peggiori poteri di prevaricazione.
Emblematico l'episodio dell'Istituto Tecnico Commerciale di Lucca, ripreso dagli stessi studenti che ne sono interpreti e proposto su youtube. Il “bulletto” protagonista inquadrato affronta un professore in palese difficoltà con l'indice minaccioso puntato contro. Con fare prepotente molto intimidatorio gli dice: «... mi metta sei ... non mi faccia incazzare ... lei non ha capito nulla ... chi è che comanda? ... s'inginocchi ...» pretendendo che gli venga assegnato un buon voto al posto di quello brutto ricevuto. Il tutto si svolge tra le risate e i sollazzi degli studenti che applaudono. È emblematico perché mostra una palese voglia di imporsi, perché esprime una chiara voglia di sottomettere il professore e comandarlo, con la prepotenza dell'atteggiamento e la violenza oltremodo umiliante del contesto. Non a caso il professore non ha detto nulla e non ha denunciato nessuno subendo in pieno l'intimidazione. «... chi è che comanda? s'inginocchi ...» non è in nessun modo rivolta contro l'autoritarismo scolastico. Al contrario è voglia di potere, è desiderio di subentrare al posto dell'autorità.

Dalla padella alla brace

Qui come anarchico non posso non fare una breve riflessione. Ci troviamo senza dubbio di fronte a forme molto decise di trasgressione ribellistica, dove trionfa il piacere di disobbedire e di umiliare il potere cui ci si dovrebbe sottomettere, ma con caratteristiche mafiose, virulente e violente dei peggiori poteri di sempre.
Ciò a cui stiamo assistendo non ha affatto l'aria né l'aspetto di una delle tante rivolte ritenute giovanilistiche che periodicamente affiorano soprattutto nella scuola. Mi sembra più che altro il manifestarsi, in vari episodi non collegati direttamente tra di loro, di atteggiamenti e modi d'essere di una cultura che si stanno diffondendo, la quale ha introiettato il potere di sopraffazione come fondamento della relazione sociale. È un immaginario collettivo che sembra aspirare a un ordine che vuole soverchiare quello istituzionale e sostituirsi ad esso, ma assimilabile a quelli di tipo mafioso. “Dalla padella alla brace” recita un vecchio proverbio, che trovo calzante.
Per contrastarli possiamo pure reprimere le singole bravate e punire severamente i responsabili dei vari misfatti. Ma se ci limitiamo a questo non saremo minimamente in grado di battere, men che meno eliminare, il fenomeno nella sua entità e nella sua qualità dilaganti. Oltre ai numerosi episodi e alle singole bravate, ci dovrebbe premere di contrastare veramente il modo di essere e di pensare che si stanno diffondendo, che a poco a poco rischiano di prevalere. È un'impostazione culturale che da troppo tempo si sta diffondendo in modo altrettanto preoccupante in diversi ambiti: nel tifo sportivo più ultrà, nel riproporsi di sopraffazioni e violenze contro le donne, nelle invettive gratuite, sproporzionate e fuori luogo che smisuratamente offendono e dilagano in continuazione nei social-network.
Capisco in pieno l'indignazione che suscitano certi comportamenti bulleschi, minacciosi, arroganti e tendenzialmente violenti, ma non credo che interventi puramente disciplinari strategicamente aiutino a risolverli. Non che i responsabili di tali azioni non meritino sanzioni anche dure, solo che queste sono del tutto insufficienti a impedire o superare il problema.

Solo l'incontro e il confronto...

C'è un aspetto che si tende a non considerare o a sottovalutare, che cioè tali atteggiamenti sono anche dichiarazioni di guerra. Se il tutto entra nella logica bellica e si accetta la guerra come caratteristica determinante del fenomeno, ci sono alcune conseguenze da cui non si può prescindere. Per prima cosa si entra nella logica di sconfiggere per dominare l'avversario, se necessario annientarlo. La qual cosa, senz'altro teoricamente ma non solo, comporta anche il rischio di essere soggiogati e annientati a propria volta. Soprattutto induce a considerare questi ragazzi quasi esclusivamente come nemici da debellare, dimenticandosi che, oltre ad essere pericolosi e indisponenti, sono sempre esseri umani che hanno grandemente bisogno di essere aiutati.
Personalmente continuo ad essere convinto che l'incontro e il confronto siano il fondamento di ogni possibilità di relazione tra individui. Fuori da questi c'è lo scontro, la ricerca dell'egemonia, la spinta ad imporsi.
Se non si vuole fondare la relazione sullo scontro e il predominio dell'uno sull'altro, se quando risulta difficile incontrarsi e confrontarsi non ci si vuole far trascinare in logiche e situazioni di mero conflitto, che rischiano sempre di diventare insanabili, diventa allora indispensabile agire con cautela e intelligenza per la ripresa di modalità educative, in particolare auto/educative. Richiedono tempo e grande attenzione, è cosa nota.
Ma se si accetta di dedicarsi ad esse con la sensatezza e l'acume che richiedono, pur richiedendo molto tempo, alla fine risulteranno educativamente molto efficaci. Se fatte con criterio, conoscenza e consapevolezza sono le uniche in grado di ristabilire veramente una qualità delle relazioni interindividuali che siano fondanti per una buona convivenza sociale.
In fondo la scuola è sorta per educare e dovrebbe sempre privilegiare le modalità educative. Non è e non dovrebbe diventare mai una caserma, né un'istituzione totale, dove l'elemento educativo fondamentale è la disciplina. Purtroppo oggi la scuola, in particolare in Italia, si preoccupa sempre meno del fatto educativo, perché tenta consapevolmente di spostare le finalità del suo esserci su altri piani, sia funzionalistici sia asserviti alle esigenze dell'economico, fra l'altro in molti casi senza neanche riuscire a farlo bene.

È una questione di scelte

La nuova “barbarie” che sta montando più o meno ovunque ha caratteristiche ben poco rassicuranti. Cattiveria, egoismo, atteggiamenti bulleschi in alcuni casi addirittura mafiosi, “carognaggini” e prepotenze insopportabili, totale insensibilità nei confronti del prossimo, spirito di sopraffazione e chi più ne ha più ne metta. Se si pensa che questo po' po' di roba sia risolvibile con la trasformazione delle scuole in caserme (ho appositamente esagerato, ma il senso profondo è questo), come diverse voci da più parti stanno cominciando ad adombrare, si abbia almeno il coraggio della consapevolezza che il problema non sarà risolto perché è molto più profondo di ciò che sta affiorando.
Non si riuscirà mai ad agire in modo adeguato e sensato se non si comprenderà che lo scatenarsi di tali comportamenti è stimolato dal contesto generale in cui stiamo crescendo e siamo “allevati”, il quale si che andrebbe cambiato a fondo.
Si può senz'altro intervenire quasi esclusivamente con la violenza dell'autorità, come recentemente si è cominciato a fare. Purtroppo così si rischia di non far altro che aumentare la vivezza delle braci sotto la cenere. È questione di scelte, che dovrebbero essere adeguatamente motivate e, soprattutto, accompagnate dalla coscienza delle conseguenze che comportano.

Andrea Papi
www.libertandreapapi.it