Rivista Anarchica Online


sanità pubblica

Diritti e profitti

di Giordano Cotichelli

La Lombardia passa per una regione all'avanguardia per l'organizzazione del suo sistema sanitario. Lo è anche nelle nuove politiche di privatizzazione a danno di utenti e lavoratori. Lo spiega qui un infermiere, che sottolinea l'importanza di comitati, associazioni, forum e strutture di base e dal basso. Per un nuovo protagonismo sindacale e di lotta.


Caso numero 1. Luisa è una paziente cronica che deve seguire, in maniera continuata, una terapia prescritta dal suo specialista. Alcuni di questi farmaci le venivano forniti direttamente dal servizio di farmacia del presidio sanitario della sua città. Questo fino a quando l'accorpamento di alcuni presidi non ha portato alla centralizzazione del servizio a livello provinciale. Ora Luisa, se vuole prendere i farmaci che le servono, deve farsi un viaggio di circa 60 chilometri (andata e ritorno) con i mezzi pubblici. Una situazione problematica che però è stata superata da un servizio privato di navette che si incarica di ritirare i farmaci a livello centrale per quei pazienti impossibilitati. Una buona cosa per Luisa che costa 50 euro, meno di un euro a chilometro. Certo, prima Luisa andava da sola a prendere i suoi farmaci a costo zero.
Caso numero 2. Marco si prende cura del padre che ha avuto un ictus di recente. All'inizio è stato seguito dalla Neurologia dell'Ospedale della sua città, quindi trasferito ad una ventina di chilometri in un presidio periferico per fare un po' di riabilitazione, ma poi, dato che non era ancora in grado di ritornare a casa, è stato trasferito in una Residenza Sanitaria Assistita, distante quaranta chilometri. Marco, che lavora e ha famiglia, tiene molto al padre, però è più il tempo che passa in auto per andare a fargli visita che non quello effettivo per stargli vicino.
La narrazione potrebbe proseguire: lunghe liste di attesa, visite a pagamento, esami diagnostici eseguiti a decine di chilometri di distanza, spese sanitarie in continuo aumento e via di questo passo fra le tante testimonianze del peggioramento della sanità italiana in termini di equità, accesso, continuità assistenziale, gratuità. Una situazione che si dispiega in varia misura da Nord a Sud almeno da un quarto di secolo. Qualcuno l'ha definita “L'assalto alla diligenza”, sottolineando come l'universalismo del SSN (Servizo Sanitario Nazionale), nato nel 1978, sia sempre più messo in pericolo sotto i colpi di privatizzazioni e tagli lineari della spesa, a fronte di un welfare che si fa leggero e di un mercato della salute in cerca forsennata di fonti di profitto di ogni genere.

Una ristrutturazione infinita

Per capire tutto questo si può portare il caso Lombardia come esempio paradigmatico del cambiamento. Qui negli ultimi due anni c'è stata una ridefinizione della composizione e dell'organizzazione regionale delle aree e delle strutture sanitarie, trasformando le 15 ASL (Aziende Sanitarie Locali) e le 30 AO (Aziende Ospedaliere) in 8 ATS (Agenzie Tutela della Salute) e in 27 ASST (Aziende Socio Sanitarie Territoriali). Nulla di nuovo. Negli ultimi 25 anni in tutto il paese si è passati dalle vecchie USL (Unità Sanitarie Locali) alle AUSL (Aziende di Unità Sanitarie Locali), e poi alle ASL (Azienda Sanitaria Locale) e a tutta una serie di italianissimi acronimi che ogni volta ha portato ad accorpamenti, riduzioni e centralizzazioni di ospedali e presidi. Una ristrutturazione infinita che però sta mostrando il suo vero volto proprio grazie alla mini riforma regionale lombarda.
La ridefinizione territoriale operata rende ancora più agevole una privatizzazione dei servizi sanitari dove, poco più di un anno dopo è stata varata nel maggio del 2017 la Delibera Regionale 6551 in cui viene chiesto ai pazienti cronici (circa 3 milioni, tabellati in 65 diverse patologie, per tre livelli diversi di gravità) di scegliere un gestore della loro salute che si prenderà in carico meglio la loro condizione. La scusante è quella di organizzare, ottimizzare, contenere la spesa per la cronicità che riguarda il 70% dei costi regionali. La scelta di un gestore, che si realizzerà su base volontaria nei primi sei mesi di quest'anno, implicherà l'obbligo di seguire i protocolli stabiliti per prestazioni, diagnostica, esami, terapie e altro. Tutto il resto della salute del paziente che non riguarda la sua condizione di cronicità prevista dai protocolli del gestore (e messi in atto da un soggetto erogatore) ricadrà nella prestazione a pagamento.
Un attimo di pausa. In queste brevi e sintetiche righe è facile perdersi. Gli esempi riportati all'inizio mostrano come la ristrutturazione sanitaria operata nel paese abbia avuto ricadute negative in termini economici, di libertà individuale, di agibilità spaziale e temporale per singoli e famiglie. Ora, con l'esempio della Lombardia il quadro cambia radicalmente e mostra il suo vero volto: quello di non essere più padroni della propria salute, delle proprie scelte, a meno che economicamente uno si possa permettere una sanità privata, o un'assicurazione, o le “delizie” del welfare aziendale che sempre più vengono proposte; insomma quello che molti politici nostrani chiamano “il secondo pilastro”.
Torniamo però all'esempio lombardo per definire ulteriormente le questioni. Fatta salva la riorganizzazione territoriale, e la definizione delle cronicità da scegliere, mediante vari meccanismi burocratici e accordi di sorta (criticati nella forma e nella sostanza da molti) alla fine 294 gestori e 1072 erogatori si prenderanno carico dei pazienti cronici lombardi, in un quadro abbastanza probabilistico di sovrapposizione, concorrenza, fidelizzazione e vere e proprie campagne di marketing per accaparrarsi pazienti; o al contrario per “non prendere” quei pazienti troppo onerosi.

Compravendita del dolore e della disperazione

I soggetti che possono farsi gestori o erogatori possono essere cooperative di MMG/PLS (Medici di Medicina Generale e Pediatri di Libera Scelta), le stesse AST o ASP (Aziende Sanitarie Territoriali e Aziende di Servizi alla Persona), Istituti di riabilitazione e cura, pubblici o privati, associazioni, reti, strutture non di competenza territoriale (anche multinazionali con sede a Dubai). In questo la prospettiva riguarda la tenuta del sistema, il ruolo dei professionisti – in particolare dei medici di medicina generale – e la mole di guadagni che si originerà dalla gestione della cronicità. Molte le associazioni di settore e professionali che sono insorte. Molti i dubbi sollevati nei confronti di una riforma che appare come la legittimazione degli interessi privati e dei giochi finanziari in tema di salute. Le giustificazioni in termini di organizzazione, qualità, accordi, accreditamento ed autorizzazione a questo punto appaiono sempre più come la scusante per cancellare la punta di diamante del welfare italiano: la sanità universalista.
È bene ricordare, per una lettura completa, che la Lombardia non è sola in questo, dato che le altre regioni si stanno muovendo in maniera simile. Un esempio interessante viene dalle Marche dove, un mese dopo la Giunta Maroni (leghista), la Giunta Ceriscioli (PD) ha proposto il progetto di legge 145 in cui si apre a sperimentazioni gestionali in sanità. Progetto che con la solita scusa della razionalizzazione e ottimizzazione, apre la porta ai privati e ai loro interessi in campo sanitario, socio-sanitario e sociale. Come in Lombardia, anche nelle Marche tutta una serie di movimenti, associazioni, forum e comitati, si stanno muovendo contestando le scelte politiche.
Non si ritornerà ai livelli delle lotte degli ospedalieri degli anni '70, ma bisogna augurarsi che un nuovo protagonismo politico e sindacale sappia concretizzarsi dal basso a difesa della salute pubblica. Anche perché, sempre relativo al caso lombardo, c'è un ulteriore elemento che molto raramente risalta sia nelle analisi politiche sia nelle cronache mediatiche: quello che riguarda la corruzione e il potere incontrollato di cui il mondo sanitario è drammaticamente espressione. Non ultimo il caso dell'arresto di quattro primari e di un direttore sanitario ai primi di aprile per il reato di corruzione nei casi di compravendita di macchinari sanitari, prestazioni, visite onerosissime, e tutto quello che in più verrà alla luce. Nulla di nuovo, basti ricordare che l'inchiesta di “Mani Pulite” venne fuori proprio dalle mazzette del Pio Albergo Trivulzio.
Alla fine restano le liste di attesa, le ore interminabili passate nei Pronto Soccorso, la solitudine di fronte alla malattia e la ricerca ossessiva tra gli scaffali delle parafarmacie di qualcosa che possa rimediare, far passare, lenire, quando curare diventa troppo costoso. Alla fine la salute malata, anche di un sistema, arriva al suo epilogo e, come diceva De André: “Quando si muore, si muore soli”, a meno che non si scelga di opporsi con tutte le forze alla compravendita del dolore e della disperazione, per organizzare la solidarietà e la dignità di una società migliore, per una vita migliore.

Giordano Cotichelli