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				 ecologia 
                  
                Località Macinarsi, alta val di Taro 
                  
                intervista di Davide Chierici e Michele 
                  Salsi ad Antonio Cammarota della Fattoria Macinarsi 
                  foto di Michele Salsi 
                    
                Da oltre vent'anni, non lontano dal villaggio ecologico di Granara, verso la fine della val di Taro, una piccola struttura volontaria si occupa anche di agricoltura biologica, di sostegno a persone con sofferenze mentali, ecc... A colloquio con chi ha dato vita alla Fattoria Macinarsi. Riflettendo su piccole cose e grandi ideali. 
                 
                  Un giorno dello scorso autunno siamo stati a trovare Antonio della Fattoria Macinarsi, nella Alta Val Parma, vicino al paese di Borgotaro, perché ci raccontasse la sua storia, e la storia di un progetto di vita che nel suo piccolo cerca di rappresentare un passo verso l'utopia, per quanto piccolo possa essere.  
A fianco di una bella e robusta casa contadina in sasso, simile a tante altre case che si vedono piangenti e cadenti ai bordi delle strade, circondati da animali e dai muggiti delle stalle, seduti a un bel tavolo di legno di fattura artigianale, abbiamo ascoltato le parole di Antonio. Le riportiamo nella speranza che possano essere fonte di ispirazione anche per altre persone. 
                Michele Salsi e Davide Chierici 
                 Michele e Davide - Come è iniziato questo 
                  progetto? Perché hai deciso di trasferirti qui? 
                  Antonio - Io abitavo ad Arese, vicino a Milano. Mi sono diplomato 
                  e ho fatto poi dei corsi all'università per progettazione 
                  del verde, un biennio a Piacenza. Ho avuto la fortuna di fare 
                  il servizio civile, l'obiezione di coscienza, in una azienda 
                  dello Stato, per un anno; esperienza che mi consegnò 
                  alcune capacità, alcuni insegnamenti, per poter vivere 
                  in campagna, anche se erano più insegnamenti teorici 
                  di letteratura, di studio zootecnico e di agraria. Sta di fatto 
                  che questo posto già c'era, perché era dei miei. 
                  Dopo un periodo a Milano che ho fatto come progettista del verde 
                  decisi di provare a venire a trasferirmi qua. E così 
                  ho fatto i primi due anni in cui lavoravo durante la settimana 
                  a Milano e stavo qua nel weekend. Dopo breve tempo ho fatto 
                  il contrario, stavo qua durante la settimana e lavoravo a Milano 
                  nel weekend. Poi mi sono svezzato completamente da Milano, con 
                  una certa cautela, anche perché sapevo ben poco della 
                  cultura contadina, di come allevare e tutto il resto, se non 
                  appunto teoria semplice, e mi sono trasferito definitivamente 
                  qui, circa 22 anni fa.  
                  I primi quattro anni sono stati i più belli e gioiosi 
                  perché ero privo dei servizi principali, nel senso che 
                  c'era la casa e la terra (che sono già tantissimo), però 
                  ero senza automobile, l'acqua praticamente non c'era perché 
                  veniva uno o due mesi all'anno d'inverno quando pioveva molto 
                  o c'era abbondante neve, l'acquedotto era un colabrodo e perdeva 
                  acqua. La corrente elettrica l'ho allacciata soltanto in un 
                  secondo momento.  
                  Quindi in quegli anni mi si è rafforzata, per risponderti, 
                  la motivazione di dove stare. Cioè stare in un ambiente 
                  (quello che ho trovato qui), all'aperto e il più lontano 
                  possibile da un sistema sociale per me mal concepito. Con varie 
                  idee (idee un po' da ragazzino, avevo 24 o 25 anni) mi sono 
                  quindi avvicinato alla realtà della Fattoria Macinarsi, 
                  che a quel tempo si chiamava soltanto Località Macinarsi, 
                  col desiderio di allontanarmi da un sistema eccessivamente urbano 
                  perché mi era evidente già 22 anni fa che sarebbe 
                  successo tutto quello che poi è successo. Cioè 
                  una deframmentazione sociale, un allontanamento delle fasce 
                  più fragili, quanto meno quelle che vengono da fuori, 
                  perché la ricchezza è limitata. La poca ricchezza 
                  che c'è viene sperperata.  
                  Questo concetto mi era evidente già a Milano. Venticinque, 
                  trent'anni fa camminavi per Milano ed era tutto molto chiaro, 
                  cioè soltanto uno con due fette di salame agli occhi 
                  poteva non capire che sarebbe successo questo. Quindi la motivazione 
                  era quella di essere il meno possibile complice di un sistema 
                  economico che già a Milano si vedeva che sarebbe andato 
                  al collasso. In più, con la mia giovane età, pensavo 
                  all'epoca che venendo a Borgotaro potessi trovare una realtà 
                  ferma nel tempo. In realtà a distanza di anni tutto quello 
                  che succede a Milano o nelle grandi città poi arriva, 
                  come un sasso lanciato in uno stagno, anche in campagna; è 
                  solo questione di tempo. E così è stato, così 
                  la crisi è arrivata anche qua, ci siamo dentro, ma ce 
                  ne freghiamo: continuiamo ad andare per la nostra strada.  
                   
                  Io fin da quando conoscevo questo posto solo di nome, 
                  lo conoscevo come posto legato ai progetti sulla psichiatria. 
                  Com'é che quell'idea si è sposata con la fattoria 
                  di Macinarsi? 
                  In maniera simpatica perché i primi quattro anni, come 
                  dicevo prima, ho avuto la fortuna di avere pochissime distrazioni 
                  dalla contemplazione e quindi dalla consapevolezza del Sé, 
                  cioè dall'essere presente veramente.  
                  C'era in quel periodo il primo esodo massiccio di immigrati, 
                  erano i primi anni Novanta. Soprattutto immigrati sudamericani. 
                   
                  I sudamericani sono persone, almeno quelle che ho incontrato 
                  io, piuttosto amabili, sincere, tranquille, e dopo tre, quattro, 
                  cinque volte che tornavo qui, una di quelle volte sono tornato 
                  qui con una persona. Era sdraiata sul marciapiede, aveva una 
                  bella faccia, gli ho detto: “Senti, se vuoi io ho una 
                  casa, un pezzo di terra, un piatto di pasta te lo posso dare, 
                  ti insegno l'italiano, tu mi dai una mano, condividiamo quello 
                  che abbiamo e andiamo avanti.” 
                  
                “Ci incontrammo perchè mi incuriosiva...” 
		        Lo hai incontrato a Milano? 
                  Sì, a Milano in stazione Centrale. E così poi 
                  c'è stato un secondo caso, poi un terzo caso, forse anche 
                  un quarto, poi incontrai un'amica psicologa che lavorava all'ASL 
                  di Parma la quale mi disse che il dirigente, un “luminare”, 
                  era appena tornato da una visita in Belgio, dove la residenza 
                  psichiatrica già la facevano da anni, con eccellenti 
                  risultati. C'era in lui, oggi in pensione, un grande desiderio 
                  di completare, di spingere, di allargare la legge Basaglia che 
                  è quella che ha “smanicomizzato”.  
                  E questo successe in quel periodo di tempo in cui accoglievo 
                  questi ragazzi, tutti più grandi di me, io ero un ragazzotto, 
                  questi qua me li ricordo come uomini adulti, più grandi 
                  di me. Avevo quasi imbarazzo a rivolgermi a loro, ma lo spirito 
                  di voler condividere era molto forte in me. La casa sono 250 
                  mq. Noi oggi viviamo in sei. A volte viviamo anche in otto, 
                  in nove. È grande. Io, dato che non avevo la motosega, 
                  non avevo il gasolio, non avevo la benzina, per quattro anni 
                  ho vissuto spaccando e tagliando la legna tutto a mano. Poi 
                  mi sono comprato la prima motosega e così ho iniziato 
                  poi una serie di cose, a chiudere un po' il cerchio, ad arrivare 
                  a come siamo oggi. Ma all'epoca per sprecare poca legna dormivo 
                  soltanto di sotto, dove ci sono soltanto due stanze: una stanza 
                  e la cucina. Dormivo in sala, in pratica. Ho iniziato ad accogliere 
                  d'estate, quando invece la parte della casa di sopra poteva 
                  essere abitata e questa cosa ha preso piede. Incontrando appunto 
                  questa psicologa, e poi il dirigente, che andò in Belgio 
                  e tornò con entusiasmo dicendo che là già 
                  si faceva come ti ho detto prima con grandi risultati.  
                  Ci incontrammo perché mi incuriosiva e abbiamo avuto 
                  dei colloqui. Ho un ricordo straordinario, un uomo di grande 
                  talento, cultura e intuito psicologico. Praticava questa professione 
                  da quarant'anni, ogni parola era calibrata per capire come fossi. 
                  Abbiamo avuto tre colloqui molto lunghi per capire se io non 
                  ero abbastanza matto o per quale motivo volessi fare questa 
                  cosa… Sta di fatto che si convinse, se ne fece una ragione, 
                  e abbiamo iniziato così un progetto.  
                  Con la prima persona che è venuta è andata malissimo, 
                  non abbiamo neanche iniziato l'accoglienza, perché dopo 
                  i primi quattro o cinque incontri che abbiamo fatto qui, questo 
                  era un uomo di cinquantacinque/sessant'anni, veniva da Colorno, 
                  dalla psichiatria di Colorno, quindi un'istituzione di spessore 
                  su tutti i fronti, bene e male. Disse apertamente che non poteva 
                  stare qua perché era fuori luogo. Lui voleva tornare 
                  dove era cresciuto. Questa persona all'età di 5 o 6 anni 
                  venne messo nell'istituto di Colorno che all'epoca si chiamava 
                  manicomio, e ci ha trascorso tutta la vita. Gli psicologi hanno 
                  provato a incoraggiarlo nel trovare soluzioni alternative come 
                  questa. Qui c'era un'attenzione famigliare quantomeno, amichevole 
                  e fraterna, ma non riuscì. Dopo questo tentativo abbiamo 
                  capito. È arrivato un altro ragazzo e da allora non abbiamo 
                  più smesso.  
                  L'accoglienza residenziale psichiatrica e diurna in inserimento 
                  lavorativo la facciamo praticamente da 16 anni, abbiamo smesso 
                  nell'ultimo anno perché un carissimo amico ospite qui 
                  da tanti anni è venuto a mancare. In casa abbiamo deciso 
                  di prenderci un periodo di respiro e di riflessione, pausa di 
                  profonda riflessione. Oggi siamo pronti a ricominciare quindi 
                  andremo di nuovo a bussare alle porte dei servizi sociali.  
                  Perché facciamo questo? O perché abbiamo l'intenzione 
                  di fare questo? Perché credo che le istituzioni siano 
                  state inventate dai pigri. La pigrizia è la prima malattia 
                  del secolo. Attraverso la pigrizia nasce l'indifferenza, e le 
                  due cose si intrecciano. Pigrizia e indifferenza creano la delega. 
                  Cioè io delego l'amministrazione del mio comune per avviare 
                  dei servizi. Sbagliatissimo. Della strada che porta in Fattoria 
                  Macinarsi me ne devo prendere cura io e basta. Con gli strumenti 
                  giusti, l'attrezzatura giusta, perché non posso avere 
                  una ruspa molto grande per aggiustare una frana, ma la manutenzione 
                  di qualsiasi tipo, urbana, extraurbana, verde, sociale, dovrebbe 
                  essere dettata prima di ogni cosa dai singoli individui, attraverso 
                  l'azione. Uno la trasforma in verbo, poi diventa azione, poi 
                  diventa “fare”. È soltanto così che 
                  elimineremo una politica che spesso non riusciamo a giustificare, 
                  perché non la vorremmo così.  
                  Ma è stata la nostra apatia intellettuale, culturale, 
                  che l'ha creata. Ovviamente è un'utopia che ognuno possa 
                  fare la propria parte per entrare in una società chiamiamola 
                  “migliore” o “diversa”, meno istituzionalizzata. 
                  Un'utopia. Però io credo che comunque è possibile, 
                  se ognuno fa la sua piccola parte; ma dev'essere fatta da persona 
                  responsabile, e quando parlo di responsabilità intendo 
                  una responsabilità comunaria, comunarda, in comune, ognuno 
                  fa qualcosa. Devo farla in funzione di Antonio ma anche di Michele. 
                  Ci vuole un'espressione sociale che dev'essere superiore, ad 
                  ampio respiro, panoramica.  
                  Quando raccolgo della frutta da una pianta, e vedo che quella 
                  pianta l'ho trovata qui e quel melo sta morendo perché 
                  oramai è una pianta vecchia, io devo piantarne cinque 
                  al suo posto. Non posso sfruttare la ricchezza di quel melo 
                  perché qualcuno prima di me, nel secolo scorso l'ha messo 
                  giù e io ne ho raccolto i frutti, io devo fare lo stesso. 
                  Quindi chi riceve un dono deve darne due. Dovrebbe esserci una 
                  società del dono e non una società della competizione 
                  come un po' è la parola d'ordine di oggi, nessuno lo 
                  dice ma in realtà è la competizione che poi crea 
                  anche tanti malesseri sociali ed economici.  
                  E allora quando iniziai il discorso della psichiatria, per capirci 
                  qualcosa, andai negli istituti. Ecco, lì mi convinsi 
                  che potevo fare qualcosa, e potevamo fare qualcosa. Iniziai 
                  io da solo ma oggi siamo un gruppetto di persone, tre fissi 
                  da tempo. Ci sono tanti piccoli progetti e soprattutto tante 
                  persone che passano, compresi i ragazzi dei servizi sociali. 
                  Perché poi è ovvio che ogni persona che è 
                  qui dà un proprio contributo in ogni cosa. A volte lavoriamo 
                  troppo, lo ammetto, io per primo lo dico, però tra lavorare 
                  troppo o lavorare troppo poco preferisco la prima. Perché 
                  è attraverso il lavoro che generi una ricchezza, ma non 
                  capitalista, una ricchezza umana che va ad essere distribuita. 
                   
                  Guarda, quando ho fatto di mia iniziativa questa carta ho davvero 
                  sofferto. Soffrii tantissimo perché mi resi conto che 
                  molta gente, troppa, la maggior parte della gente che parla 
                  e si riempie la bocca di grandi parole sullo stare in gruppo 
                  con le persone, sul fare forza, poi di fronte alla banalità 
                  di lavare un piatto non è capace. E quindi questa è 
                  una disfatta del genere umano. Il genere umano si fa distrarre 
                  sempre da altre cose.  
                  Viviamo in una casa che è stata vissuta per secoli forse, 
                  da mezzadri, gente semplice, gente che veniva sottoposta alle 
                  grinfie dei proprietari, sappiamo di cosa si tratta, della mezzadria 
                  e della colonia. Cazzo, fallo! Arrivi ed è sporco l'ambiente. 
                  Puliscilo! E vedi che chi arriva dopo di te, prima o poi, si 
                  educherà da solo. E ci sarà così una casa 
                  anche se molto semplice, contadina, nella sua semplicità 
                  pura e pulita. Quest'aspetto non andava a realizzarsi e mi spinse 
                  a scrivere questo regolamento che raccoglie alcuni principi, 
                  come l'ecologia pragmatica quotidiana, un'ecologia sociale, 
                  un'ecologia emotiva, un concetto di ecologia allargato a tutto, 
                  quindi non soltanto rispetto all'ambiente, all'uso dell'acqua 
                  e della corrente elettrica, ma un'ecologia legata a come lavori. 
                  Cioè io cerco di lavorare e cerco di lavorare bene, se 
                  una volta che hai finito di utilizzare un badile, o il trattore 
                  è sporco di fango, lo pulisci e lo riponi.  
                  Perché per fare quel badile è stata abbattuta 
                  una pianta per farci il manico. Il ferro qua in Italia non ce 
                  l'abbiamo, arriva probabilmente da qualche estrazione da chissà 
                  quale parte del mondo, e allora è lì l'ecologia 
                  della materia. Comprendere il sacrificio e il valore di quell'oggetto. 
                  E allora raccogli un po' tutti questi concetti che dovrebbero 
                  essere a portata di chiunque, perché chiunque dovrebbe 
                  riuscire a capire quanto è fortunato ad avere quell'oggetto. 
                  Quanto sono fortunato ad avere questo cucchiaino e questo piatto 
                  per mangiare, se no come facevo a mangiare la torta? Con le 
                  mani, d'accordo, però dopo mi ritrovo pieno di mosche. 
                  Non è simpatico. 
                  
                “San Francesco, un mio maestro” 
		        Guardandomi intorno, vedo che qui avete molti animali... 
                  Asini, mucche, galline, tacchini, conigli, cani e gatti, più 
                  o meno sono questi. 
                   
                  Ecco, volevo chiederti, mi immagino che tutti questi 
                  animali siano stati una fonte di insegnamento per te e le altre 
                  persone che hanno vissuto qua. È così? 
                  Certo, noi non siamo vegani, ma questo non toglie che l'azienda 
                  e noi che lavoriamo nell'azienda stiamo molto attenti a loro 
                  e al loro benessere generale, e loro insegnano molto. Insegnano 
                  nel bene e nel male, perché a volte capisci che la natura 
                  è estremamente violenta, e non c'è spazio per 
                  troppa sensibilità, e questo è un aspetto pericoloso. 
                  Io spesso ci penso e non ne trovo una ragione. San Francesco, 
                  che è un mio maestro, se lo possiamo definire così, 
                  lui quando andava su per i boschi nei ritiri faceva lunghi digiuni 
                  spirituali e vedeva magari un lupo che mangiava un agnello oppure 
                  un ragno che imbozzolava una mosca. Col suo bastone cominciava 
                  ad urlare “È fatto tutto bene! È fatto tutto 
                  bene!”  
                  Questo perché probabilmente ci sono delle cose della 
                  natura che noi dobbiamo accettare e basta, e il loro insegnamento 
                  forse, uno dei loro insegnamenti è proprio questo: che 
                  a volte le cose sono da accettare e basta. Cioè il fatto 
                  che soltanto noi abbiamo sviluppato una condotta morale, oltre 
                  all'istinto, e una coscienza, ci fa pensare che siamo gli unici 
                  ad essere estranei per certi aspetti a un ecosistema, di cui 
                  noi però facciamo anche parte perché decidiamo 
                  tante cose. Gli animali in questo ci dicono che non c'è 
                  spazio per troppa sensibilità purtroppo. Ma non lo so. 
                  È una cosa a cui io spesso penso e non arrivo mai a un 
                  dunque. Invece io credo che sensibilità e amore facciano 
                  la differenza, perché ho coscienza nella condotta morale. 
                  Che insomma, se faccio una porcheria oggi io stasera non vado 
                  a dormire tranquillo. E questa cosa ci distingue da loro che 
                  invece si cibano a volte di loro stessi. 
                  
                Il problema dell'autorità 
		        Volevo farti ora una domanda sul tema dell'autorità. 
                  Immagino che tu sei qui una sorta di responsabile. Intanto, 
                  giuridicamente questo posto come risulta? 
                  Questa è un'azienda privata, agro-zootecnica, certificata 
                  biologica, con un alto contenuto di autosufficienza alimentare 
                  ed energetica e a portare avanti il progetto siamo in tre residenziali, 
                  oggi ci sono altri tre volontari. Volontari che spesso si devono 
                  fermare qua un mese poi si fermano degli anni, come spesso è 
                  accaduto. 
                   
                  Ecco, tu qui sei una sorta di responsabile, e quindi 
                  che tu lo voglia o meno rappresenti un'autorità nei confronti 
                  dei volontari e degli ospiti/pazienti psichiatrici. Ad esempio 
                  nel caso qualcuno facesse qualcosa che non dovrebbe fare. Come 
                  vivi questo problema? 
                  Il problema di essere un'autorità, che è un problema, 
                  o il problema che la persona, l'ospite, l'amico fa una cosa 
                  che non deve fare?  
                  Per quanto riguarda il primo me ne devo fare una ragione, e 
                  me ne sono fatto una ragione. C'era una volta un amico con una 
                  matrice anarchica, abbiamo fatto una discussione credo un'intera 
                  notte, perché lui ce l'aveva a morte con i suoi padroni, 
                  li chiamava padroni. Ero un ragazzino, lui era più grande 
                  di me, e dicevo “ma scusa, loro sono padroni perché 
                  tu sei lì”. Allora l'atteggiamento fa la differenza 
                  probabilmente, no? La modalità fa la differenza, l'atteggiamento 
                  anche. Forse, purtroppo servono delle persone che organizzano 
                  e coordinano. Cioè non è detto che tutte le persone 
                  siano capaci di questo aspetto, per quanto dicevamo prima, ci 
                  sono delle persone che hanno alcune capacità e alcune 
                  persone ne hanno altre. Se grazie a quelle capacità uno 
                  ha dei privilegi, come mette in gioco quei privilegi. Allora, 
                  io sono a favore dell'autorità se uno è autorevole... 
                   
                  Se aspettiamo che ogni singolo individuo sia sufficientemente 
                  coscienzioso, che è la mia ricerca, per poter fare ogni 
                  cosa sia attento a tutto e a tutti, migliaia di persone rimaste 
                  fragili moriranno nell'attesa. Perché è un principio 
                  evolutivo che appartiene sì alla storia dell'uomo, ma 
                  durerà ancora migliaia di anni; nel frattempo ci saranno 
                  altri schiavi che moriranno perché non sono capaci a 
                  organizzarsi o a diventare individui coscienziosi, a tal punto 
                  da poter vivere in maniera indipendente e totalmente staccata 
                  dal sistema. Allora se mi si riconosce come autorità 
                  autorevole mi può star bene. Cioè l'autorità 
                  mi sta sempre male, ma quanto meno che sia autorevole. È 
                  come se tu mi parli di architettura, devo stare zitto, io sono 
                  un contadino, ti ascolto perché tu hai un'autorevolezza 
                  per farlo, te la devo riconoscere. Quindi l'autorevolezza forse 
                  fa la differenza. 
                  L'altro aspetto, quello della persona che può sbagliare, 
                  fa parte del gioco. Nel momento in cui metti in casa tua e vivi 
                  con persone di qualsiasi tipo e di qualsiasi genere, perché 
                  non vuoi istituzionalizzare, non vuoi delegare, devi mettere 
                  in conto che possono avvenire delle cose che non sempre sono 
                  simpatiche, e spesso accade. E questo è un problema dell'autorità, 
                  perché quando rivesti un ruolo di organizzatore, di coordinatore, 
                  o quantomeno ne sai più degli altri in quell'argomento, 
                  spesso riempi la tua testa di negazioni, e non di arricchimento. 
                   
                  Pensa se lavoriamo in tre, voi due state facendo un tavolo, 
                  il tavolo è fatto bene, fatto con un buon legno, stagionato 
                  bene, la pianta è tagliata nel giusto periodo dell'inverno, 
                  è stata scortecciata bene, le assi sono perfette, levigate 
                  bene, è stabile, forte robusto e tutto quanto. Io cosa 
                  vi dico? Bravissimi! Il tassello di legno è perfetto, 
                  l'abbinatura, la panca guarda com'è stabile, perfetta! 
                  Bravissimi! Nel gratificare gli altri gratifico il mio spirito, 
                  e quindi mi arricchisco, mi carica, mi dà forza, non 
                  dormo la notte per questo, perché sono felice. Ma quando 
                  le altre persone sbagliano, e spesso si sbaglia per indifferenza 
                  verso quello che fai, perché si è disattenti o 
                  distratti o non dai il peso a quello che tu dovresti fare, allora 
                  cosa succede? Devi ricordare che quella cosa è fatta 
                  male. “Guarda che l'hai fatta male quella cosa”. 
                  Ma nel ricordare ad altri che hanno fatto male qualcosa, rimproveri 
                  te stesso. Non ti carica, ti scarica. Ti riempi il cervello 
                  di negazioni, e questo aspetto non fa bene. Però fa parte 
                  del gioco. 
                  
                Aspetto economico e politico 
		        Mi sembra di aver capito che tra i vostri obiettivi 
                  ci sia anche quello di raggiungere un'autonomia. Non economica, 
                  ma un'autonomia di vita. Come per esempio con l'acqua, che non 
                  è una questione solo economica... 
Il principio economico c'è, perché alla fine del mese ci sono da pagare le bollette. E purtroppo il continuo logorio del tempo ci obbliga a considerare anche l'aspetto economico, perché se il tavolo che avete costruito prima a fronte degli anni si rompe deve essere riparato. Quindi l'aspetto economico c'è. Però l'aspetto che spinge moltissimo è quello politico, l'aspetto dell'autosufficienza, per l'orgoglio del fare. Quello che dicevi tu prima. Cioè se io non voglio avere un'autorità sopra di me, mi devo riconoscere tale, attraverso un metodo che dà soddisfazione. Perché l'acqua qua non me la porta a casa nessuno, se non noi. Sono tre anni che lavoriamo, abbiamo collegato quattro sorgenti di montagna, le ho monitorate io per dieci anni, sono tre anni che ci abbiamo lavorato e le abbiamo collegate tra di loro attraverso vecchi bacini costruiti in argilla. Per mesi abbiamo lavorato l'argilla sotto terra, sembravamo delle rane. Un impianto di ingegneria idraulica, perché parte da 800 metri e arriva qua. Passa attraverso gli orti, il frutteto, la stalla, il pollaio, e adesso forse riusciamo a portarla qui (alla casa). Però questo desiderio, questo progetto a cui lavoriamo da tre anni, ma che dura da quasi dieci anni come lavoro di ricerca, di scoperta, di osservazione, di studio, quali materiali usare…  
Perché certo, tu vai dal ferramenta e ti compri un foglio di catramina e hai risolto il problema. Ma facendo così usi del catrame e noi non lo vogliamo, e quindi usiamo l'argilla, e poi la paglia, e poi il legno intrecciato, e sono dei sistemi che da migliaia di anni si usano con eccellente risposta. E allora, se ho l'acqua dell'acquedotto, loro sono le autorità per farmi bere. Io riconosco in loro, nel momento in cui io uso la loro acqua, una loro autorità. Perché se per qualche motivo un giorno decidessero di darla solo ai più ricchi del paese che hanno più potere perché c'è la “guerra dell'acqua”, a Macinarsi sicuramente la tagliano, perché siamo dei pezzenti.  
E allora io non voglio questa autorità, e sono dieci anni che ci rimbocchiamo le maniche e finalmente l'acqua di montagna arriva a casa. E non solo a noi, ma a tutti gli animali, a tutte le piante, a tutti gli orti che abbiamo. Dobbiamo ancora lavorarci, perché d'inverno quest'acqua è troppo poca e gela, quindi dobbiamo potenziare, dobbiamo fare altri scavi, vediamo dove andrà a finire.  
Allora io non riconosco quell'autorità perché non è autorevole, è un'autorità che mi dice “Vuoi l'acqua? Dammi tot.” Ma che razza di umanità è questa qua? Cosa mi stai dicendo? Che tu mi presti un servizio e io lo devo pagare per un bene che dovrebbe essere gratuito? Visto che la legge è fatta male, per non essere complici di un'autorità legale che io non voglio riconoscere, sono dieci anni che lavoriamo per non essere complici di questo sistema e da oggi non lo siamo più. 
 
                  Non solo per l'acqua... 
Appunto come dicevi te prima, abbiamo tanti animali e questo ci rende autonomi su tanti aspetti, perché abbiamo latte con tutti i suoi derivati, yogurt, ricotta, crema di yogurt, caciotte, tome, formaggio forte di casa che è il puzzone, il siero, abbiamo i polli, le uova, abbiamo carni bianche come le galline e i conigli. In realtà noi abbiamo gli animali ma mangiamo anche poca carne. C'è tanto altro da mangiare e la carne va consumata con attenzione perché sacrifichi un animale. E quindi deve essere fatto in rapporto anche al sacrificio, se uno la mangiasse tutti i giorni sarebbe troppo.  
La mangiamo due o tre volte al mese la carne, non di più. Poi magari c'è il periodo in cui passano gli amici e portano carne; ecco sul regolamento c'è scritto “non comprare carne esterna”. E amici che conosco da quarant'anni comprano carne esterna e la portano in fattoria. Perché non vogliamo carne esterna? Perché viene allevata con sistemi che noi non vogliamo, che noi rifiutiamo. Eppure lo fanno. E allora quel regolamento come vedi io lo piego, lo metto lì e dico “va bene, funzionerà da lunedì, quando parte l'amico”.  
E poi siamo autonomi sulla legna, perché abbiamo la fortuna di avere tanto bosco, tanta legna da ardere, e quindi abbiamo fatto due settimane fa questa tettoia sotto cui siamo seduti adesso, abbiamo fatto una staccionata, poi facciamo recinti, tetti di stalle, pollai, piccole abitazioni, tutto quello che possiamo fare noi col legname e con le conoscenze dovute, lo facciamo.  
Ci scaldiamo con una caldaia ad alta efficienza energetica. Ovviamente il limite qual è? Il limite è che se venisse a mancare la corrente elettrica non abbiamo un accumulatore, quindi comunque non siamo autosufficienti completamente. Io spero quando riuscirò a costruirmi una pala eolica o qualcosa del genere per avere corrente elettrica continua. In casa, che stiamo ristrutturando, su ogni piano mettiamo una stufa a legna. Perché la caldaia a fiamma rovesciata funziona a corrente elettrica, e se questa dovesse venire a mancare noi siamo comunque autonomi. Cuciniamo ancora sulla stufa a legna perché è un piacere, dà un senso di focolare, di famiglia. E la casa è aperta. Spesso passano parecchie persone. Visto che sono in tanti a passare cerchiamo ultimamente di conciliare le visite, altrimenti perdiamo le giornate intere, non si riesce a fare tutto. Sicuramente è un modello che funziona ma non grazie a me, grazie al gruppo delle persone. Quando si dice che l'unione è la forza, è proprio vero. 
                Vivere nel presente 
		        Non penso che quando tu ti sei trasferito qua avevi 
                  già in programma di fare tutto quello che poi è 
                  stato fatto. Ora avete degli obiettivi per il futuro?  
Guarda, ormai sono qua da ventidue anni e una cosa mi è molto chiara: che è necessario, indispensabile, io penso a livello sociale sia urbano che rurale, nel rurale ancora di più, ma è necessario confederarci, unirci in piccoli gruppi di persone con gli stessi ideali più o meno. Sapendo che l'ideale è il progetto finale di quel piccolo gruppo di persone, che è forse tra le cose più importanti, quindi lo spirito di comunione, di sacrificio, di determinazione, di disciplina, ludica e di costanza, per portare avanti degli obiettivi comuni. È così che cambi l'economia in piccolo. Qua in Fattoria Macinarsi c'è un'economia, piccola ma c'è, ed è sicuramente diversa da tutte quante le altre, grazie a un gruppo di persone che lavorano tutti i giorni . Questo è un progetto che deve andarsi a irrobustire, cioè deve riconoscersi ancora di più, e per questo serve molto tempo. 
 
                  Avrei un'ultima domanda, all'inizio parlavi di Milano 
                  e dicevi che già diversi anni fa capivi che era un società 
                  che non ti piaceva. Tu a vederti non sembri il classico milanese... 
                  Volevo chiederti come vedi oggi Milano o, più in generale, 
                  la società? 
Rispetto a Milano e la sua realtà, ci vado talmente poche volte che non so dirti veramente ciò che provo. Però posso dirti, se ci sto qualche giorno me la godo come un turista, perché non mi collego ai problemi reali. Dopo qualche giorno che ci sto inizio a soffrirne, soffro perché vedo che c'è ancora molto, troppo da fare. Manca proprio l'ABC del buon senso. E vedi che c'è troppo menefreghismo. Lo vedi dall'atteggiamento della gente, che si è abituata a camminare scavalcando i barboni, e questa la dice tutta.  
Invece in un panorama allargato sinceramente non lo so. Se ci penso forse sono più pessimista, e allora voglio vivere nel presente. Inganno il tempo. 
                 Michele Salsi e Davide Chierici 
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