Rivista Anarchica Online


società.2

Una regressione autoritaria

di Andrea Papi


Le recenti elezioni politiche hanno confermato la suggestione esercitata dagli imbonitori tanto graditi dagli elettori. Pronti a tutto, fuorché a cominciare ad occuparsi in prima persona della vita sociale.


Ma la Comune, amico mio, no non è ancora morta, cantava con enfasi e ardore una vecchia canzone anarchica. Purtroppo, col pianto nel cuore, ci sentiamo invece costretti a dire che oggi la Commune di Parigi del 1871 è morta. Gli ideali e le aspirazioni rivoluzionarie che la sua breve esistenza ha rappresentato non sono più il riferimento utopico desiderato dei proletari, degli oppressi e degli ultimi, in rivolta contro il potere borghese per conquistare la libertà, il diritto di vivere dignitosamente per tutti, la possibilità di autogestire collettivamente in eguaglianza la società. È morta perché quella visione del mondo e quella rappresentazione mitica della rivolta di popolo che si fa costruzione sociale hanno smesso di appartenere ai sogni degli oppressi. Oggi, purtroppo, sembra che siamo rimasti molto pochi a volersi liberare dal giogo del potere, ad aspirare di raggiungere quel tipo di condivisione comunitaria che la Comune tentò di realizzare nel brevissimo tempo che le fu concesso di esistere, fino a quando non fu repressa brutalmente nel sangue.
I risultati dell'ultima tornata elettorale del 4 marzo scorso drammaticamente ci suggeriscono un'altra volta la conferma inequivocabile di questo cambiamento di tendenza. Al di là delle percentuali di voto, che a noi interessano ben poco perché volte soprattutto a capire come si potrà svolgere la spartizione delle poltrone, un dato emerge con spietata vitalità. C'è uno spostamento generalizzato della cultura e del modo di pensare. Un cospicuo pacchetto di aspirazioni e proposte identificabili con una cultura di destra sta diventando, in gran parte lo è già, il riferimento privilegiato di un numero crescente di persone che, per status e collocazione sociale, sono ascrivibili alle categorie più diseredate ai margini della società. Per chi aspira a un cambiamento politico radicale in senso libertario non può che essere preoccupante.
La ridda di pensieri in libertà che ne è scaturita da ogni parte mette in mostra con grande evidenza la tendenza sovrana che sembra ammantare l'intero arco della politica esistente, nell'occidente in particolare. Indipendentemente dall'appartenenza ideologica o partitica, da parte di tutti si è manifestata in modo palese una corsa forsennata a voler governare a tutti i costi. Quasi che lo scopo primario ed essenziale dell'essere in politica, come del farla, sia identificabile esclusivamente nel conquistare il comando governativo e dirigerlo. Qualsiasi altra cosa sembra importare molto poco, se non addirittura nulla. Chi non riesce a governare di conseguenza sembra vivere il ruolo di opposizione come mera azione di contrasto, cercando di esercitare un sabotaggio sistematico e permanente contro chi invece, “di riffe o di raffe”, è riuscito a mettere insieme una maggioranza parlamentare. A questo si è ridotto il fare politicante: una competizione tra gli eletti per riuscire a imporre il proprio diktat di governo.

Il ruolo della politica

Eppure la politica non dovrebbe essere questo, perché dovrebbe essere soprattutto l'ambito culturale, pragmatico e operativo che si traduce nella gestione della polis, intesa come insieme sociale di riferimento. Dovrebbe definire il tipo di società, i metodi di scelta e di decisione, la qualità delle relazioni, come distribuire i compiti e la ricchezza e come controllare che siano rispettati i livelli e il senso delle decisioni prese. Si dovrebbe cioè occupare di ciò che riguarda il bene collettivo, favorendone la promozione, non limitandosi ad amministrare l'esistente, come si fa ora. Anche se tutti i competitori in campo assicurano di agire in tal senso, alla luce di questo ambito di pertinenza se ci chiedessimo di cosa effettivamente oggi si occupa, ci accorgeremmo che la politica difficilmente rientra in quell'etica di competenza che dovrebbe esserle propria.
Dal momento che non si riesce più a mettere in discussione il sistema che s'impone, al quale dobbiamo sottostare, s'identifica innanzitutto con la mera azione amministrativa, mentre questa dovrebbe venire solo dopo aver definito le questioni di fondo sopra menzionate. Così la politica non esprime veramente se stessa e non riesce a fare in modo che le sue scelte siano concretamente indirizzate all'interesse generale della polis, né lo può fare. Invece di espletare il suo compito originario, che in verità è sempre stato quasi esclusivamente teorico, è principalmente preoccupata della sopravvivenza di se stessa. Il pragmatismo politicante vede e intende la questione gestionale in termini di puro mantenimento del potere e non può che imporre una qualità amministrativa funzionale alle forze di dominio sovrastanti.

Ma la sinistra è morta

Questo decadimento progressivo è strettamente legato alla condizione generale dei sistemi di potere che da qualche decennio si sono imposti sulla scena globale, superando e costringendo a mettere da parte le vecchie impostazioni che avevano caratterizzato le tendenze degli stati nella modernità, tutti protesi a far emergere e imporre le proprie sovranità territoriali.
Oggi i poteri che contano s'impongono e determinano pesantemente le condizioni di tutti noi, multinazionali e flussi finanziari in primis, aleggiando tirannicamente sopra gli stati e avvolgendo l'intero globo in una stretta da cui nessuno riesce a sciogliersi. La politica, che per elezione dovrebbe essere il luogo privilegiato delle decisioni per la gestione dei territori, trovandosi ridotta al minimo l'autonomia decisionale perché sovrastata da forze potentissime che la costringono e la condizionano, perde continuamente di senso, di ruolo ed è sistematicamente defraudata. È praticamente scomparsa per come eravamo abituati a pensarla, sistematicamente sostituita da interventi amministrativi che devono solo permettere il fluire, indiscusso e indiscutibile, dei poteri tiranni che ci sovrastano e da cui non possiamo non dipendere.
In questo quadro d'instaurazione di nuovi dispotismi spietati ed efferati, il decadimento irreversibile della sinistra assume un aspetto drammatico, al tempo stesso commovente, sia come cultura sia come interventismo politico. Ma sappiamo bene che le cose non avvengono a caso. La sinistra è morta come conseguenza della scelta degli ultimi decenni di volersi cocciutamente dedicare con tutte le sue forze a governare l'esistente, rinunciando a metterlo in discussione come sarebbe nel suo DNA. Avendo smesso di indicare strade per una sovversione culturale e politica verso la conquista di condizioni d'emancipazione, al fine di superare il continuo aumento delle diseguaglianze e delle ingiustizie, ha preferito proporsi come il nuovo regolatore di un capitalismo finanziario che non sa che farsene di lei. Ha perso così ogni fascinazione di riferimento per la costruzione di un mondo nuovo libero dalle oppressioni. Da amanti della libertà non possiamo che vivere come ben poco edificante un tale opportunistico trasformismo.
La risposta che sta scaturendo dal basso è lì a renderci edotti. Credo si possa affermare che è senz'altro affiorante una gran voglia di cambiamento, soprattutto però perché le condizioni di vita stanno progressivamente peggiorando in modo generalizzato. Purtroppo nella gran parte dei casi è un cambiamento indirizzato solo a sperare di risolvere i problemi personali, limitandosi a desiderare di veder migliorate le proprie condizioni economiche quotidiane, senza porsi il problema di trasformare in profondità il sistema tirannico che è la causa vera del disagio esistenziale. Uno spirito nella sostanza contrario a quello che, appunto, fece insorgere la Comune di Parigi. Ciò vuol dire soprattutto che il cambiamento oggi agognato dalle masse non tende verso un tipo di società caratterizzata dalla mutualità solidale e dal bisogno di decidere collettivamente insieme ciò che riguarda tutti, come noi spereremmo e come fino a poco tempo fa è stato nelle tradizioni del movimento operaio.

Personaggi all'apparenza “nuovi”

Queste elezioni hanno ben evidenziato per l'ennesima volta che l'aspirazione che sta affiorando con sempre maggior forza è quella di voler essere governati bene, in modo da illudersi di vedere vie di soluzione ai propri personali problemi quotidiani. Non emerge affatto il rifiuto di essere comandati, come per esempio vorremmo noi anarchici. Non c'è il ripudio di ogni governo centrale, considerato nemico perché mera espressione della classi dominanti.
Non ci sono la voglia e la richiesta di riuscire ad organizzare forme autodeterminate di gestione, di superare i livelli di sfruttamento e di subordinazione al fine di riappropriarsi del lavoro per non esserne più espropriati. Non è cioè in discussione il sistema economico-politico che ci opprime, ma il modo sbagliato in cui si è governati da parte delle classi dirigenti di turno. Da decenni ogni volta si propongono personaggi all'apparenza “nuovi”, con promesse elettorali che tendono tutte a dire che saremo governati meglio, che bisogna affidarsi a loro per la soluzione dei problemi che ci stanno a cuore. Non a caso ottengono più voti coloro che momentaneamente riescono a convincere che saranno i futuri bravi governanti in favore dei più bisognosi.
La tendenza a voler essere governati, fra l'altro attraverso i meccanismi istituzionali vigenti, fa emergere una dilatazione popolare del bisogno e dello spirito di delegare, che dal nostro punto di vista implica una diffusa volontaria rinuncia a volere, quindi anche a lottare per, autogovernarsi. Se non si desidera e non si agisce per raggiungere livelli di autonomia, sia individuale sia collettiva, che annullino il principio di delega per dare spazio a forme autogestite, l'emancipazione dalle oppressioni politiche ed economiche diventa impossibile. La libertà sociale non può non passare attraverso la conquista di autonomie decisionali e di costruzioni orizzontali tese a vivere forme di autodeterminazione della propria vita.

La ricerca di “comandanti forti”

Così non si può più proporre semplicemente di abbattere il potere per eliminare l'impedimento a realizzare la libertà agognata. Troppi Masaniello, troppi presunti “capipopolo” sono comparsi sulla scena politica negli ultimi due secoli, promettendo sempre paradisi terrestri per proletari e gente comune che non solo non si sono mai verificati, mentre ogni volta hanno più che deluso perché han fatto veri e propri disastri. Dopo queste storiche delusioni, che hanno fiaccato fino ad annullarle ogni propensione a “un mondo nuovo” a costituzione libertaria, la coscienza collettiva generalizzata sembra al contrario voler concedere il potere a comandanti forti, all'apparenza decisi ed efficienti, perché risolvano i problemi che ci affliggono quotidianamente.
Starebbe a noi, che ancora aspiriamo a un mondo fondato sull'assenza di poteri e imposizioni, agire per mostrare che invece è possibile decidere insieme di comune accordo come vivere e cosa fare liberi dal “bisogno della pagnotta”, propagandando che ciò di cui si ha bisogno è di tutti e da tutti può essere usufruito. Se lo si volesse, potremmo decidere autonomamente in modo concorde, non più sottoposti a sistematiche e continue prepotenze e schiavitù esistenziali. Una progettualità autogestionaria che dovrebbe mostrarsi dinamica, agile ed efficiente, sforzandoci di riuscire a renderla più attraente del presente da cui non riusciamo a liberarci.
Forse un giorno abbastanza lontano una gran parte dell'umanità vorrà respingere tutte le logiche autoritarie, dell'imposizione e del comando. Per ora, temo per molto tempo ancora, il fantasma di Pisacane, che a Sapri fu massacrato dagli stessi oppressi cui voleva trasmettere la bellezza e la giustezza della rivolta, continuerà ad aleggiare e incombere. Le stagioni della ribellione organizzata trionfante, capace di abbattere il potere con violenza travolgente, si sono storicamente risolte in sfaceli, in alcuni casi terrificanti. Nella fase che stiamo vivendo, in cui si ha l'idea che più si è schiacciati e più c'è richiesta dal basso di essere governati e comandati, è certamente in atto una regressione autoritaria, politicamente senz'altro, ma soprattutto di diffusione culturale generalizzata.

Andrea Papi
www.libertandreapapi.it