| storia 
 Gli anarchici romaninella lotta contro il fascismo
 
 di Valerio Gentili 
 
 La Resistenza anarchica ha 
                  avuto a Roma una sua particolare presenza, ben radicata soprattutto 
                  in alcuni quartieri, in diretta continuità con una tradizione 
                  di presenza popolare evidenziata da alcune figure particolarmente 
                  note e apprezzate a livello locale.Dalla prima opposizione alla montante marea fascista nei primi 
                  anni '20 al lungo ventennio nero fino all'occupazione nazista 
                  (con presenza di anarchici anche alle Fosse Ardeatine), le anarchiche 
                  e gli anarchici hanno combattuto il fascismo in gruppi specifici, 
                  in formazioni gielline, in “Bandiera rossa” (alla 
                  sinistra del PCI), ecc.
 In coda, quattro biografie di militanti anarchici attivi a Roma.
 Come in Italia anche a Roma il 
                  socialismo nacque anarchico ma contrariamente all'indirizzo 
                  generale, nella capitale continua ad essere tale per interi 
                  decenni. Il sindacalismo rivoluzionario di matrice anarchica, 
                  infatti, contende ad armi pari il primato tra i lavoratori al 
                  socialismo parlamentare e alla sua appendice sindacale riformista.
 La classe operaia capitolina appare fin da subito come soggettività 
                  altra rispetto al disciplinato proletariato di fabbrica del 
                  nord Italia tutto inquadrato nei gangli di partito. Un unicuum 
                  del quale la storiografia si è assai scarsamente occupata 
                  come testimoniato dai lunghi decenni di silenzio sull'esperienza 
                  eterodossa degli Arditi del popolo e sul secolare ribellismo 
                  sociale del caratteristico proletariato romano fatto di facchini, 
                  manovali, precari d'antan e varia umanità lumpen 
                  così lontana da quelle categorie nobilitate come rivoluzionarie 
                  dal materialismo dialettico di matrice marxista. Espunto dai 
                  manuali della storia mainstream, il movimento anarchico 
                  romano, tuttavia, ha potuto godere a lungo di un seguito attivo, 
                  numericamente consistente e ben radicato nel tessuto sociale 
                  della città.
 
                   
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                    | Il fondatore degli Arditi del Popolo Argo Secondari, a sinistrain divisa da allievo ufficiale e famiglia
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                  Finita la Grande Guerra, con l'avvento dello squadrismo fascista, 
                  il movimento fornisce un gran numero di quadri e militanti agli 
                  Arditi del popolo. Negli anni bui del ventennio, una repressione 
                  durissima colpisce gli anarchici capitolini, costringendo i 
                  numerosi gruppi di quartiere allo scioglimento coatto, la Camera 
                  del lavoro rivoluzionaria a chiudere i battenti, i militanti 
                  migliori a lunghi, interminabili anni scanditi da confino, galera, 
                  internamento ed ammonizioni. Pur tra mille peripezie, i superstiti 
                  continuano la lotta stringendosi attorno ai perseguitati e consegnando 
                  alla storia figure impavide e generose come Lucetti, Schirru 
                  e Sbardellotto.Dopo l'8 settembre '43, gli anarchici della capitale sono parte 
                  attiva della Resistenza al nazifascismo. Diversamente da esperienze 
                  affini nel Nord Italia, tuttavia, nella Roma occupata, non vi 
                  sono formazioni partigiane combattenti di matrice esclusivamente 
                  anarchica. Ciò ha comportato, ex post, grosse 
                  difficoltà per quei pochi che, in sede di rielaborazione 
                  storiografica, hanno cercato, tra mille peripezie, di ricostruire 
                  peso, numero, qualità e quantità del contributo 
                  fornito dagli anarchici alla lotta di Liberazione nella capitale.
 Innanzitutto, va ricordato che il contributo dato dagli anarchici 
                  romani alla Resistenza occorre misurarlo nell'azione di piccoli 
                  gruppi e singoli contributi inquadrati in formazioni di altro 
                  orientamento politico. Partecipi a pieno titolo nella storia 
                  e nelle vicende del Movimento Partigiano Romano, essi hanno 
                  militato nelle squadre di Giustizia e Libertà, nei GAP 
                  comunisti e socialisti, in Bandiera Rossa, la principale 
                  artefice della Resistenza nelle borgate romane. La mancanza 
                  di una struttura autonoma combattente non deve indurre, altresì, 
                  a sottostimare il contributo degli anarchici capitolini alla 
                  lotta armata contro il fascismo. Un esempio: il primo caduto 
                  della Resistenza romana è proprio un anarchico, Riziero 
                  Fantini fucilato a Forte Bravetta il 31 dicembre 1943 e partigiano 
                  in una formazione del partito comunista operante nel quartiere 
                  di Montesacro. Diversi anarchici ricoprono importanti ruoli 
                  di comando militare tra le fila partigiane, come nel caso di 
                  Aldo Eluisi, già tra i capi – un ventennio innanzi 
                  – degli Arditi del popolo e poi capitano delle squadre 
                  romane di Giustizia e Libertà. Catturato a seguito di 
                  una delazione, Eluisi cade fucilato alle Fosse Ardeatine assieme 
                  agli anarchici Giulio Roncacci ed Egidio Renzi, anch'essi partigiani 
                  nei ranghi azionisti ed Umberto Scattoni1, 
                  prima collegato al Pci poi a Bandiera Rossa. Di quest'ultima 
                  formazione, il responsabile militare per il quadrante San Lorenzo 
                  è l'anarchico – già tra i leader degli Arditi 
                  del popolo – Renato Gentilezza. Il responsabile militare 
                  di Bandiera Rossa, la formazione nata dalle ceneri di 
                  Armata Rossa dopo l'eccidio delle Ardeatine, è 
                  l'anarchico – già Ardito – Celestino Avico.
 Diversi anarchici, inoltre, vittime dei ripetuti rastrellamenti 
                  nazifascisti nei primi giorni del gennaio 1944, sono deportati 
                  nei campi di concentramento tedeschi senza fare ritorno. Tra 
                  questi: Albero Di Giacomo, detto il Moro, Giovanni Gallinella, 
                  Raffaele Lello Lotti, Gino Bianchedi, Renato Tombelli, 
                  Giulio De Giuli, Adolfo Bianchini, Federico Umberti, Guido Cimaroli.
 Lotti, Di Giacomo e Gallinella – quest'ultimi due già 
                  membri di rilievo degli Arditi romani – sono arrestati 
                  il 4 gennaio '44, nel corso di un'operazione di polizia avente 
                  il fine di:
 
                   Effettuare larghi rastrellamenti di pregiudicati, sovversivi, 
                    disoccupati ed elementi antisociali [...] In seguito al verificarsi 
                    di gravissimi episodi di delinquenza comune e politica [...] 
                    D'accordo con le autorità germaniche si è poi 
                    proceduto a un accurato esame della posizione dei fermati 
                    e gli elementi più pericolosi, sia dal punto di vista 
                    politico che sociale, sono stati già inviati in Germania2.  Partiti dalla capitale, assieme ad altri trecento romani, 
                  a bordo del treno 64155, dalla stazione Tiburtina con tanto 
                  di vagone piombato e ufficialmente avviati «al servizio 
                  di lavoro obbligatorio in Germania» giungono l'11 gennaio 
                  a Dachau per raggiungere, poi, col trasporto n. 16 il campo 
                  di concentramento di Mauthausen, dove trovano, tra atrocità 
                  e sofferenze, la morte3.Alcuni anarchici, come nel caso di Menotti Banci, scampano alla 
                  deportazione in Germania e ad una quasi sicura morte, sottraendosi 
                  rocambolescamente alla retata di arresti del 4 gennaio '44. 
                  Banci, nel secondo dopoguerra animatore del gruppo anarchico 
                  «Errico Malatesta» al Trionfale, è stato, 
                  nel Biennio rosso, segretario della Federazione dei lavoratori 
                  della fornace e compagno, di lavoro e lotta, di Alberto Di Giacomo4.
 Come già detto, l'opera di ricostruzione storiografica 
                  della partecipazione degli anarchici alla Resistenza romana 
                  è resa particolarmente difficoltosa dalla scarsità 
                  di fonti non solo coeve ma anche posteriori agli avvenimenti 
                  presi in esame. Dall'attenta analisi della pubblicistica anarchica 
                  nel secondo dopoguerra non emergono che radi, scarni, lacunosi 
                  e talvolta imprecisi elenchi nominativi dei caduti partigiani. 
                  Completamente assenti, scritti più corposi di taglio 
                  discorsivo e memorialistico od elencazioni di azioni svolte. 
                  Sicuramente, inoltre, sulle numerose imprecisioni nel ricordo 
                  dei singoli, ha influito la militanza «irregolare» 
                  dei partigiani anarchici nelle formazioni politiche altrui, 
                  militanza non di rado, in uno slancio unitario pronto ad accantonare 
                  le differenze ideologiche, divisa addirittura tra più 
                  formazioni di diverso segno politico. Abbiamo già citato 
                  il caso dell'anarchico del Trionfale Alberto di Giacomo, ex 
                  capo squadra del battaglione rionale degli Arditi del popolo 
                  e partigiano – molto probabilmente – sia nelle fila 
                  gielliste, che in quelle comuniste, prima di cadere prigioniero 
                  dei nazifascisti ed essere deportato nel lager di Mauthausen. 
                  Ciò, infatti, spiegherebbe la duplice rivendicazione 
                  di questo caduto partigiano avanzata sia dai comunisti dell'ANPI 
                  che dalla FIAP azionista.
 Tornando alle notizie riguardanti i caduti partigiani anarchici 
                  nella Resistenza romana, cito qui gli elenchi nominativi pubblicati 
                  da «Il Libertario» (Roma, n. 1 settembre 1944) e 
                  da «L'Impulso» (periodico dei GAAP, 15 aprile 1955).
 Il primo presenta diverse imprecisioni, viene, infatti, riportato 
                  nell'elenco anche il nome del vecchio sindacalista anarchico 
                  Spartaco Stagnetti (in realtà, morto al confino nel 1928) 
                  e del socialista Luigi Castellani.
 Risulta più preciso, invece, il secondo elenco, inoltre 
                  più ricco di informazioni e cenni biografici rispetto 
                  al precedente. Proprio ad alcuni dei caduti citati da «L'Impulso», 
                  per quanto l'estensore della lista si premuri di precisare si 
                  tratti di «un elenco assolutamente incompleto», 
                  è dedicata la parte conclusiva di questo articolo, con 
                  le loro biografie, qui ricostruite, principalmente, attraverso 
                  i fascicoli del Casellario politico centrale e della Questura 
                  romana.
 L'elenco de «L'Impulso»: Giovanni Gallinella, Alberto 
                  di Giacomo, Raffaele Lello Lotti (morti in data imprecisata 
                  a Mauthausen). Giulio Roncacci, Aldo Eluisi, Umberto Scattoni 
                  (caduti alle Fosse Ardeatine), Riziero Fantini (fucilato a Forte 
                  Bravetta il 31 dicembre 1943).
  Valerio Gentili 
                  Le poche e obsolete armi, fatte giungere dal generale Carboni, 
                  per lo più moschetti modello '91 in dotazione all'esercito 
                  regio nella prima guerra mondiale, ai partigiani romani l'8 
                  settembre sono nascoste nella carrozzeria dei fratelli Scattoni: 
                  Umberto ed Ugo.
                  Circolare ai prefetti in ACS, MI, PS, a g e ris. 1943-45 RSI, 
                  b.1.
                  Dagli elenchi dell'ANED dei deportati italiani nei campi di 
                  concentramento.
                  In ACS, MI, PS a g e ris. B. 79.
				   
 
 Quattro biografie di anarchici morti contro il nazi-fascismo  Giovanni Gallinella: 
                  di Pio e Assunta Capannini, nato a Roma il 14 marzo 1903, fabbro 
                  residente a Trastevere in via Del Mattonato. Anarchico, aderisce 
                  al locale battaglione degli Arditi del Popolo diventando caposquadra. 
                  Nei giorni del congresso di fondazione del PNF, nel novembre 
                  1921, si distingue al comando di azioni particolarmente efficaci 
                  nel respingere gli attacchi delle squadracce sul Lungotevere. 
                  È tra i principali organizzatori della difesa militare 
                  del rione Trastevere durante la Marcia su Roma. Negli anni del 
                  ventennio in quanto elemento pericoloso per l'ordine nazionale 
                  dello stato viene ripetutamente sottoposto ai provvedimenti 
                  di ammonizione, confino e internamento carcerario. Nel 1925 
                  è denunciato per oltraggio e ribellione agli agenti di 
                  forza pubblica, ammonito nel 1930, il 27 gennaio dell'anno successivo 
                  viene condannato a tre mesi di carcere per contravvenzione all'obbligo 
                  di ammonizione. Scontata la pena è trattenuto agli arresti 
                  perché sono in corso le pratiche per la sua assegnazione 
                  al confino. Il 27 aprile viene inviato nell'isola di Ponza per 
                  una durata di tre anni. Il 3 settembre 1931 il direttore della 
                  colonia lo denuncia per manifestazione sediziosa e contravvenzione 
                  all'obbligo di confino. Sconta quattro mesi di carcere a Poggioreale. 
                  Terminata la detenzione è rinviato a Ponza, fino al luglio 
                  del 1934. Scaduti i termini fa ritorno a Roma. Ma nel dicembre 
                  del 1936, accusato di svolgere opera di propaganda attiva contro 
                  il regime, viene nuovamente riassegnato dalla commissione regionale 
                  al confino per una durata di 4 anni da scontare nella colonia 
                  di Ventotene. Qui mantiene i contatti con altri confinati antifascisti. 
                  Da una nota del questore di Roma alla sezione prima, confino 
                  politico, del ministero degli Interni, in data 10 gennaio 1937, 
                  si legge che Gallinella, nonostante arresti e confino: «Insieme 
                  con Gioacchino Gabrielli e Alfredo Simmi (entrambi avevano militato 
                  negli Arditi del Popolo) svolge un'intensa propaganda antifascista, 
                  i tre hanno contatti con il repubblicano Dante Giannotti, uno 
                  dei dirigenti del gruppo Giustizia e Libertà scoperto 
                  nella capitale nel 1932». Punito per la sua condotta, 
                  nel 1939, Gallinella viene trasferito nella colonia delle Tremiti, 
                  dove è internato in seguito alla sua instancabile propaganda 
                  antifascista. Trasferito a Pisticci, vi resta fino alla fine 
                  dell'agosto 1943, quando, revocato il provvedimento di confino 
                  fa ritorno a Roma. Qui riprende da subito la lotta politica. 
                  Dopo l'8 settembre partecipa alla resistenza partigiana operando, 
                  probabilmente, in collegamento con le squadre cittadine di Giustizia 
                  e Libertà. Il 4 gennaio 1944, nel corso di rastrellamenti 
                  a tappeto operati dalla polizia per tutta la città, viene 
                  nuovamente arrestato. Inviato, insieme ad altri 300 uomini, 
                  pregiudicati politici e comuni, al servizio di lavoro obbligatorio 
                  in Germania, con un treno piombato partito dalla stazione Tiburtina, 
                  arriva a Mauthausen il 13 gennaio. In questo campo di concentramento 
                  muore in data imprecisata.Fonti: ACS, CPC,ad nomen. Archivio di Stato di Roma, 
                  Questura di Roma A/9,ad nomen. ACS, MI, PS, a. g. e ris. 
                  1943-1945 RSI, b.1, f.Situazione politica nelle provincie, 
                  relazioni giornaliere, f.Elenchi di persone rastrellate 
                  e arrestate per essere avviate al servizio del lavoro. Elenchi 
                  ANED (Associazione nazionale ex deportati politici) degli internati 
                  nei campi di concentramento tedeschi.
 
 Alberto Di Giacomo 
                  detto il moro: di Andrea e Paolina Bini, nato a Magione, 
                  in provincia di Perugia, l'8 gennaio 1886, risiede fin da giovanissimo 
                  a Roma, nel rione del Trionfale. Operaio alle fornaci di Valle 
                  Aurelia, è schedato dalla questura come anarchico, 
                  attentatore, confinato politico pericoloso. Dal 1911 al 
                  1920 è tra gli esponenti di punta della frazione più 
                  agguerrita nel consiglio della Lega dei fornaciai. Nel 1921 
                  aderisce agli Arditi del Popolo, a fine luglio entra a far parte 
                  del Direttorio cittadino dell'organizzazione, in quanto esponente 
                  di punta del battaglione Trionfale. Nel 1923 viene arrestato 
                  per: lesioni e ingiurie a danno di fascisti. Arrestato nuovamente 
                  nel settembre 1926 con l'accusa di progettare un attentato contro 
                  il regime. Nel giugno del 1931 con un'ordinanza della commissione 
                  provinciale di Roma è assegnato al confino di polizia 
                  per la durata di tre anni da scontare nella colonia di Lipari. 
                  Nel novembre del 1932, in occasione del decennale della vittoria 
                  fascista, viene prosciolto dal restante periodo di detenzione. 
                  Tornato nella capitale, D.G. riprende da subito la lotta in 
                  opposizione al regime subendo un nuovo provvedimento d'ammonizione 
                  in maggio. In una nota del questore di Roma, risalente al dicembre 
                  1934, viene definito: «Uno dei più pericolosi anarchici 
                  residenti nella capitale per cui è stato incluso nella 
                  I categoria dei sovversivi da arrestarsi in determinate circostanze 
                  e viene strettamente vigilato da questo ufficio». Nel 
                  giugno 1935 è colpito da un ulteriore provvedimento d'ammonizione. 
                  Nel 1940 viene assegnato a un nuovo triennio di confino. Torna 
                  a Roma dopo il 25 luglio 1943. Opera nel movimento resistenziale 
                  cittadino in collegamento con la compagine giellista. Arrestato, 
                  come Gallinella, il 4 gennaio 1944, viene prelevato in massima 
                  segretezza dal carcere di Regina Coeli e deportato in Germania, 
                  insieme ad altri trecento, col treno n. 64155. Muore a Ebensee 
                  (Mauthausen) il 5 maggio 1945.
 Fonti: ACS, CPC,ad nomen. MI, PS, a. g. e ris. 1943-1945 
                  RSI, b.1, f.Situazione politica nelle provincie, relazioni 
                  giornaliere, f.Elenchi di persone rastrellate e arrestate 
                  per essere avviate al servizio del lavoro. «L'Impulso», 
                  organo periodico dei GAAP, 15 aprile 1955. Elenchi ANED (Associazione 
                  nazionale ex deportati politici degli internati nei campi di 
                  concentramento tedeschi).
 
                   
                    |  |   
                    | Alberto 
                        Di Giacomo, detto er moretto, fornaciaio anarchico, prima Ardito del
 Popolo poi partigiano, deportato
 nel gennaio 1944 a Mauthausen
 |   Aldo Eluisi: 
                  di Romolo e Pasqua Marchetti, nasce a Venezia l'11 dicembre 
                  1898. A tre anni lascia con la famiglia la città veneta 
                  per stabilirsi nella capitale. Risiede nel distretto di Ponte 
                  e lavora fin da giovanissimo come pittore edile. Dopo l'entrata 
                  in guerra dell'Italia, partecipa al primo conflitto mondiale 
                  nei reparti d'assalto dell'esercito regio. Nei giorni della 
                  disfatta di Caporetto si distingue in operazioni particolarmente 
                  audaci ricevendo dai comandi una proposta per il conferimento 
                  di medaglia al valore. A guerra finita torna nella capitale 
                  diventando da subito una delle figure più in vista della 
                  locale sezione dell'associazione tra gli Arditi d'Italia. Partecipa 
                  all'impresa fiumana. Anarchico e convinto antifascista, nell'aprile 
                  del 1921, viene eletto consigliere all'interno del nuovo comitato 
                  d'azione della sezione romana dell'ANAI. Pochi mesi dopo è, 
                  insieme agli ufficiali Secondari e Pierdominici, tra i fondatori 
                  degli Arditi del Popolo. Membro del Direttorio cittadino dell'organizzazione, 
                  in qualità di capo della centuria del rione di Ponte, 
                  è alla guida della resistenza militare organizzata dagli 
                  Arditi in risposta agli attacchi squadristi, nel novembre 1921, 
                  nell'aprile 1922, nel maggio e nell'ottobre dello stesso anno. 
                  Arrestato una prima volta il 20 agosto del 1921, l'anno seguente 
                  è nuovamente incarcerato: «Per aggressione a danno 
                  di fascisti». In seguito alla vittoria mussoliniana, viene 
                  pugnalato, nel 1923, da una squadraccia durante una rissa alla 
                  trattoria Masseroni, in piazza Fiammetta. Arrestato nel 1928 
                  per possesso illegale di armi da fuoco, nel 1930, in seguito 
                  «Ad agitazione fra gli Arditi», viene diffidato 
                  dallo svolgere attività non consentita in seno alla mussoliniana 
                  FNAI. L'anno successivo gli viene imposto l'obbligo di munirsi 
                  di carta d'identità. Dopo l'8 settembre 1943 partecipa 
                  alla sfortunata difesa di Roma dall'occupazione delle divisioni 
                  tedesche, battendosi con onore a Porta San Paolo e alla Madonna 
                  del Riposo. Nei mesi dell'occupazione è insieme a Vincenzo 
                  Baldazzi, incaricato dal CE del partito d'azione, in assenza 
                  di Bauer, di dirigere il movimento resistenziale, alla testa 
                  delle formazioni gielliste, con la qualifica di comandante equiparato 
                  al grado di capitano. Colpito da mandato di cattura, in novembre, 
                  sfugge a un primo tentativo d'arresto da parte delle SS tedesche 
                  ma tradito da un delatore viene, in seguito, arrestato. Torturato 
                  per giorni alla pensione Jaccarino dalla banda di Pietro Koch 
                  senza cedere mai, cade fucilato nel marzo 1944 alle Fosse Ardeatine. 
                  Il 5 marzo 1945 è commemorato al cinema Altieri per iniziativa 
                  del Partito d'azione. Nel 1947, su proposta del comitato provinciale 
                  dell'ANPI, gli viene conferita la medaglia d'oro al valore militare 
                  alla memoria. La sua figura rimane una delle più belle, 
                  delle più gloriose del movimento di resistenza romana.Questo il suo epitaffio nel medagliere d'oro al valore militare:
 Comandante di una squadra di Arditi del Popolo combatté 
                  valorosamente a porta San Paolo e alla Madonna del riposo fugando 
                  il nemico. Ricercato e arrestato dalla polizia nazifascista 
                  riusciva audacemente a eludere la vigilanza e a conquistare 
                  la libertà per riprendere il suo posto nella lotta. Tradito 
                  da vile delatore e sorpreso durante un convegno con altri partigiani, 
                  dopo fiera colluttazione veniva immobilizzato e, benché 
                  ferito, trasportato nelle camere di tortura ove aveva inizio 
                  il suo calvario. Per 18 giorni soffrì le più efferate 
                  torture e lo scempio del corpo; tradotto alle Fosse Ardeatine 
                  si univa nella morte agli altri eroi che hanno bagnato col loro 
                  sangue quella terra divenuta sacra alla Patria.
 Fonti: Archivio di Stato di Roma, Questura A/8ad nomen.Le 
                  medaglie d'oro al valore militare conferite a militari ed a 
                  civili, Roma, 1965.
 
                   
                    |  |   
                    | L'anarchico Aldo Eluisi, legionario fiumano, 
                  dirigente degli Arditi del Popolopoi della Resistenza romana, 
                  fucilato alle Fosse Ardeatine
 |  
                  Riziero Fantini, 
                  di Adolfo nato a Coppito (AQ) il 6 aprile 1892, anarchico. Domiciliato 
                  in via Prati Fiscali, muratore. Molto attivo tra gli anarchici 
                  capitolini, secondo la PS tiene, inoltre, una corrispondenza 
                  epistolare con i più noti dirigenti del movimento anarchico 
                  marchigiano. É collaboratore dei giornali: «Umanità 
                  Nova», «La Frusta» e «Libero Accordo». 
                  Nel biennio 1921-'22, figura come relatore in alcune conferenze 
                  tenutesi nella capitale e nelle Marche in sostegno di Sacco 
                  e Vanzetti (che R. aveva personalmente conosciuto nel corso 
                  dei dieci anni passati da lavoratore immigrato a Boston). Segnalato 
                  dalle autorità come iscritto al partito anarchico 
                  è per questo motivo costantemente vigilato ed iscritto 
                  nel registro delle persone da arrestare in determinate circostanze. 
                  Attivo nella Resistenza romana tra le fila comuniste, secondo 
                  una circolare del prefetto Caruso, in data 27 dicembre 1943, 
                  risulta essere stato fucilato dai tedeschi (dopo l'arresto, 
                  tortura e processo sommario) sugli spalti di Forte Bravetta 
                  insieme ai comunisti Italo Grimaldi e Antonio Feurra in quanto 
                  «responsabile di violenza contro quelle forze armate».Fonti: Acs, Cpc,ad nomen, Biografie dell'ANPI.
  Valerio Gentili |