Rivista Anarchica Online





La rivolta delle minuscole

<Mettiamo i puntini su di me> disse la i <e vi accorgerete subito della differenza. È possibile farlo solo perché sono minuscola. La I maiuscola è priva di questa carica espressiva. È una lettera arrogante ma in fondo elementare e grezza... e tutte le sue pretese di superiorità vadano a farsi fottere!>
Immediato salì l'applauso dei pubblico, per la verità non troppo folto: ventuno lettere, tante quante può contarne l'alfabeto. Tutte minuscole, riunite in assemblea e determinate a far valere le proprie ragioni.
<D'accordo, ma attenti ad affidarci a motivazioni così sottili che rischiano di confondere come qualunque gioco di parole> obiettò la zeta dalla penombra dell'ultima fila. <Se vogliamo fare breccia nel grande pubblico, dobbiamo concentrarci sui significati e attaccare frontalmente il cuore delle convenzioni grammaticali ... >
<Sarebbe a dire?> chiese la acca, solitamente muta e dura di comprendonio.
<Sarebbe a dire che occorre scavare a fondo nella storia del linguaggio umano per metterne a nudo le ipocrisie. Gli Ideali con la maiuscola puzzano di bruciato. Quanti massacri sono stati commessi in nome di una Causa? Noi invece, più umilmente, preferiamo studiare la causa di un problema per cercare di risolverlo>
<Ha ragione> intervenne la a. <Permettetemi di fare un esempio che mi riguarda. Parliamo di Amore con la maiuscola. In apparenza è la consacrazione di un sentimento nobile; nel profondo, però, è un'astrazione che non ammette deviazioni, rifugge le difficoltà, le battute d'arresto, le temporanee incomprensioni. Questo Amore, così celebrato e decantato, è per tutti e nessuno, un monologo che si nega al confronto con una persona in carne e ossa, e non può accettare gli imprevisti che si discostano dall'Idea. Applicato alla psiche umana, è l'anticamera dello stalking, mentre noi ci battiamo per l'amore imperfetto che ci fa dannare e ci appassiona. Un viaggio dall'esito incerto, un rischio che inizia sempre con la minuscola... >
<Bravo!>
<Grazie. E che dire dell'arte, delle mille emozioni che sa trasmettere in forme sempre nuove, rinnovandosi nella memoria? Tradotta in maiuscolo, l'Arte sa invece di Accademia e regole codificate. Fa venire in mente spocchiosi Professori che si ergono a custodi della critica per mancanza di fantasia. Nient'altro che voyeur dell'ispirazione altrui>
Altri applausi. Il pubblico si stava scaldando.
<È vero> convenne la effe. <Dietro una maiuscola c'è sempre l'occhio di un fanatico. Giustizia, Verità, Bellezza.... Tutte le virtù scritte a caratteri altisonanti perdono qualcosa del loro valore originario e tradiscono l'ombra dell'Assoluto, dello spirito intransigente che non si adatta alle circostanze ma le piega ai suoi fini. La maiuscola è un tiranno!>
Ovazioni.
<Ehm... forse ci stiamo facendo prendere un po' la mano...> rimarcò la t, la più timida in quel consesso.
<Macché> commentò la esse. <Noi minuscole siamo portatrici di un pragmatismo che non rinnega i sogni ma evita di trasformarli in incubo>
Al che l'applauso salì più forte. Dalla quarta fila, tuttavia, si levò la pacata obiezione della o: <Facile a dirsi, sorelle, ma stiamo attente a non generalizzare. La maiuscole hanno un punto di forza innegabile: hanno il potere della definizione. Come faremmo altrimenti a distinguere i nomi propri da quelli comuni? A cogliere la differenza tra un fiore e una donna? Tra Margherita e una margherita, tra Viola e una viola, tra Rosa...>
<Sì, sì, abbiamo capito> interruppe rabbiosa la erre. <Le maiuscole servono a definire i nomi propri... e allora? Danno un'identità, con tanto di timbro dell'anagrafe, ma noi abbiamo dalla nostra la bellezza dei fiori... ecco, appunto. La nostra sarà la rivoluzione dei fiori, in barba a quanti ci accusano di minimalismo riformista!>
<SIIIIIII> gridarono all'unisono vocali e consonanti, quasi impaurite da quel ruggito collettivo che, sull'onda dell'entusiasmo, rischiava di trasfigurarle.
<Attenzione con i facili entusiasmi> ammonì la q, che si considerava sufficientemente esperta di trappole grammaticali. <State già urlando in maiuscolo, e noi dobbiamo essere consapevoli della subdola potenza delle abitudini. Gli argomenti a nostro favore sono dirompenti, forse troppo...>
<Spiegati meglio> tornò a chiedere la acca.
<Prendiamo Dio...>
Ci fu un mormorio imbarazzato, sommesso, come se quel richiamo improvviso avesse rimpicciolito il carattere delle creature alfabetiche.
<Sì, ho detto Dio. Se ci credessimo davvero, dovremmo scriverlo in minuscolo, come si conviene a un essere indefinibile e impersonale>
<E prendiamo la Patria> aggiunse la p <Intendo quella con la maiuscola, in nome della quale si delimitano confini e si scatenano guerre. La nostra patria è il mondo intero, un luogo insieme grande e minuscolo che si annida nell'anima...>
<E prendiamo la Famiglia...> incalzò la effe. <Nella sua veste più pretenziosa non è che una camicia di forza dei sentimenti, mentre la famiglia è una pratica quotidiana che si afferma per libera scelta>
<Ed ecco smontato il triangolo ideologico dell'ultimo secolo> sintetizzò la esse. <Il che ci riporta al richiamo della sorella q. Dobbiamo essere caute. La posta in gioco è alta, il nemico spietato. Le maiuscole preservano il loro potere facendo apparire necessario ciò che è superfluo>
E qui la esse abbassò la voce, come se stesse per infrangere un altro tabù: <Scritto in maiuscolo, Stato è una schiacciante ostentazione di forza, ma reso in minuscolo rappresenta un semplice dato di fatto, qualcosa che è già accaduto e appartiene al passato...>
Ma la cautela con cui venne fatta quella dichiarazione dissacrante non bastò. Fu a quel punto, infatti, che nella sala fecero irruzione le milizie dell'EA, il temibile Esercito Alfabetico: <FERMI TUTTI!> intimò il COLONNELLO KAPPA, Comandante dei servizi segreti delle lettere. <LA RIUNIONE È SCIOLTA, E VOI TUTTE SIETE IN ARRESTO. ABBIAMO SENTITO BENE. SARETE PERSEGUITE PER CIÒ CHE AVETE OSATO AFFERMARE>
Al che le ventuno lettere sediziose furono portate via. Venne proclamato lo stato di emergenza alfabetica, e istituita la dittatura dello stampatello.
DA QUEL GIORNO FU UN MONDO A CARATTERI CUBITALI. SEMBRAVA DI VIVERE IN UNA CASERMA GESTITA COME UNA SCUOLA ELEMENTARE. LE PERSONE VENIVANO TRATTATE DA SCOLARETTI ALLE PRIME ARMI, IMPREPARATI ALLA COMPLESSITÀ DELLA LINGUA E DUNQUE BISOGNOSI DI UNA SCRITTURA SEMPLIFICATA, RUDIMENTALE, PATERNALISTICA. QUANDO TUTTO È UGUALMENTE GRANDE, NESSUNO FA PIÙ ATTENZIONE ALLE SFUMATURE, E COSÌ QUEL MONDO IN CUI LA MAIUSCOLA ERA D'OBBLIGO DIVENNE SEMPRE PIÙ PIATTO, UNIFORME, PRIVO DI CURIOSITÀ.
Eppure... Eppure, dal fondo delle loro celle, imprigionate negli angusti spazi di fogli a quadretti, le minuscole ripresero a comunicare tra loro. Allungarono le loro estremità fino a toccarsi e cominciarono a formare parole concatenate che, come un filo invisibile, uscivano dagli spazi, diventavano corsivi clandestini, passavano di orecchio in orecchio, componevano storie che la Storia scritta dai vincitori pretendeva di cancellare e raggiungevano cuore e mente di chi, in quel MONDO MAIUSCOLO, non riusciva proprio a starci.
Facevano breccia nelle situazioni più disparate.
Ovunque ricorresse la parola ORDINE, che scritta in quel modo faceva solo pensare a un comando.
Ovunque si faticasse a rinunciare alla propria grafia, bollata come segno di bieco individualismo.
Ovunque ci si commuovesse per una poesia che scandalizzava gli Accademici perché sovvertiva i Canoni della Metrica.
Ovunque si nutrisse un sentimento imperfetto che si sentiva oppresso da quella parata alfabetica capace solo di esprimersi a grandi lettere. Era il potere che concedeva agli smarriti la mancia di una grandezza finta, da IPERMERCATO, che rimpiccioliva le persone facendole sentire inadeguate a meno di passare alla CASSA.
Lentamente, il filo invisibile che collegava quella pattuglia minuscola ma combattiva cominciò a comporre la trama della rivolta. Quando il Capo di Governo parlò allo stadio di PROVA MAIUSCOLA della Nazionale, partirono i primi fischi. E nel palco delle autorità più di uno abbassò il capo. Qualcosa stava cambiando.

Paolo Pasi