| Spagna 
                  '36   Contro 
                  il fascismo(e il maschilismo)
  Numerose 
                  iniziative hanno ricordato lo scorso luglio – e nel corso 
                  dell'anno – la rivoluzione e la guerra di Spagna (1936-1939).In verità, la maggior parte hanno ricordato prevalentemente 
                  l'aspetto “militare”, cioè il golpe anti-democratico 
                  di Francisco Franco del 19 luglio 1936, il cattolicissimo dittatore 
                  fascista che per un quarantennio rimase al potere, quasi in 
                  sintonia con il parallelo regime fascista di Salazar (al potere 
                  dal 1932 al 1968) e Caetano (fino al 1974) in Portogallo. E 
                  l'immediata risposta popolare, per contrastare il golpe.
 Solo gli anarchici e pochissimi altri hanno ricordato la rivoluzione 
                  sociale che, tra le mille difficoltà della guerra, si 
                  sviluppò – principalmente in Catalogna, nel Paìs 
                  Valencià e in Andalusia. E il ruolo fondamentale della 
                  presenza sociale libertaria, soprattutto tramite le attività 
                  e l'influenza della CNT (Confederación Nacional del Trabajo), 
                  il sindacato “anarco-sindacalista” di gran lunga 
                  maggioritario in varie regioni spagnole.
 Pubblichiamo in queste pagine due articoli di carattere storico 
                  dedicati alla presenza delle donne anarchiche. Arianna 
                  Fiore, ricercatrice di lingua spagnola all'Università 
                  di Firenze, traduttrice, nostra collaboratrice, si occupa di 
                  come venissero viste e presentate, in epoca fascista, le donne 
                  anarchiche volontarie in Spagna, partendo anche dalle carte 
                  di polizia consultabili presso l'Archivio centrale dello Stato, 
                  a Roma.
 Successivamente è Helena Andrés 
                  Granel, ricercatrice all'università di Rosario (Argentina), 
                  a occuparsi di Mujeres Libres, la storica organizzazione di 
                  donne anarchiche spagnole, impegnata contro il golpe franchista 
                  ma non solo: in un difficile lavoro di sintesi, Mujeres Libres 
                  si opponeva anche al maschilismo presente in mille forme dentro 
                  le fila libertarie così come nella società.
 Due saggi storici ancora oggi ricchi di insegnamenti sulla società
 di 70 anni fa, ma anche per l'oggi.
  
 Spagna '36 
 Squilibrate, suggestionabili e di facili costumi 
 di Arianna Fiore 
 
 Come gli organi di controllo fascista rappresentavano le volontarie 
                  italiane della guerra civile spagnola. Da alcuni anni mi sto occupando, 
                  insieme a un gruppo di storici che studiano la partecipazione 
                  italiana antifascista alla guerra di Spagna, del ruolo avuto 
                  in questo conflitto dalle donne italiane1. 
                  Vorrei iniziare la presente riflessione con una premessa sulla 
                  questione delle fonti, di per sé abbastanza problematica. 
                  Il medievista Jacques Le Goff sosteneva che non esiste un documento 
                  innocuo e che ogni fonte deve essere interpretata non solo per 
                  quello che dice ma anche per quello che è, e quindi anche 
                  per chi l'ha prodotta, in quale contesto e con quale fine. Secondo 
                  la sua affermazione, è necessario porsi il problema delle 
                  fonti, posto che nessun documento deve essere considerato fonte 
                  di verità assoluta. Per studiare la storia dell'antifascismo 
                  si parte genericamente da due tipi di fonti: quelle provenienti 
                  dallo stesso mondo antifascista, che si descrive, si racconta, 
                  si interpreta, si ricorda o si celebra, o quelle prodotte invece 
                  dal Regime. In questo secondo caso, bisogna considerare fonti 
                  primarie i servizi d'informazione della polizia, le note della 
                  Regia Prefettura, le carte dei processi della Magistratura, 
                  le requisitorie dei Pubblici Ministeri presso il Tribunale Speciale 
                  per la Difesa dello Stato, i verbali degli interrogatori, ossia 
                  tutta la documentazione fornita o veicolata dai principali organi 
                  burocratici della struttura totalitaria. A questi documenti 
                  di tipo ufficiale si aggiungono le fonti secondarie: delazioni 
                  prodotte da informatori, infiltrati, provocatori vari, indispensabile 
                  propaggine non istituzionale del Regime per la capillare sorveglianza 
                  dell'antifascismo. In entrambi i casi, come ricordavo poc'anzi, 
                  non si può confidare in un'assoluta oggettività 
                  del documento, sempre viziato dall'interpretazione di chi lo 
                  produce: gli antifascisti in un caso, gli organi istituzionali 
                  – burocrati chiusi in un ufficio – e gli infiltrati, 
                  nel secondo.
 Solo fonti fasciste Giampietro Nico Berti ritiene che per studiare l'anarchismo: 
                  “[...] le fonti di polizia sono indispensabili per ricostruire 
                  la cornice dei fatti. Quasi mai per interpretare il quadro esistente 
                  entro tale cornice” (Berti 2002: 17). Colgo la metafora, 
                  spostando il campo di analisi proposto da Berti per gli anarchici 
                  sulle donne: ritengo interessante vedere come il fascismo rappresentava 
                  la donna antifascista per poter approfondire non tanto il ruolo 
                  politico avuto da queste donne negli anni di opposizione (il 
                  quadro quindi), quanto ricostruirne la cornice, ossia la percezione 
                  che le istituzioni e i sistemi di controllo dell'apparato repressivo 
                  del Regime avevano del mondo femminile antifascista, continuamente 
                  sorvegliato, schedato, giudicato e condannato2. 
                  Per fare questo mi sono affidata alle sole fonti fasciste, reperite 
                  presso il Casellario Politico Centrale dell'Archivio Centrale 
                  dello Stato (ACS-CPC), oggi fondamentali non soltanto per indagare 
                  il meccanismo repressivo dell'apparato giudiziario fascista 
                  ma anche, e soprattutto, il mondo dell'antifascismo3. 
                  Nel concreto si tratta di osservare come un determinato tipo 
                  di fonti ha descritto questo specifico nucleo di oppositori 
                  al fascismo, caratterizzato per genere, trattandosi di sole 
                  donne, per nazionalità, restringendo il corpus alle sole 
                  italiane, e per l'evento che le coinvolse, il conflitto spagnolo 
                  del 1936-1939. I limiti temporali della ricerca s'identificano 
                  quindi con quelli del ventennio del Regime fascista (1922-1943), 
                  quando queste donne esplicano la loro attività militante. Il modo corretto di essere donne (e fasciste) Mussolini aveva previsto una corretta maniera di essere italiano, 
                  che coinvolgeva non solo l'ambito pubblico, quindi generalmente 
                  politico, ma anche quello privato, ampliando quindi notevolmente 
                  il suo raggio d'influenza. Bisognava fascistizzare la nazione 
                  e ciò doveva avverarsi contemporaneamente nella rete 
                  capillare della società, composta alla base dalla famiglia 
                  e dai singoli individui che la formano, uomini e donne. Nel 
                  caso femminile, ossia, per “fare le italiane”, il 
                  rapporto tra pubblico e privato assume una proporzione diversa 
                  rispetto a quanto avveniva con la popolazione maschile. Il risultato 
                  fu avvicinare sempre più i due ambiti, dando vita a quello 
                  che Giovanni De Luna definisce “una commistione pubblico/privato 
                  destinata a durare nel tempo, ben al di là della caduta 
                  del fascismo” (De Luna 1995: 36). Le donne, inserite nelle 
                  varie corporazioni femminili, come l'Opera Nazionale Balilla, 
                  i Fasci femminili e l'Opera Nazionale per la Protezione della 
                  maternità e dell'infanzia (OMNI), destinata alla “difesa 
                  e il miglioramento fisico e morale della razza” (Mazza 
                  1934: 11), erano sottoposte alla tutela dello Stato dalla nascita 
                  alla morte.Il fascismo contribuì sicuramente ad ampliare la presenza 
                  della donna nella sfera pubblica, senza però che ciò 
                  implicasse dei cambiamenti nella condotta che lei doveva tenere 
                  nella sfera privata, e mantenendo quindi inalterati i ruoli 
                  assegnati dalla tradizione – madre, moglie, sorella e 
                  figlia – e le caratteristiche che doveva contemplare – 
                  fecondità, modestia, docilità, obbedienza, decoro, 
                  contegno, quando non rassegnazione e spirito di sacrificio. 
                  Al potere dell'uomo, soggetto attivo, corrisponde la sottomissione 
                  della donna, oggetto passivo, e l'idealizzazione della madre, 
                  giacché il fascismo fece della maternità un dovere 
                  nazionale.
 
 L'applicazione del principio del 'ciascuno al suo posto' assumeva 
                  come priorità strategica la conferma della netta opposizione 
                  tra una cittadinanza piena riconosciuta agli uomini in quanto 
                  titolari di una partecipazione attiva alla sfera pubblica e 
                  la passività della sfera domestica e privata che competeva 
                  alle donne (De Luna 1995: 45).
 
 Cosa era dunque vietato alla donna in epoca fascista? Principalmente 
                  la politica. Già nel 1921, Mussolini aveva affermato 
                  a proposito della questione elettorale:
 
 Non darò il voto alle donne. La donna deve ubbidire. 
                  La mia opinione della sua parte nello Stato è opposta 
                  a ogni femminismo. Naturalmente non deve essere schiava, ma 
                  se le concedessi il diritto elettorale, mi si deriderebbe. Nel 
                  nostro Stato essa non deve contare4.
 
 A prescindere da abili strategie comunicative per accattivarsi 
                  il consenso delle italiane meno condiscendenti, in sostanza 
                  la sua opinione cambiò poco se ancora nel 1939, il Decalogo 
                  della piccola italiana ricordava alle ragazze che “La 
                  patria si serve anche spazzando la casa”. Altro ambito 
                  di competenza esclusivamente maschile era la guerra. Secondo 
                  Marinetti, “La guerra dobbiamo amarla con tutto il nostro 
                  cuore di maschi”, assegnando alla donna solo una funzione 
                  biologica: “La guerra sta all'uomo come la maternità 
                  sta alla donna”. Un decreto del 1927 inoltre aveva dimezzato 
                  gli stipendi femminili, scoraggiando quindi la partecipazione 
                  femminile anche al mondo del lavoro: macchine e donne erano 
                  considerate dal Duce gravi cause di disoccupazione. L'ideologo 
                  del fascismo, Ferdinando Loffredo, nel 1938 non lasciò 
                  adito al dubbio:
 
 L'abolizione del lavoro femminile deve essere la risultante 
                  di due fattori convergenti: il divieto sancito dalla legge, 
                  la riprovazione sancita dalla opinione pubblica. La donna che 
                  –senza la più assoluta e comprovata necessità– 
                  lascia le pareti domestiche per recarsi al lavoro, la donna 
                  che, in promiscuità con l'uomo, gira per le strade, sui 
                  tram, sugli autobus, vive nelle officine e negli uffici, deve 
                  diventare oggetto di riprovazione, prima e più che di 
                  sanzione legale (Loffredo 1938: 365)5.
 
 Tale concetto, tra l'altro, era stato già difeso da Pio 
                  XI. In effetti, nel 1931, nell'enciclica Quadragesimo anno, 
                  il Papa scriveva:
 
 Le madri di famiglia prestino l'opera loro in casa soprattutto 
                  o nelle vicinanze della casa, attendendo alle faccende domestiche. 
                  Che poi le madri di famiglia, per la scarsezza del salario del 
                  padre, siano costrette ad esercitare un'arte lucrativa fuori 
                  delle pareti domestiche, trascurando così le incombenze 
                  e i doveri loro propri, e particolarmente la cura e l'educazione 
                  dei loro bambini, è un pessimo disordine, che si deve 
                  con ogni sforzo eliminare6.
 La donna fattrice d'italiani Per non parlare della cultura e dell'istruzione7, 
                  che avrebbero deviato la donna dalle sue occupazioni e dai piaceri 
                  della famiglia. Stanis Ruinas, nel 1930, esaltando la donna 
                  fattrice d'italiani, la macchina da riproduzione, affermò 
                  che la donna che scrive, –la donna colta, da lui definita 
                  con scherno “scribacchina”– non sarebbe altro 
                  che “una donnetta che per soddisfare la propria vanità 
                  passa sopra ogni legge morale”, molto “al disotto 
                  della prostituta”, e ribadisce di non aver alcun rispetto 
                  “per la mediocre donna di lettere, che sciupa il tempo 
                  e sacrifica se stessa non per concorrere al potenziamento della 
                  Nazione ma per favorire la disgregazione della sua compagine 
                  morale” (Ruinas 1930: 36).Pertanto, per la donna antifascista, la propria scelta ideologica 
                  implicava non soltanto una partecipazione politica attiva, seppur 
                  clandestina, ma anche una ridefinizione del proprio ruolo di 
                  donna, in ambito pubblico e, soprattutto, privato. Essere antifasciste 
                  voleva dire non solo condurre la lotta politica contro il fascismo, 
                  ma anche vivere in maniera antagonista rispetto a quanto era 
                  prospettato dal Regime a proposito di vita di coppia, sessualità, 
                  amore, figli, rapporto con i genitori, con la famiglia, tempo 
                  libero, cultura, letture, il proprio corpo (includendo moda, 
                  trucco, capelli). Se gli uomini antifascisti erano condannati 
                  per la loro opposizione politica, quindi per la loro particolare 
                  partecipazione da antagonisti nella sfera pubblica imposta dal 
                  regime, l'antifascismo femminile venne accusato spesso non tanto 
                  per la sua pericolosità ideologica, quanto piuttosto 
                  per i modi in cui le donne vivevano la sfera privata, dando 
                  quindi particolare importanza a “l'inquietudine, la ribellione, 
                  la dissimulazione, lo scetticismo e una consapevolezza crescente 
                  dei loro diritti di donne e di cittadine” (De Grazia 1993: 
                  31). Come sostiene Alessandra Gissi, “una donna solita 
                  a condurre un'esistenza non del tutto aderente a modelli imposti 
                  dal fascismo poteva essere ritenuta una sovvertitrice degli 
                  ordinamenti dello Stato” (Gissi 2002: 37)8.
 I ritratti delle donne avverse al regime offerti dal Casellario 
                  Politico Centrale si concentrano infatti sulla loro distanza 
                  rispetto al modello femminile proposto dal Regime, la massaia 
                  rurale, la giovane italiana, la custode del focolare e la fattrice 
                  di italiani (Guerrini 2013: 12-14). Le schede biografiche mettono 
                  in luce diversi elementi: gli aspetti fisiognomici, la condotta 
                  morale e civile, il livello culturale, le dicerie, la situazione 
                  sentimentale e familiare, le letture, l'attività sovversiva. 
                  La descrizione è basata su elementi fortemente discriminanti 
                  a livello di genere. Secondo Martina Guerrini ciò dipende 
                  da chi scriveva detti documenti: burocrati fascisti di genere 
                  maschile:
 Gli uomini preposti alla classificazione e all'allestimento 
                  delle biografie sovversive hanno un posizionamento ben definito: 
                  eterosessisti con forte pregiudizio omofobo, membri della classe 
                  politica dominante, fiduciosi nel ruolo disciplinante della 
                  famiglia autoritaria – non a caso oggetto di continui 
                  rimandi e definizioni da parte di Mussolini– così 
                  come nel ruolo dello Stato, del paternalismo patriarcale e violento 
                  fascista, della funzione pedagogica del Partito (Guerrini 2013: 
                  28).
 Remissiva, sottoposta al suo uomo, ma non pensante Per riprendere la metafora di Nico Berti, vorrei aggiungere 
                  due notizie relative al quadro.Premetto che non tutte le italiane che presero parte alla guerra 
                  di Spagna, poco meno di un centinaio escludendo le spagnole 
                  che acquisirono la nazionalità dopo le nozze con volontari 
                  italiani, sono schedate al CPC, ma solo trentacinque di loro9. 
                  In Spagna ebbero un ruolo attivo, all'inizio combattendo in 
                  prima linea, dopo lo scioglimento delle milizie nelle retrovie, 
                  prestando servizio infermieristico e medico, occupandosi dei 
                  bambini, dell'istruzione, dell'approvvigionamento, della cucina. 
                  Appartengono a ogni classe sociale, con i livelli culturali 
                  più diversi. Spesso andarono in Spagna insieme al proprio 
                  compagno, anche se in alcuni casi la loro partecipazione ha 
                  cause diverse, come nel caso del collettivo di sette donne mandate 
                  dal PCI.
 Ma arriviamo alla cornice, che è quello che in questa 
                  sede mi interessa. La narrazione offerta dalle fonti fasciste 
                  si gioca su due fronti per un certo senso contraddittori10. 
                  Nel primo il narratore non esce dallo schema tipico che vuole 
                  la donna succube, essere inferiore all'uomo. La miliziana è 
                  interpretata come l'amante del repubblicano, pur essendone eventualmente 
                  la moglie; non ha idee proprie, ma va in Spagna imbevuta degli 
                  ideali del proprio uomo o della propria famiglia. La sua militanza 
                  non è basata su convinzioni politiche: è un qualcosa 
                  che viene recepito e assimilato, docilmente. L'autodeterminazione 
                  e la coscienza politica non sono nemmeno prese in considerazione 
                  come possibilità. La donna ritratta, in un certo qual 
                  modo, rientra nei canoni imposti dal Fascismo: è remissiva, 
                  sottomessa al suo uomo, non pensante.
 Maria Piras “serbò regolare condotta morale e politica 
                  fino al 1921, epoca in cui contrasse matrimonio col noto comunista 
                  Polano Luigi. Appena diventata la moglie di costui, la Piras 
                  cominciò a seguirne le direttive politiche, apprendendo 
                  da lui le dottrine comuniste” (ACS-CPC, b. 3997)11, 
                  Ada Grossi “frequenta all'estero la compagnia dei sovversivi, 
                  seguendo l'esempio del padre socialista schedato” (ACS-CPC, 
                  b. 2540), e anche sua madre Maria Olandese “all'estero 
                  frequentava la compagnia dei sovversivi seguendo l'esempio del 
                  marito e dei figli” (ACS-CPC, b. 3583). Di Teresa Noce 
                  si dice che “Nel 1923 conobbe il noto comunista Longo 
                  Luigi di Giuseppe, da Fubine, del quale divenne l'amante e condivise 
                  le idee politiche”, che “Seguì il marito 
                  in Spagna” e che si troverebbe là per “coadiuvare 
                  il marito nelle funzioni di Commissario Politico della Brigata 
                  Internazionale” (ACS-CPC, b. 3553). Camilla Restellini, 
                  già “antifascista e seguace delle idee sovversive 
                  della madre”, “professa idee socialiste, ed è 
                  scaltrissima, ha accompagnato sempre il Bassanesi nelle sue 
                  peregrinazioni all'estero e ha preso attiva parte alla propaganda 
                  sovversiva che lo stesso esplicava sia in Francia, sia nel Belgio 
                  che nella Spagna” (ACS-CPC, b. 4288).
 Rita Montagnana, riconosciuta leader femminile del PCI, venne 
                  iscritta in Rubrica di Frontiera solo come “moglie del 
                  comunista Togliatti, da fermare” (ACS-CPC, b. 3358), e 
                  stupisce il burocrate fascista per il suo abbigliamento elegante, 
                  proprio negli anni in cui Carlalberto Grillenzoni, nell'articolo 
                  “È brutta e sciamannata: sarà di sicuro 
                  prolifica”, rilevava statisticamente che “L'eleganza 
                  nel vestire e, in ogni modo, la cura della propria toilette 
                  influiscono molto sfavorevolmente su la fecondità” 
                  (Meldini 1992: 192).
 Parlavo di contraddizione. Se da una parte abbiamo la donna 
                  mite e docile, dall'altra abbiamo una narrazione che ritrae 
                  una donna spietata, che sovverte il mito della donna madre, 
                  moglie, angelo del focolare, prima confermato. Paolina Rocchetti 
                  è definita “fanatica sovversiva piena di odio verso 
                  il Regime e il Duce” (ACS-CPC, b. 4364), e l'anarchica 
                  Tosca Tantini, in una lettera intercettata spedita alla sorella 
                  del defunto amante Gualandi Bruno, promette addirittura di vendicare 
                  la sua morte (ACS-CPC, b. 5024).
 Per completare questo ritratto antagonista di donna, si aggiungono 
                  non di rado altre caratteristiche non contemplate nel modello 
                  femminile imposto dal Regime: nella sfera privata vediamo che 
                  alla fedeltà si oppone una certa dose di libertinismo, 
                  troppa facilità nel cambiare partner, o piuttosto la 
                  propensione a non essere madre, o a non esserlo in modo esemplare. 
                  Se non sono sposate, le antifasciste spesso vengono definite 
                  “dedite alla prostituzione”, pur non avendolo mai 
                  fatto. La definizione è valida anche per le donne sposate 
                  che hanno seguito un altro uomo: la loro unione è sempre 
                  rimarcata da verbi che ne sottolineano l'illegittimità. 
                  Di Rosa Cremoni si legge: “Sposatasi all'età di 
                  16 anni con un suddito belga, non è rimasta col marito 
                  neppure un anno. Sarebbe donna di facili costumi e, secondo 
                  quanto mi è stato riferito, avrebbe viaggiato in Germania, 
                  Polonia e Svizzera” (ACS-CPC, b. 1527). Maria Lombardi 
                  “non risulta che abbia contratto matrimonio col sovversivo 
                  Lorenzoni Aldo con il quale convive” (ACS-CPC, b. 2819). 
                  Fosca Corsinovi è indicata come “già amante 
                  del noto anarchico Barbieri”, e poi “secondo notizie 
                  fiduciarie [...] convivrebbe con il nominato Nemo o Memmo, già 
                  residente negli S.U. d'America nonché già amante 
                  della pure nota Simonetti Maria di Giovanni” (ACS-CPC, 
                  b. 1489). Giovanna Zanarini “risulta trovarsi attualmente 
                  a Parigi, dove si è unita e fa vita comune col noto pericoloso 
                  comunista fuoriuscito Zanelli Ezio fu Amleto” (ACS-CPC, 
                  b. 5510), Giuditta Zanella “È associata da parecchi 
                  anni al noto anarchico schedato Margarita Ilario, col quale 
                  lotta costantemente per l'ideale anarchico” (ACS-CPC, 
                  b. 5516), mentre Siberia Gilioli “figlia dell'anarchico 
                  Onofrio, e amante dell'anarchico Cavani Renzo, si troverebbe 
                  ora a Port Bou insieme al noto Bruna Efisio, di cui sarebbe 
                  l'amante” (ACS-CPC, b. 2412). Lucia Minon “Prima 
                  di maritarsi veniva indicata quale donna di facili costumi avendo 
                  contratte varie relazioni intime” (ACS-CPC, b. 3304). 
                  Leonetta Mazzini “Viveva maritalmente con un suddito portoghese” 
                  (ACS-CPC, b. 3181), Egle Sani viene definita “di cattiva 
                  moralità, tanto che fu anche scacciata dal tetto coniugale 
                  [...] dedita ai piaceri e alla crapula” (ACS-CPC, b. 3181), 
                  mentre Elettra Pollastrini “ha ammesso di aver vissuto 
                  maritalmente per sette anni con il noto fuoriuscito Marchetti 
                  Virgilio”, ma è comunque “Ritenuta ragazza 
                  poco seria, amante dei balli e dei divertimenti” (ACS-CPC, 
                  b. 4066). Per non parlare di Anna Launaro, che dopo aver convertito 
                  al comunismo il marito, nel 1923 abbandonò tetto coniugale, 
                  coniuge e figlio “[...] per recarsi all'estero con l'amante 
                  Quaglierini Giuseppe (sic) noto anarchico (sic)” (ACS-CPC, 
                  b. 2732), (in realtà si chiamava Vittorio ed era comunista). 
                  Quindi, vediamo una donna che non solo non è docile, 
                  ma che spesso seduce l'uomo, ha una funzione dominante nella 
                  coppia e lo spinge a compiere azioni sovversive: Eugenia Lina 
                  Simonetti, che si dice essere “di dubbia condotta morale 
                  e di sentimenti comunisti”, pare “probabile che 
                  [...] abbia rafforzato nello Schirru l'idea dell'attentato” 
                  (ACS-CPC, b. 4822), mentre Luisa Zapatero: “Viene descritta 
                  come donna di carattere che domina il marito il noto Tibiletti 
                  Luigi” (ACS-CPC, b. 5544).
 È quindi sotto questa veste, come donne “abili 
                  simulatrici”, “squilibrate”, “suggestionabili” 
                  e “nevrotiche”, che partecipano alla politica e 
                  prendono parte alla guerra12. 
                  Maria Bibbi viene descritta per il suo “carattere piuttosto 
                  impulsivo ed arrogante” e per essere una “donna 
                  scaltra, intelligente ed abile” che “non si farebbe 
                  sfuggire alcuna occasione per eventuali azioni ostili al Regime 
                  del quale essa è un'irriducibile nemica” (ACS-CPC, 
                  b. 635), Emma Bronzo viene definita per aver tenuto un “contegno 
                  tipicamente e rigidamente comunista” (ACS-CPC, b. 851). 
                  Un telegramma registra che Virginia Gervasini, “pericolosa 
                  sovversiva, amante pericolosissimo comunista sinistra Di Bartolomeo 
                  Nicola, est partita da Spagna vuolsi diretta Francia et poscia 
                  Regno onde svolgere incarichi natura politica” (ACS-CPC, 
                  b. 2347), Maria Giaconi: “svolse sempre attività 
                  sovversiva, tanto da essere considerata la direttrice di tutte 
                  le attività antitaliane che avevano luogo in detta città” 
                  (ACS-CPC, b. 2378). Emilia Belviso “risulta essere stata 
                  impiegata presso la Delegazione Urss di Genova e sarebbe stata 
                  intermediaria per la Liguria del Soccorso Rosso verso i condannati 
                  politici” (ACS-CPC, b. 478), Giuditta Zanella “Ha 
                  sempre preso parte a manifestazioni sovversive, e fu più 
                  volte arrestata pel suo carattere ribelle” (ACS-CPC, b. 
                  1489) mentre Leonetta Mazzini viene arrestata con l'accusa “di 
                  aver incitato nell'aprile 1937 le milizie rosse ad assaltare 
                  le carceri di Calle Duque Sexto ed uccidere tutti i prigionieri 
                  che vi si trovavano [...], di aver servito di collegamento nelle 
                  predette carceri per denunziare le famiglie dei prigionieri 
                  stessi” (ACS-CPC, b. 3181).
 Letteralmente stigmatizzate La donna viene stigmatizzata dunque perché dimostra 
                  di avere idee politiche, un ruolo all'interno del mondo antifascista, 
                  al pari dei maschi, e perché è colta, sa parlare 
                  durante i meeting, scrive su fogli politici, legge. Se di Fosca 
                  Corsinovi si dice infatti essere “Di sufficiente cultura 
                  e viva intelligenza”, Giuditta Zanella “intelligente 
                  ma di poca cultura”, tuttavia “Fa propaganda fra 
                  la classe operaia femminile, con profitto. Ha preso spesse volte 
                  la parola nei pubblici comizi, ma non è capace di tenere 
                  conferenze. [...] Ha sempre preso parte a manifestazioni sovversive, 
                  e fu più volte arrestata pel suo carattere ribelle”13. 
                  Lucia Minon “È persona di carattere violento, fornita 
                  di scarsa educazione e cultura, abbastanza intelligente. [...] 
                  È dedita ai lavori domestici ma nelle ore libere gradisce 
                  la lettura di romanzi e libri sovversivi”. Dopo una perquisizione 
                  il verbale registra con scrupolo che “Tra le carte e documenti 
                  di nessun interesse politico le si rinvenivano due poesie: una 
                  intitolata “Inno dei socialisti anarchici” e l'altra 
                  che comincia con le parole “Addio Lugano” di carattere 
                  prettamente rivoluzionario anarchico” (ACS-CPC, b. 3304). 
                  Rita Montagnana “professa apertamente idee socialiste 
                  antimilitariste di cui ha fatto attiva propaganda durante la 
                  guerra in tutto il territorio di questa provincia ed in quella 
                  di Alessandria” e inoltre “Ha preso parte al congresso 
                  della III Internazionale Comunista di Mosca” (ACS-CPC, 
                  b. 3358).Il pregiudizio diventa ancora più marcato con Teresa 
                  Noce, di cui si afferma con scherno che: “Le sue capacità 
                  sono alquanto modeste ma suo marito l'ha sempre tenuta a galla”. 
                  “In Spagna ha redatto, per qualche tempo, il giornale 
                  della brigata in lingua italiana, si è atteggiata a donna 
                  eroica e ha fatto da corriere tra il partito comunista in Francia 
                  ed il movimento in Spagna. Dopo l'offensiva in Catalogna, la 
                  Noce si è rifugiata a Parigi con il pretesto che era 
                  ammalata in seguito alle privazioni subite in Spagna”, 
                  “Di mediocre cultura e di discreta intelligenza, di dubbia 
                  condotta morale” (ACS-CPC, b. 3553). Elettra Pollastrini 
                  “si iscrisse in una scuola di Linotipismo istituita dal 
                  comunismo per la preparazione alla propaganda ed al lavoro degli 
                  affiliati al partito”, “ha lasciato l'occupazione 
                  che aveva al Bureau d'Editions [...] ma continua ad esplicare 
                  attività antifascista, specie in questi ultimi tempi, 
                  nei gruppi comunisti femminili italiani”. “Si dimostra 
                  di sentimenti antifascisti, interviene a riunioni ma è 
                  da considerarsi elemento di secondaria importanza non essendo 
                  in grado di svolgere alcuna attività politica” 
                  (ACS-CPC, b. 4066). Leonetta Mazzini, arrestata in Spagna, “sembra 
                  avesse incarichi importanti presso il SRI” (ACS-CPC, b. 
                  3181). Camilla Restellini “esplica sempre attiva propaganda 
                  antifascista, scrivendo anche articoli su giornali socialisti” 
                  (ACS-CPC, b. 4288).
 Lotta antifascista e lotta di genere Aveva ragione Le Goff, non sono documenti innocui. Le antifasciste 
                  sono letteralmente stigmatizzate, primo, per come vivono la 
                  loro sfera privata – sentimenti, cultura, istruzione, 
                  ideologia – e secondo, proprio perché si permettono 
                  di viverne una pubblica, con partecipazione alla politica e 
                  alla guerra. Si potrebbe tentare di giustificare tutto questo 
                  guardando chi stava dietro alle scrivanie, chi redigeva questi 
                  verbali, questi interrogatori, anonimi burocrati, poco abituati 
                  a pensare dal tanto ubbidire, con la mente intorpidita da troppo 
                  ordine rigore e disciplina.Credo però che sarebbe assolutamente ingiusto sollevare 
                  chiunque dalle proprie responsabilità; non fu un uomo 
                  ma un Regime a creare un sistema di umiliazione della donna, 
                  che l'obbligava a rinunciare a ogni tipo di diritto e di libertà. 
                  La lotta che portano avanti queste donne è evidentemente 
                  duplice: una politica, contro il Fascismo, come i loro compagni 
                  uomini, e una di genere, che conducevano da sole, contro gli 
                  uomini, fascisti e purtroppo, a volte, anche antifascisti. Sbaglieremmo 
                  a immaginare un mondo antifascista in cui la donna è 
                  libera di vivere la propria femminilità al di fuori di 
                  canoni prestabiliti e imposti, ieri come oggi, quando i pregiudizi 
                  legati alle donne che si occupano di politica, di cultura o 
                  che lavorano, sono quanto mai attuali e risultano essere un'eredità 
                  contro cui bisogna, ancora, combattere.
  Arianna Fiore 
                  Il saggio è stato presentato in spagnolo a Tétouan 
                  (Marocco) al Colloque international Gouvernance Citoyenneté 
                  et Etat de Droit, svoltosi a Tétouan (Marocco), 8-10 
                  dicembre 2014 ed è stato pubblicato così: La 
                  rappresentazione della volontaria nella Guerra civile spagnola 
                  attraverso gli organi di controllo fascista, in “Revista 
                  Internacional de Culturas & Literaturas”, 2014.Note 
                  Da queste ricerche è nato un saggio, Non avendo 
                    mai preso un fucile tra le mani (Augusto Cantaluppi, Marco 
                    Puppini, Milano, www.aicvas.org, 
                    2014), che nel corso di un anno ha già goduto di una 
                    seconda pubblicazione con i nuovi risultati delle indagini, 
                    tra l'altro ancora in corso. Secondo indagini recenti, ad 
                    oggi ci si riferirebbe a un corpus che vede la partecipazione 
                    di novantatré donne italiane antifasciste nella guerra 
                    di Spagna, a cui bisognerebbe aggiungere quarantanove spagnole 
                    che assunsero la nazionalità italiana per essersi legate 
                    a volontari italiani. Il totale arriverebbe dunque a centoquarantatré. 
                  Ricordiamo tra questi, oltre il Tribunale Speciale per la 
                  Difesa dello Stato, i fascicoli del Casellario Politico Centrale 
                  nell'Archivio Centrale dello Stato (d'ora in avanti ACS-CPC), 
                  la Divisione Polizia Politica, l'OVRA, l'Arma dei Carabinieri, 
                  la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, il Partito 
                  Nazionale Fascista, il Bollettino delle Ricerche, l'iscrizione 
                  in Rubrica di Frontiera.
                  Le donne schedate nel CPC sono 5005: 2.260 sono considerate 
                  antifasciste, 1.605 comuniste (più altre due su cui c'è 
                  dell'incertezza), 499 socialiste, 387 anarchiche (anche in questo 
                  caso c'è un'altra donna sospettata di essere anarchica), 
                  cinquanta repubblicane, venticinque antinazionali, cinque sovversive, 
                  una autonomista, una massona e una definita genericamente sospetta. 
                  È necessario ricordare che non tutte le donne oppositrici 
                  del fascismo vennero schedate nel CPC. Numerose donne che presero 
                  parte alla guerra civile spagnola non hanno una scheda personale. 
                  Molte donne rientrarono tra i nomi schedati dal Bollettino delle 
                  Ricerche e iscritte in Rubrica di Frontiera solo per essere 
                  andate clandestinamente all'estero, in Francia, Belgio e, nel 
                  nostro caso, in Spagna, a combattere o a sostenere la causa 
                  repubblicana.
                  Si veda a questo proposito: http://www.ciusa.it/attachments/article/455/Documentazione%20del%20Coordinamento%20Donne%20dell'A.N.P.I.%20di%20Nuoro.pdf. 
                  Ferdinando Loffredo riprese la suddivisione lombrosiana delle 
                  donne in delinquente, prostituta e donna normale, basandosi 
                  sull'inferiorità del genere dovuta a un cervello meno 
                  pesante, che comporterebbe un'inferiorità, una minore 
                  intelligenza e sensibilità, una maggiore propensione 
                  alla menzogna e alla crudeltà della donna rispetto all'uomo. 
                  Inoltre, avvicinandosi ai precetti della Chiesa, secondo l'ideologo 
                  fascista una sessualità non finalizzata alla procreazione 
                  sarebbe del tutto deprecabile in quanto corrisponderebbe all'istinto 
                  criminale di prostitute, femministe e delinquenti. Il 31.12.1930, 
                  con l'Enciclica Casti connubii Pio XI aveva sostenuto 
                  la santità del matrimonio e la sua finalità procreativa.
                  http://www.vatican.va/holy_father/pius_xi/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19310515_quadragesimo-anno_it.html 
                    (consultato il 3.12.2014). 
                  Nel 1924, sul “Popolo d'Italia” Giuseppe Pochettino 
                  si complimenta con il ministro Gentile per le sue iniziative 
                  sull'educazione della donna: “lodo senza restrizioni il 
                  ministro Gentile, che, istituendo il Liceo femminile, ha creato 
                  quella che definirei la scuola di un sano femminismo, perché 
                  la scuola che veramente prepara la donna quale la natura e la 
                  ragione la vogliono, la donna cioè che, entrando domani 
                  nella società, vi prenderà il suo posto d'onore 
                  senza urti, senza antagonismi, senza rancori perché prenderà 
                  il posto di regina della casa, quello che veramente le compete” 
                  (Meldini 1975: 75).
                  Alessandra Gissi, Un percorso a ritroso: le donne al confino 
                  politico (1926-1943), in “Italia contemporanea”, 
                  n. 226, marzo 2002.
                  Ringrazio Andrea Andrico, Gianpaolo Giordana e Augusto Cantaluppi 
                  per avermi aiutato a reperire il materiale utilizzato nel presente 
                  saggio e per i loro indispensabili consigli.
                  Nel tentativo di fascistizzare la società, il Regime 
                  si avvalse anche di un lessico specifico che ne riflettesse 
                  l'ideologia. Maschile e femminile vennero contrapposti, connotando 
                  il primo i valori positivi, il secondo quelli negativi. La mascolinità 
                  era intesa come forza vitale, e quindi tutto quello che doveva 
                  essere elogiato diventava “maschio”: troviamo una 
                  “voce maschia”, un “temperamento maschio”, 
                  “la forza maschia”, “una maschia espressione”, 
                  “il maschio vigore”, un “maschio cameratismo”, 
                  “la maschia speranza” e “la maschia prole”. 
                  Anche la natura assume connotati maschili: “Com'è 
                  virile il cielo, oggi!”, pensava il protagonista de Forse 
                  che sì, forse che no di D'Annunzio. Mussolini è 
                  la summa della virilità: è “l'Uomo più 
                  grande che l'Italia ha”, “Mai nessuno lo vide piangere”, 
                  “Egli non conosce stanchezza”, “un Uomo così 
                  non s'era mai visto”. Dal lato opposto, abbiamo l'antitesi 
                  della forza e della virilità: gli avversari, gli antifascisti, 
                  che sono definiti “fiacchi”, “intorpiditi”, 
                  “occhialuti”, “pupattoli”, “infrolliti”, 
                  “meschini”, “biechi”, “depravati”, 
                  “degenerati” ma, soprattutto, “femminette”. 
                  A proposito del lessico del fascismo si veda il saggio di Giovanni 
                  Lazzari Le parole del Fascismo (Roma, Argileto, 1975), 
                  la prima ricerca organica sul linguaggio del ventennio, in cui 
                  la lingua è intesa come specchio della realtà, 
                  in corrispondenza con l'ideologia.
                  La documentazione a cui mi riferisco è stata reperita 
                  presso il Casellario Politico Centrale dell'Archivio Centrale 
                  dello Stato di Roma (ACS-CPC). Nell'indicazione bibliografica 
                  viene incluso anche il riferimento alla specifica busta (b.) 
                  relativa alla donna sorvegliata.
                  Il pregiudizio sulla donna parte da lontano. Già nel 
                  1487, nel Malleus maleficarum, le donne erano descritte 
                  come persone “di debole intelligenza, ciarliere, vendicative, 
                  invidiose, colleriche, volubili, smemorate, mentitrici, dai 
                  desideri insaziabili”, caratteristiche che ricordano da 
                  vicino le descrizioni delle antifasciste italiane in Spagna 
                  (Verdiglione 2006: 13).
                  ACS-CPC, b.
                   
 
                   
                    | Per 
                        saperne di più  Berti, 
                        G.N., “Note introduttive”, AAVV., Voci 
                        di compagni, schede di questura, Milano, Quaderni 
                        del Centro studi libertari Archivio Pinelli, 2002.De Grazia, V., Le donne nel regime fascista, Marsilio, 
                        Venezia, 1993.
 De Luna, G., Donne in oggetto. L'antifascismo nella 
                        società italiana, 1922-1939, Torino, Bollati 
                        Borighieri, 1995.
 Cantaluppi, A., Puppini, M., Non avendo mai preso un 
                        fucile tra le mani, Milano, Aicvas, 2014
 Gissi, A., “Un percorso a ritroso: le donne al confino 
                        politico (1926-1943)”, Italia contemporanea, 
                        226, (marzo 2002), pp. 31-60.
 Guerrini, M., Donne contro, Milano, Zero in Condotta, 
                        2013
 Lazzari, G., Le parole del Fascismo, Roma, Argileto 
                        Editori, 1975
 Loffredo, F., Politica della Famiglia, Milano, 
                        Valentino Bompiani, 1938.
 Mazza, G., Maternità e infanzia in Regime fascista, 
                        Milano, Edizioni Licam, 1934.
 Meldini, P., Sposa e madre esemplare, Rimini-Firenze, 
                        Guaraldi Editore, 1975.
 Ruinas, S., Scrittrici e scribacchine d'oggi, Roma, 
                        Accademia, 1930.
 Verdiglione, A., Il Martello delle streghe. La sessualità 
                        femminile nel transfert degli inquisitori, Milano, 
                        Spirali, 2006.
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