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Cinema/
Un film, anzi due, dalle parti di dio

Se il dio dei cristiani esiste e se assomiglia almeno un pochino a quello che la maggioranza dei “suoi” rappresentanti in Terra ci ha mostrato in secoli di orrori e oppressioni, certamente è sadico, vigliacco, meschino come quello del film del belga Jaco Van Dormael, Dio esiste e vive a Bruxelles. Quel “dio” potrebbe abitare in molti altri posti del “suo” Occidente – preferisco chiamarlo Uccidente per ragioni che spero saranno chiare a chi sta leggendo – ma Bruxelles è una città particolarmente adatta a lui. Perché la capitale del Belgio è costruita (come altre metropoli, ma più di altre) sulle ricchezze rubate e sul sangue degli sfruttati e dei saccheggiati. I congolesi sono morti a milioni per costruire i bei palazzi di Bruxelles dove oggi le istituzioni europee continuano a pianificare il saccheggio delle ricchezze altrui, nonostante occasionali attentati dei fascisti a marchio Isis. Le infamie di re Leopoldo e dei suoi tanti eredi, seguaci, complici non le troverete in questo film ma forse il titolo – «Dio esiste e vive a Bruxelles» (in originale era Le Tout Nouveau Testament) – non suona solo come sberleffo, ma come una consapevolezza storica magari timida.
Nel film un orribile dio, che si diverte a inventare regole crudeli per angosciare le sue creature, viene messo in scacco dalla figlia Ea, la quale entra nell'onnipotente computer paterno e rivela – via sms, il massimo della “modernità” – agli esseri umani la data esatta della loro morte, il che ovviamente provoca un bel po' di casini. Fra voi qualcuna/o penserà: ma il dio dei cristiani non aveva anche un “maschio”? Sapremo che quel figlio era fuggito pure lui da casa, forse per liberarsi del padre, di certo per conoscere meglio gli umani, e poi – questa storia è abbondantemente raccontata, travisata e strumentalizzata – morire per loro, ma lasciando incautamente 12 apostoli a fare nuovi danni.

Nei momenti migliori – molti – il film sembra diretto da un Luis Bunuel (anarchico e spregiatore della morale borghese) che abbia preso una quantità esagerata di acido lisergico. Quando Ea evade dall'oblò della lavatrice, ad esempio. O recluta apostoli atipici che più strambi non sembra possibile. Dio preso a botte. L'incontro di Catherine Deneuve con il gorilla. Anche il finale ha punte da peyote con l'ascesa della moglie, fino ad allora sciatta e oppressa, di quel dio ormai ex.
Dal punto di vista estetico ci sono almeno due sequenze – le quali volendo c'entrano pochino con il film – indimenticabili, una gioia per gli occhi; a ricordarci che il mondo è già un effetto speciale, anche senza trucchi e tecnologie a go-go.
C'è chi ha criticato il film per non portare avanti con coerenza la sua “pazzia”. A me pare già sorprendente quel che è uscito. Dopo 10 minuti mi chiedevo: «ce la farà 'sto regista a volare così alto?». La mia risposta è sì: per 70/80 minuti spiazza, fa spanciare dalle risate, costringe a pensare. Se volete di più da un solo film francamente penso che siate incontentabili.
Troppi ritratti? Qua e là frammentato? Musica “facile”? Può darsi, ma chiedo a chi fa queste critiche: voi normalmente che film vedete? Solo quei 200 (o forse 50) capolavori nella storia del cinema oppure qualcosa di ciò che esce nelle sale? Di film nuovi io ne vedo abbastanza: di così belli ne conto forse un paio all'anno. E se per caso vi state chiedendo qual è un altro così bello, uscito nel 2015 ve lo posso dire ed è diversissimo da questo: Timbuktu del regista mauritano Abderrahmane Sissako che (ovviamente?) è subito scomparso dalle sale.
Da quale cilindro esce Jaco Van Dormael? Non so bene che dirvi: io ho visto un paio dei suoi film precedenti e mi erano parsi interessanti ma con tanti limiti. Per esempio L'ottavo giorno era sdolcinato; qui abbonda il peperoncino che si sa... meglio fa: insomma non metterò Dio esiste e vive a Bruxelles fra i 100 migliori film della storia del cinema (bah, le classifiche) ma appena posso lo rivedo; e se voi lo perdete vi fate del male e meritate un cinepanettone.

C'è un altro film, uscito da poco, dalle parti di dio o meglio di chi se ne fa scudo: è assai efficace, politicamente e filmicamente, nonché premiato con “sorprendenti” Oscar. Sto ovviamente parlando di Spotlight: come dice il mio critico cinematografico preferito (mi sa che non lo conoscete, si chiama Francesco Masala) «degno erede del cinema “civile” degli anni '70». Gli rubo un paio di frasi: «la piccola redazione di Spotlight (il titolo italiano non ha molto senso) riesce nell'impresa più difficile, un po' come nella Lettera rubata di Edgar Allan Poe (è lì davanti, ma nessuno la vede) o come in un gioco della Settimana Enigmistica, unire i punti che esistono ma nessuno ci aveva pensato prima. Il disegno che appare è mostruoso».
Saprete che si tratta di preti pedofili e della rete che li copriva, nonché della “brava gente” che tutto insabbiava. Grande scandalo negli Usa, ma in Vaticano acque tranquille: e il cardinale Law – vedi titoli di coda – vive a Roma, non si capisce se punito o promosso e si gode la sua santa pensione. Dal punto di vista giornalistico-politico ci si aspetterebbe che in Italia qualcuno ponesse la domanda: da noi sono molti i preti pedofili? Anche qui c'è una rete che li protegge? Qualche reporter poteva partire da qui; http://www.askanews.it/cronaca/il-caso-spotlight-in-italia-le-vittime-200-casi-insabbiati_711749778.htm e vedere cosa c'era di vero in questa mappa degli abusi sessuali commessi in Italia dai membri del clero, «un raggruppamento di tutti i casi noti, quelli giunti al 3° grado di giudizio, quelli attualmente in corso e quelli di cui non si è più saputo nulla». Mi gioco un caffè contro una torta che in Italia una inchiesta i grandi media non la fanno. Il caffè lo prendo senza zucchero, grazie.

Daniele Barbieri

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