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Referendum mania

di Andrea Papi


I comitati che promuovono le consultazioni referendarie si pongono l'obiettivo di dare visibilità ai problemi sociali. Ma dietro le buone intenzioni c'è una profonda ingenuità politica.


Una nuova stagione di referendum. Ogni tanto tornano a ondate. Anche se si svolgeranno in tempi diversi, questa volta si mescolano il referendum costituzionale con voto confermativo sul ddl Boschi, indetto per ottobre 2016, e l'insieme chiamato “referendum sociali”, su scuola, trivelle, inceneritori e per una petizione a difesa dell'acqua come bene pubblico, su cui si stanno raccogliendo le firme. La campagna di raccolta è partita il 9 e il 10 aprile, quasi in coincidenza con il referendum «anti-trivelle» svoltosi il 17 aprile, e si chiuderà il 9 luglio. Dovranno passare al vaglio della corte costituzionale, poi, una volta confermati, verranno fissate le date.
Quello confermativo sulla riforma costituzionale è praticamente un atto dovuto perché, secondo costituzione, la cosiddetta riforma è stata votata con una maggioranza inferiore ai due terzi del parlamento. Renzi stesso, complice il ministro Boschi, lo ha trasformato in un plebiscito a favore o contro il suo governo, spostando l'attenzione dai contenuti costituzionali, come dovrebbe essere secondo logica, a quelli della lotta politica tra le forze in campo dell'oggi. Già questo ci dice che non può interessarci perché inerente esclusivamente a una lotta interna al potere politico vigente. Gli anarchici, è noto, sono contrari all'esistenza di governi centrali e centralismi nazionali.
I “referendum sociali” invece, proposti quasi come blocco antagonista alla filosofia governativa in auge, rappresentano senz'altro un lodevole tentativo di ravvivare il prorompente squallore della politica di casa nostra. I comitati che li promuovono si pongono l'ambizioso obiettivo di dare visibilità, per pervenire a soluzioni sensate, a problemi sociali di rilevanza, attraverso una mobilitazione che sperano il più possibile incisiva. In questo sono ammirabili. Ma dietro le nobili intenzioni mi sembra ci sia una certa ingenuità politica e, temo, un po' di mancanza di approfondimento dei meccanismi istituzionali. È importante cominciare a discuterne.

Ingannevole e ambiguo

Per prima cosa chiariamo una questione di merito che ritengo fondamentale. L'istituto del referendum, per come è concepito e impostato in Italia, è tendenzialmente truffaldino, dal punto di vista politico può essere addirittura considerato una trappola. Innanzitutto è ammesso solo se abrogativo. Si può infatti indire esclusivamente per abrogare una legge esistente, o parti di essa. In Svizzera per esempio, tradizionale “madre putativa” delle pratiche referendarie, si può indire anche per proporre leggi non in vigore che però si ritengono necessarie.
Proprio su questo punto prende forma una trappola. Diciamo benevolmente che alla base dell'impostazione c'è un'ambiguità informativa. Chi partecipa al voto segnando sulla scheda una croce sul sì o sul no a seconda delle proprie convinzioni, pensa di farlo per dare assenso o dissenso sui contenuti propagandati. Cioè di votare, per esempio, contro o pro l'aborto, contro o pro gli inceneritori, contro o pro qualsiasi altra questione in ballo. Purtroppo non è così, perché dal punto di vista giuridico quel consenso o dissenso sono riferiti alla formulazione della legge più che al suo contenuto. Così, ciò che verrà abrogato o confermato non sarà tanto l'aborto, l'inceneritore o quant'altro, bensì la forma con cui si esprime il testo che definisce la legge in questione. Ciò che conta per la legge è l'elaborato per come è scritto, compresa la punteggiatura.
Ne consegue che anche dopo un'abrogazione referendaria, se per caso viene cambiata qualche virgola e spostata qualche parola, dando quindi una forma diversa alla stesura testuale della legge abrogata, essa può di fatto rimanere perché è diversa la formulazione con cui viene presentata. Qualcosa di simile in pratica è successo con il referendum sul finanziamento ai partiti che, pur abrogato per volontà popolare espressa, è tranquillamente rimasto sotto altra forma. Ultimo in ordine di tempo il referendum sull'acqua, che aveva dato indicazioni precise sulla volontà popolare dell'acqua come bene pubblico, ma che, cambiando le formulazioni testuali è poi stato aggirato. Tanto è vero che uno dei quesiti dei “referendum sociali” riguarda proprio questo argomento, segno che il primo, pur vincente, è stato bellamente ignorato dai politicanti istituzionali.

Qui sta l'inganno

Un altro aspetto fondamentale è che, mentre la gran parte di chi partecipa al voto è convinta di contribuire direttamente a una decisione secondo la maggioranza che verrà espressa, nei fatti viene ingannata. Per prima cosa, a differenza delle elezioni per i rappresentanti politici, per esser considerati validi i referendum devono raggiungere il quorum del 50% più uno di partecipazione degli aventi diritto al voto. Secondo, non è il voto espresso in maggioranza che determina direttamente una decisione. Non a caso si chiama “consultazione referendaria”, cioè a dire che si è consultati attraverso il voto per dare un'idea di cosa fare a chi poi effettivamente dovrà decidere, il parlamento attraverso i suoi rituali e le sue procedure. Siamo quindi di fatto solo consultati, non chiamati a partecipare a un livello decisionale su singole questioni. Non si tratta perciò di democrazia diretta, come troppo spesso vien contrabbandato, non so se per malafede o per ignoranza, la quale richiederebbe invece che le decisioni non venissero filtrate da alcun medium né strutturale né formale.
Altro aspetto particolarmente rilevante è che l'ammissibilità di un quesito referendario è sottoposta al vaglio della giurisprudenza della Corte Costituzionale, la quale sistematicamente pone vincoli, paletti ed eccezioni che alla fine ne riducono la portata, rendendolo facilmente marginale. Pure interventi ad hoc del parlamento e del governo in carica possono rendere nulle parti di esso e preventivamente condizionarne in modo pesante rilevanza e prospettive.
Questi aspetti rappresentano un insieme che ne fanno una gabbia imbrigliante, capace d'impedire la vera libera espressione di chi va a votare avendo l'intenzione e la speranza di partecipare a qualcosa di autenticamente democratico, sentendosi parte di una decisione collettiva. Purtroppo, come abbiamo visto, non è proprio così. Anzi, l'intero meccanismo è concepito appositamente per non permettere un'autentica partecipazione popolare e dare ampio, se non esclusivo, spazio alla azione istituzionale. Per l'ennesima volta abbiamo che il titolare costituzionale della sovranità è il popolo, mentre le procedure applicative la impediscono. Qui sta l'inganno, qui risiede la trappola.

Lotte imbrigliate

Un primo ragionamento s'impone. Se lo si usa al fine di dare avvio a una lotta politica ad ampio raggio, come stanno proponendo sostanzialmente i promotori del blocco dei “referendum sociali”, non si fa altro che riconoscere la validità dello strumento e affidarsi alla legittimità del suo esito per dichiarare chi ha torto o ragione. Già questo è un grosso limite. Si accetta d'imbrigliare una lotta all'interno di maglie istituzionali molto strette, studiate apposta per limitare al massimo la partecipazione e le espressioni popolari dal basso. Se il risultato di voto si rivolterà contro, com'è altamente probabile dati gli esiti avvilenti degli ultimi referendum, con gran difficoltà si potrà poi propagandare che un risultato c'è comunque stato seppur perdente nei grandi numeri, pensando che potrebbe magari rappresentare una buona base di partenza per un'ulteriore mobilitazione. Sarebbe un modo fiacco e poco consistente di affrontare le questioni che stanno seriamente a cuore.
Quello che non capisco è come mai i “lottatori referendumisti”, prima di continuare a sciorinare ammassi di referendum che, una volta consumati, cadranno nel dimenticatoio della storia senza aver ottenuto alcun risultato serio e credibile, non indicono una lotta seria ed efficace per cambiare la legislazione dell'istituto referendario. Dovrebbero impostarla in modo tale che possa poi essere effettivamente usato come strumento per permettere una vera partecipazione decisionale popolare. Sarebbe un primo passo effettivo che permetterebbe alle persone e agli individui di incidere in qualche modo su eventuali decisioni di carattere generale che condizionano la vita di tutti noi.
Lasciando semplicemente le cose come stanno, con l'imbrigliamento truffaldino, si chiama magari alla mobilitazione per cose davvero giuste e interessanti, per annullarne però ogni possibilità d'intervento, dal momento che il vero scopo attuale è quello di castrare ogni possibilità d'intervenire dal basso.

Andrea Papi
www.libertandreapapi.it