Rivista Anarchica Online


tatuaggi

I nostri principi sulla pelle

testo e illustrazioni di Oliviero “Olli” Venturini


Quando abbiamo ricevuto questa lettera, lunghissima, di un tatuatore “comunista anarchico”, a proposito dello scritto di Gaia Raimondi su “A” 402 (novembre), abbiamo pensato di proporre all'autore di metterla, ben accorciata, appunto tra le lettere. Quando poi l'abbiamo esaminato, ci è parso un contributo decisamente interessante e lo pubblichiamo integralmente. Il dibattito è aperto, anche ai non tatuatori.
E ai non tatuati (come noi di “A”).


Salve a tutti/e compagni e compagne di A, volevo ringraziarvi e complimentarmi per lo splendido articolo sui tatuaggi anarchici apparso sul numero 402 della rivista.
La ragione per cui vi scrivo è che l'argomento che avete trattato è oggetto di una mia ricerca personale. Negli ultimi anni, nel mondo dei tatuaggi, che attrae sempre più gente di ogni estrazione sociale, c'è stata una riscoperta del tatuaggio tradizionale.
Sulle riviste specializzate è stato scritto molto e possiamo trovare articoli sul tatuaggio: dei marinai, quello militare, criminale, religioso, nobiliare, delle prostitute, gli artisti circensi, la camorra, gli omosessuali, legione straniera. Ma fino ad ora, nessuno ha svolto una ricerca approfondita su un genere di tatuaggio, che ritengo sia stato un fenomeno importante nella storia del tatuaggio tradizionale europeo: quello di appartenenza politica del proletariato.
Sono un tatuatore comunista anarchico della provincia di Rimini, ho 42 anni ed il primo tatuaggio me lo sono fatto a 15 anni sui banchi di scuola con un compasso: un'A cerchiata. Da 20 anni faccio questo mestiere e siccome l'ideale ci guida nelle nostre scelte nella vita reale, anche sul lavoro implica delle conseguenze. Ad esempio, il mio rifiuto di eseguire tatuaggi di destra, ha spinto un gruppo di Forza Nuova a compiere delle intimidazioni (ronde in macchina davanti allo studio, svastiche sulla cassetta delle poste). Per fortuna, all'epoca, lo studio era trafficato da punks, redskins, militanti dei centri sociali e da tutta una serie di individui estranei alla politica, ma poco raccomandabili. Ho saputo anni dopo, da un “pentito” di Forza Nuova, che un giorno, durante una di queste ronde, mi videro fuori dallo studio, ma siccome ero con altre persone, decisero di non agire. Potete anche immaginare che ho tatuato decine di compagni ed antagonisti di ogni tendenza. Qui entro nel vivo dell'argomento che mi preme trattare: la storia del tatuaggio anarchico e politico della classe operaia in generale.
La simbologia del tatuaggio contemporaneo, a parte il messaggio che vuole trasmettere, non ha niente a che fare con quello tradizionale perché prende ispirazione dal punk e da tutto il bagaglio culturale della sinistra post '68, con slogan, volti del Che, A cerchiata, simboli anti fa, ecc., mentre quello tradizionale non è stato tramandato, saltando diverse generazioni.
Questo mi ha spinto, da due anni a questa parte, ad un'estenuante ricerca di materiale, per cercare di mettere assieme i pezzi e riportare alla luce una pratica che in Europa era molto diffusa fino all'avvento del nazismo (più avanti vedremo perché).
La cosa più difficile da reperire è il materiale fotografico, fino ad ora, l'immagine più interessante è quella che ci arriva da Favignana, che ritrae un anarchico a torso nudo, con il petto decorato in questo modo: W.L.R.S.A (Viva la Rivoluzione Sociale Anarchica), una fiaccola ed un'ascia incrociate con sopra il sol dell'avvenire e sull'avambraccio sinistro, il nome Caserio. Potete immaginare la mia gioia quando ho letto sul blog “Oltre la Pelle”, l'articolo sugli internati di Favignana. Per la prima volta, potevo leggere cosa si tatuavano i nostri vecchi compagni, qui in Romagna, come in Toscana e nelle Marche: le iniziali W.A (Viva l'Anarchia), W.L.R.S (Viva la Rivoluzione Sociale), il guerriero con pugnale alzato, elmo e gambali, capeggiato dalla scritta Viva l'Anarchia; si tratta probabilmente di Spartaco, una figura cosi stimata dai militanti dell'epoca, che in molti decisero di omaggiarlo, dando ai loro figli lo stesso nome.

Il divieto da parte della Chiesa cattolica

Un'altra preziosa testimonianza l'ho trovata sul sito di Radio Maremma Rossa, che riporta la memoria di Lelio Iacomelli. Ve ne riporto un estratto: il padre si chiama Alfredo ed è un anarchico poverissimo che fa lo straccivendolo. Lelio nasce nel 1903 a Ravi e comincia a lavorare appena terminato le elementari. Attorno ai 15 anni si avvicina agli anarchici di Gavoranno e Scarlino, e comincia a frequentare, i circoli Germinal e Pietro Gori di Grossetto. Nel Biennio Rosso partecipa alle manifestazioni proletarie di protesta, che hanno luogo in Maremma, e si fa tatuare sull'avambraccio sinistro una bomba con miccia, circondata dalla scritta “W la Liberta e l'Anarchia”, ed una stella con falce e martello. Iscrittosi alla gioventù comunista, ne uscirà poi insieme ad altri compagni, per tornare nel movimento anarchico. Uno di questi, Soldati Otello, farà questa dichiarazione al segretario dell'organizzazione: “noi diamo le dimissioni dalla federazione giovanile comunista, perché abbiamo fatto un passo in avanti, siamo diventati anarchici”.
Il tatuaggio della Falce e Martello, lo ritroviamo anche sul libro “Ndrangheta Eversiva”, dove spiega che in molti comuni della fascia ionica, i mafiosi che tornavano dal confino, imposto dal regime fascista, portavano tra i vari tatuaggi, anche una falce e martello. Erano stati i confinati politici di area social comunista ad indottrinarli. I mafiosi, come gli oppositori del regime, s'erano infatti ritrovati a vivere gomito a gomito lontani dalle terre d'origine.
Ma quanto è antico il nostro tatuaggio tradizionale? Mi sono posto questa domanda. Nel 786 d.c . il tatuaggio fu proibito dall'istituzione più reazionaria che conosciamo, la chiesa, con il concilio ecumenico di Papa Adriano I. Nonostante il veto papale, due categorie di tatuaggi resistettero e sopravvissero in clandestinità: il tatuaggio dei pellegrini, praticato dai frati e quello degli artigiani, che quasi in tutta Europa, portavano avanti la tradizione di tatuarsi il simbolo del loro mestiere.
Dovranno trascorrere quasi mille anni, perché l'Europa assista ad una rinascita del tatuaggio. L'evento significativo fu la scoperta di Tahiti, da parte di James Cook, nel 1769. Descritta da lui come un “paradiso terrestre”, abitato da esseri liberi e incontaminati. Philibert Commerson, membro di una spedizione che approdò sull'isola pochi anni dopo, scrisse: “quell'isola mi parve tale che le attribuì subito il nome di Utopia, come Thomas More alla sua repubblica ideale. Il nome che le destinai, si addiceva ad un paese, forse l'unico sulla terra, in cui gli uomini vivevano senza vizi, senza pregiudizi e senza discordie interne.” Le notizie sul paradiso terrestre furono usate dall'illuminismo, per criticare l'Europa assolutistica. Tahiti rappresentava un altro mondo possibile ed il tatuaggio apparve agli europei come la scrittura di tale mondo. A Tahiti, non solo si erano fatti tatuare gli equipaggi e gli ufficiali, ma il capitano Cook ne aveva esportato il termine Ta-Tau e portò con se Omai, il primo indigeno tatuato, esposto in Europa, suscitando interesse e ammirazione. Di li in avanti, il tatuaggio tornerà a diffondersi nel vecchio continente.
Se abbiamo visto che durante il proibizionismo, per una delle due categorie di tatuaggi, centrale è il tema del lavoro, per il tatuaggio rivoluzionario vero e proprio, si dovrà aspettare una vera e propria rivoluzione: quella francese. Anche qui reperire informazioni è molto dura, ma si sa che in tanti si fecero tatuare il cappello frigio con i motti della rivoluzione. L'unica testimonianza che ho raccolto, sembra frutto di una barzelletta antimonarchica e si tratta del misterioso tatuaggio di Jean Bernadotte, maresciallo francese, veterano della rivoluzione, incoronato re di Svezia nel 1818.
Su Wikipedia è riportato l'aneddoto (mai confermato) che durante il suo regno non abbia mai permesso ad alcun medico di esaminargli il petto. Il mistero svanì con la sua morte, quando in occasione della toelettatura funebre fu scoperto un tatuaggio: “morte ai re”. Quest'aneddoto è stato inserito in alcuni testi di storia, con l'unica differenza che alla scritta “morte ai re”, seguiva un “viva la repubblica”.
Si possono trovare anche versioni differenti, come quella fornita dal dizionario del tatuaggio, di Luisa Gnecchi Ruscone: qui il medico che dovette eseguire un salasso, scoprì sulle braccia una serie di segni, tra questi vi era un berretto frigio ed il motto “libertè, egalitè, fraternitè, morte ai re”.
C'è chi sostiene che il tatuaggio sia invenzione di un'opera teatrale presentata a Parigi nel 1833, che metteva in scena il dialogo tra il monarca e l'ex granatiere che lo aveva marchiato con polvere da sparo.
Non so dirvi se la verità stia nel mezzo o altrove. Non è così assurdo che Barnadotte avesse un tatuaggio di questo tipo, se consideriamo che egli non era di sangue nobile, ma figlio di un'avvocato, e che durante la rivoluzione aderì al club dei Giacobini.
Il dato interessante ai fini della mia ricerca, è che se qualcuno abbia potuto speculare sull'esistenza o meno di questo tatuaggio, lo ha potuto fare, in quanto marchiarsi era pratica diffusa tra i rivoluzionari.
Se la rivoluzione francese segna l'inizio di questo fenomeno, nella seconda metà del '800 si verificò un boom del tatuaggio paragonabile a quello odierno. Si suppone che circa il 15% della popolazione europea fosse tatuata. La percentuale più alta era costituita dal proletariato, ed agli artigiani si aggiunsero i braccianti e gli operai. La febbre del tatuaggio contagiò categorie di persone socialmente e culturalmente molto distanti tra loro, dai militari alle prostitute, dall'aristocrazia ai galeotti, risparmiando invece la borghesia, che ebbe sempre nei confronti del tatuaggio, un atteggiamento di netto rifiuto.
Il periodo che va dalla seconda metà dell'800 ai primi decenni del '900, dove abbiamo visto che una folta minoranza di lavoratori era tatuata, corrisponde al periodo nel quale le masse operaie iniziano ad emanciparsi e ad organizzarsi in movimenti di massa. Molti di loro conosceranno anche le carceri o il confino dove incontreranno altre categorie di tatuati. Tra la popolazione carceraria dell'epoca, oltre alle scritte anarchiche e garibaldine di Favignana, ho trovato queste: “ne dio, ne padrone”, “morte agli sfruttatori”, “senza patria”, “vittima del militarismo” ed una tomba con scritto “qui troverò l'uguaglianza”.
Questo ritengo sia il periodo di massima diffusione del tatuaggio che ci riguarda e come vi ho anticipato ebbe il suo epilogo con l'avvento del nazismo. Nella Germania di allora, chi si tatuava apparteneva con l'esclusione di pochi aristocratici, alla classe operaia. I soggetti più comuni dei loro tatuaggi erano quelli classici d'amore, dei marinai, quelli legati alla professione e quelli politici di tipo comunista. Per questo motivo, i tatuatori accusati di essere sovversivi, furono tra i primi deportati in campi di concentramento. Vennero imprigionati alcuni tatuatori famosi come Willy Blumberg di Kiel che mori durante la prigionia, Hans Kuchenbecker di Emden e Albert Heinze di Berlino. Soltanto ad Amburgo, che era allora il porto principale di comunicazione con gli Stati Uniti, fu concesso a Warlich di continuare a tatuare. Warlich non era nazista, probabilmente gli fu concesso di lavorare perché Amburgo era piena di marinai americani e il regime nazista non voleva mostrare all'estero la sua immagine repressiva.

Quel numero maledetto tatuato nei lager

Parlare del tatuaggio in Germania, ci dà l'opportunità di elencare alcuni fatti che servono a ricostruire una memoria storica, riportando alcune delle atrocità commesse nei campi di sterminio, che hanno tristemente a che fare con i tatuaggi: la pratica di marchiare gli ebrei con un numero sull'avambraccio, come segno di riconoscimento, ma anche di spregio, o la macabra moda di uccidere i prigionieri con tatuaggi di buona fattura e conciarne la pelle per realizzare lampade, borsette ed altri oggetti, che ricordano tanto le teste maori tatuate, vittime dell'imperialismo coloniale che adornavano i salotti europei, fenomeno che ha costretto il popolo maori ad interrompere per un lungo periodo la pratica del tatuaggio facciale.
Ma torniamo alla Germania, l'idea di quanto fosse diffuso il tatuaggio fra la classe operaia tedesca, ce la fornisce Herbert Hoffman, tatuatore di Amburgo, classe 1919, che ho avuto il piacere di incontrare in un paio di occasioni. Nel 2004, cinque anni prima della sua morte, pubblica un libro fotografico di ritratti (quasi tutti di lavoratori, tatuati tra 1878 e 1952) Bilderbuchmenschen. Un documento straordinario che ci mostra decine di lavoratori di ogni categoria, alcuni con il classico cappello degli spartachisti, fotografati con i loro tatuaggi e con a fianco una breve storia della loro vita.
Alcuni sopravvissuti all'orrore e alla barbarie dei campi di concentramento, portavano sulla loro pelle tatuaggi inquietanti, come Alfons Devinast di Mainz, classe 1892, militante comunista, che portava sul petto un'enorme tatuaggio raffigurante un antro oscuro con un ingresso fatto di mattoni, dove all'interno erano ammassati una miriade di teschi. Ma tatuaggi del genere sono la minima parte, il grosso è costituito da tutto il catalogo del tatuaggio tradizionale europeo, ed anche qua scovare immagini di tatuaggi politici è arduo. Un motivo è che le foto del periodo che interessano noi spesso mostrano tatuaggi che sono diventati delle macchie informi, delle figure illeggibili.
Gli unici che hanno attirato la mia attenzione sono quelli di una coppia tedesca di anziani coniugi, completamente inchiostrati, che hanno rispettivamente: lei la scritta “libertè”, centrata sul petto, alla base del collo e lui il volto di Garibaldi, sul pettorale sinistro. Come abbiamo visto, fra gli internati di Favignana, il tatuaggio garibaldino era molto popolare. All'epoca, l'immagine dell'eroe dei due mondi era paragonabile alla figura del Chè ai giorni nostri (non a caso, il soggetto più tatuato tra i militanti di sinistra). Celebrato con una miriade di quadri, cartoline e opuscoli con l'immagine di Garibaldi e gli inni delle camice rosse, giravano ovunque. Divenne così oggetto di un vero e proprio culto, tra quelle masse diseredate che vedevano in lui un santo protettore, l'eroe a cavallo pronto ad intervenire ovunque vi sia un sopruso. Un soggetto perfetto da incidere sulla pelle!
Un altro simbolo piuttosto ricorrente fra i lavoratori immortalati da Hoffman, è un tradizionale arrivato ai giorni nostri e lo si può ancora trovare sui cataloghi di disegni nei Tattoo Shop, si tratta delle due mani che si stringono, spesso sormontate da un sole che sorge. Le mani rappresentano ovunque il simbolo delle antiche società operaie di mutuo soccorso, ma in Germania le troviamo anche sulla bandiera della lega Spartachista del 1914 ed il sole è il sol dell'avvenire.
A proposito di tatuaggi che ancora oggi si possono trovare nei cataloghi, ne esiste uno tradizionale americano che noi anarchici conosciamo molto bene: il gatto nero arruffato, simbolo dell'anarcosindacalismo americano. Chiudiamo la carrellata dei tatuaggi interessanti trovati sul libro, con due coppie di martelli incrociati, una esibita da Gerhar Meyer, muratore di Dusseldorf, classe 1891, mentre gli altri due martelli, sormontati da un sole che sorge, sono sul polso di un anonimo che Hoffman ritrae a fianco ad Harry Hirsch, anch'egli tatuato, portuale di Amburgo con origini ebraiche, fu costretto a cambiare nome per fuggire alle persecuzioni, verrà arrestato nel '43 dalla Gestapo, in seguito ad una soffiata.
Purtroppo, i due martelli incrociati sono oggi spesso esibiti dal movimento naziskin. La cultura skinhead nasce alla fine degli anni '60, fra i giovani proletari inglesi e ne fanno parte anche figli di immigrati giamaicani. Non ha alcuna connotazione politica, solo nei primi anni '80 il movimento si divide in rossi e neri. Non so dire se gli skins abbiano preso i due martelli dai simboli della classe operaia di cui facevano parte o dallo stemma del Westham United, di cui erano tifosi, ma per quello che riguarda i due lavoratori tedeschi, tenendo conto che si sono tatuati molto prima dell'avvento del nazismo, si tratta nel primo caso di un tatuaggio di mestiere, visto che a portarlo era un muratore; ed il secondo potrebbe essere una variante della falce e martello, dato che è sormontato dal sole che sorge.
Herbert Hoffman, in un'intervista rilasciata a Luisa Gnecchi Ruscone e pubblicata sul numero 67 della rivista Tattoo Life ci parla dei tatuaggi della classe operaia tedesca: “Sono cresciuto in una famiglia di artigiani e contadini di una piccola città della Pomerania. I miei genitori hanno educato me e miei fratelli, secondo il principio che l'uomo deve lavorare. Intorno a me tutti lavoravano, gli uomini erano forti e le loro mani erano grandi e callose, i tatuaggi erano piuttosto comuni, disegni semplici, blu, sulle braccia e sulle mani, talvolta sotto le camice da lavoro grigie si potevano intravedere grandi tatuaggi sul petto. Nella mia immaginazione, i lavoratori ed i tatuaggi erano tutt'uno, provavo un profondo rispetto per quegli uomini senza pretese, laboriosi e soddisfatti. Osservavo con attenzione ogni operaio, contadino, cocchiere, pecoraio e garzone di stalla e ogni spacca pietra, o lastricatore stradale che incontravo, guardavo loro le mani ed ero molto contento quando le scoprivo tatuate.
Le persone altolocate, benvestite, gli impiegati, i commercianti ed i funzionari non erano mai tatuati. Queste persone per me erano aria, mi erano totalmente indifferenti, non li vedevo nemmeno. In compenso, il mio interesse per la gente semplice, povera e tatuata cresceva di continuo. Provavo ammirazione per il loro atteggiamento e l'orgoglio con cui portavano i loro tatuaggi. Più vi facevo caso e tanto più spesso vedevo gente tatuata anche nelle nostre campagne, lontano dalla città. Più tardi ne incontrai molti altri ancora a Stettino e a Berlino: cocchieri, spazzini, personale dei circhi, posatori di pietre per la strada, muratori, facchini, gente che lavorava sulle chiatte dei fiumi, marinai, operai dei parchi giochi e portuali. Li guardavo tutti con ammirazione e ogni volta dicevo a me stesso che appena fossi stato un po' più grande mi sarei tatuato. Sul molo di Stettino incontrai un ex portuale sulla sedia a rotelle per un incidente. Quando gli domandai dei tatuaggi che aveva sulle mani e sui lobi delle orecchie, si denudò le gambe e mi mostrò che anche esse erano piene di tatuaggi, cosi come il petto, la schiena e tutte due le braccia. Mi diede suo indirizzo di casa e per tanti anni, fino alla fine della guerra, non ho mai scordato di mi mandargli di tanto in tanto, un pacchetto di sigarette. Durante la campagna russa, nelle vicinanze di Starjerussa, incontrai un gruppo di operai russi, prigionieri di guerra. Uno di loro aveva le mani tatuate e, nonostante ci fosse divieto di parlare con i russi, trovai il modo di rivolgergli la parola. Era molto disponibile, mi mostrò che era tatuato anche sul petto, le braccia e la schiena, che era decorata con una grande testa di donna caucasica. Finché la mia divisione rimase nella zona, l'ho approvvigionato quotidianamente di pane e sigarette.

I marinai, i più tatuati

Durante un periodo di licenza a Stettino, incontrai sul molo un operaio che aveva le mani completamente tatuate e gli domandai se sapeva dove e da chi potevo farmi tatuare anch'io. Mi rispose: “sono uscito or ora dal campo di concentramento e non ho proprio intenzione di ritornarvi! Venni a sapere da lui qual' era la situazione dei tatuatori e dei tatuati sotto il regime nazista. Nel 1944 la nostra divisione fu imbarcata a Reval. Nel breve periodo in cui fermammo nel porto, riuscii a vedere ben tredici portuali estoni tatuati! Quello stesso anno fui fatto prigioniero e deportato nel campo di prigionia di Riga, dove incontrai in un deposito di legname un sorvegliante che aveva i dorsi delle mani e gran parte del corpo tatuati. Gli rivolsi la parola in russo, ma mi rispose in un ottimo tedesco: era il lettone Gustav Wulf, allora 69enne, che nel 1904 e 1905 fu imbarcato sulla corazzata Potemkin (il 26 giugno 1905, dopo la fine della guerra russo giapponese, con la disfatta navale russa, a Odessa era stato dichiarato lo sciopero generale e il giorno dopo, per una questione di cibo avariato, al largo della città si verificò l'ammutinamento dei marinai della Potemkin. Il 28 giugno, quando la salma del marinaio Vaculencuk fu portata a terra, a Odessa scoppiò una rivolta ed a Liepaja insorsero gli equipaggi della superstite flotta del baltico.) Quest'incontro di Hoffman col suo carceriere, il vecchio marinaio rivoluzionario ci apre scenari interessanti! In quel periodo, i marinai erano ovunque la categoria più tatuata.
Resta difficile, dunque, credere che la febbre del tatuaggio abbia risparmiato la flotta del baltico ed i nostri martiri di Cronstadt. Va detto che in Russia vedremo anche la nascita di un tipo di tatuaggio anticomunista, molto complesso ed articolato nella simbologia, che si svilupperà all'interno dei gulag, del quale esiste una vasta documentazione, anche fotografica.
Tornando ad Hoffman, nel 1949 fu rilasciato dalla prigionia, tornò ad Hof, dove conobbe lo spazzino tatuato Hans Krauss, che gli fece il suo primo tatuaggio. Coprì gratuitamente i numeri sulle braccia a diversi ex internati e diventò uno dei massimi esponenti nel tatuaggio moderno europeo.
Giunti a questo punto, prima di concludere questa lunga lettera, vi vorrei elencare alcuni fatti curiosi inerenti all'argomento trattato, che incrociano la nostra storia, iniziando con un paio di vicende tratte dalla vita di Les Skuse, tatuatore di Bristol, classe 1912, arruolatosi nell' artiglieria reale, era conosciuto come “il tatuatore del regimento”. Per tatuare, usava le batterie delle grandi contraeree. Amava raccontare che durante l'attesa sulla costa meridionale del Inghilterra, aspettando l'invasione tedesca, passò il tempo a tatuare i suoi compagni. Quando alla fine furono avvistati gli aerei tedeschi, l'ufficiale gridò: l'artigliere restituisca le batterie e quando Les finì di montarle, si accorse che erano scariche. Alla fine della guerra, tornò a Bristol e apri un tattoo studio, ma nonostante la richiesta fosse alta, non poteva farsi pagare tanto, perché la Gran Bretagna attraversava una profonda crisi e la gente non aveva soldi. Dato che aveva cinque figli da mantenere, dovette trovare un impiego all'ufficio postale, cosi dalle 06:00 alle 12:00 lavorava per le poste e dalle 14:00 alle 22:00 tatuava. Les Skuse, come Hoffman, tolse gratuitamente i numeri tatuati sulle braccia di molti sopravvissuti ai campi di concentramento: “mi sembrava di aiutarli a cancellare una memoria dolorosa.”. Ci fu anche un tatuaggio ricercato dai nazisti, quello di Montgomery. L'alto comando tedesco diramò l'ordine di uccidere, qualora fosse stato catturato, l'uomo con la farfalla sul polso. Molti ufficiali britannici venuti a conoscenza del fatto, si fecero fare lo stesso tatuaggio per confondere il nemico.

Alla memoria di Willy Blumberg

Per concludere, i tre leader che s'incontrarono a Yalta nel febbraio 1945, erano tatuati: Roosevelt, come tutta la sua famiglia; Churchill aveva un'ancora sul braccio e Stalin un teschio (quest'ultimo è un chiaro esempio di quanto un tatuaggio, nella sua semplicità, possa rivelare la personalità del soggetto che lo porta addosso). Vi ringrazio dell'attenzione e spero di non avervi annoiato! Allego alcune tavole (altre sono in cantiere), che vi svelano il motivo di questo mio approfondimento, in quest'epoca, dove il tatuaggio è tornato ad essere un fenomeno trasversale di massa, dove assistiamo ad un recupero del tatuaggio tradizionale di tutte le categorie, spesso esibito senza comprendere il significato originale.
È mia intenzione ridare al nostro tatuaggio il posto che si merita, con una serie di tavole, che prendono ispirazione dal tatuaggio antagonista tradizionale e che dedico alla memoria di Willy Blumberg, tatuatore morto in un campo di concentramento e a quanti pagarono con la deportazione l'affronto di esibire sulla pelle, in modo definitivo, i nostri antichi simboli di libertà. Uguaglianza, solidarietà, lotta e giustizia sociale.

W.L.R.S
Saluti libertari
Oliviero “Olli” Venturini