Rivista Anarchica Online


Spagna

Gli scarafaggi e la rivoluzione

di Juan Pablo Calero Delso


Uno sguardo lungo sulla situazione spagnola, con un occhio particolarmente attento al ruolo delle élite di potere, tra corruzione e immobilismo. L'ambiguo ruolo di Podemos. E le speranze della CNT.


Negli anni della Guerra fredda si diceva che solo gli scarafaggi sarebbero potuti sopravvivere a una catastrofe nucleare; a giudicare dalla loro straordinaria capacità di adattamento alle circostanze più avverse anche le élite spagnole dovrebbero essere incluse nell'elenco delle specie resistenti alle devastazioni di una guerra atomica.
La storia spagnola contemporanea ci segnala tre grandi sconvolgimenti politici e sociali: la Guerra di Indipendenza del 1808, risultato dell'invasione di Napoleone; la Gloriosa Rivoluzione del 1868, che aprì la strada a un periodo noto a ragione come il Sestennio rivoluzionario, e la Seconda Repubblica del 1931, alla quale pose brutalmente fine la vittoria del generale Franco nella guerra civile. In tutte e tre le occasioni le élite tradizionali spagnole seppero conservare o addirittura aumentare il proprio potere politico e il controllo economico, frustrando le aspirazioni al cambiamento delle classi popolari.
Nella Spagna del 2016 siam ben lungi dal vivere un simile processo rivoluzionario, nonostante la stampa e i politici ne agitino lo spauracchio in toni catastrofistici, e non perché manchino motivi per la protesta, ma perché non si sono ancora definite con chiarezza le proposte di ricambio di un regime economico e politico che tutti percepiscono come marcio. Tuttavia, una delle caratteristiche principali delle élite spagnole, che è anche alla radice di buona parte delle sconfitte che abbiamo vissuto come paese negli ultimi due secoli, è la loro ferrea opposizione a qualunque cambiamento alla struttura del potere, per quanto insignificante sia, e la loro resistenza a ridurre i loro ampi margini di benefici, garantiti dal ferreo controllo su uno stato da sempre posto al proprio servizio.

Una parvenza di falso benessere

Questa intransigenza e questo esercizio altezzoso del potere hanno riempito irrazionalmente di tensioni conflitti come quello catalano e hanno criminalizzato qualunque protesta, per innocua che sia: da quando l'Eta ha deposto le armi, è cresciuto il numero degli accusati di apologia del terrorismo. Per l'oligarchia spagnola ogni compromesso è sinonimo di debolezza, ogni concessione è un tradimento e riconoscere un errore significa aprire la porta alla catastrofe; non stupisce, quindi, che la nostra storia recente sia costellata di golpe militari, guerre civili o tumulti popolari.
Tuttavia, ci sbaglieremmo di grosso se pensassimo che l'oligarchia si sia mantenuta alla testa del paese in tutti questi anni solo grazie alla violenza.
In primo luogo perché, in una Spagna che ha fatto del Barocco il proprio emblema artistico, le élite sono riuscite a illudere le classi popolari con una parvenza di falso benessere alla portata di tutti; infatti, le crisi politiche sono sempre state la conseguenza di acute crisi economiche che hanno reso evidente la distribuzione diseguale del benessere sociale. Se la crisi finanziaria non fosse infine esplosa nel 2008, la maggioranza degli spagnoli avrebbe continuato a vivere nella convinzione che la nostra economia fosse alla pari con quella tedesca, francese o inglese e che il proprio livello di vita permettesse di soddisfare tutte le aspettative di ascesa sociale.

L'impunità dell'élite e dei suoi mercenari

In secondo luogo, per la sensazione di impunità che l'oligarchia ha potuto sfruttare, in una Spagna che ha fatto del Picaro un eroe e di Don Chisciotte un pazzo. La corruzione generalizzata dell'élite, che da due secoli ha preso d'assalto lo Stato e le sue risorse, ha creato una falsa sensazione di generalizzata complicità tra settori delle classi popolari e l'oligarchia: la corruzione si è capillarmente estesa a buona parte della società, con la differenza che, mentre gli uni evadevano tasse multimilionarie e creavano leggi su misura per coprire le proprie rapine, gli altri si ritenevano soddisfatti dal poter ristrutturare casa senza pagare imposte o dal farsi timbrare il cartellino da un collega.
Per questo motivo non stupisce che una delle questioni che sta provocando più scontri e che ha incontrato più resistenze, sia la situazione delle migliaia di “desaparecidos”, cioè di quelle migliaia di persone fucilate dalla Guerra civile in poi che attendono, sotterrate in campi e tombe senza nome, una sepoltura dignitosa. Tra di esse, gli anarchici sono certamente la maggioranza. Eppure, anche quando i resti sono localizzati e dissotterrati, i giudici spesso fanno resistenza a identificarli e a certificarne la morte violenta, per non dover riconoscere che il regime franchista, la cui oligarchia è in buona parte la stessa della monarchia attuale, si è nutrito di omicidi e ha fondato il proprio potere sulla repressione più brutale. L'impunità dell'élite e dei suoi mercenari è talmente inviolabile, nonostante il passare del tempo abbia eliminato quasi del tutto le conseguenze penali, che solo la Cambogia presenta un numero altrettanto alto di “desaparecidos”.
Come in precedenti occasioni, la crisi finanziaria del 2008 è servita sia a smascherare la falsità del nostro progresso economico, sostenuto unicamente dalla vendita di immobili a credito e dal turismo, che la responsabilità dell'oligarchia in questa crisi, causata dalla propria corruzione e incapacità di previsione. Già da prima, però, si intuiva una crisi politica, scatenata dal tradizionale immobilismo di un'élite incapace di soddisfare le domande di rinnovamento politico richiesto a gran voce da una nuova generazione di spagnoli, che non ha né vissuto sotto il franchismo, né ha lottato nella Transizione e la cui freddezza nei confronti della monarchia ha forzato l'abdicazione di Re Juan Carlos I nel giugno del 2014.
L'oligarchia però, anziché adattarsi ai nuovi tempi e dare spazio alle nuove generazioni e alle sue richieste, si è arroccata nelle istituzioni e ha irrigidito la legislazione pur di isolarsi dalle classi popolari, politicamente insoddisfatte e sempre più impoverite. Che il Partito Popolare di Mariano Rajoy si trinceri dietro una Costituzione che, quando fu approvata nel 1978, come partito non aveva approvato e che molti suoi deputati non hanno ratificato, mostra chiaramente fino a che punto l'attuale sistema dei partiti serva all'élite solo come facciata per mantenersi al potere. Il vecchio scisma tra la Spagna ufficiale, quella dell'élite, e la Spagna reale, dei lavoratori, si è riassunto in due slogan che si ripetono in tutto il paese: “la chiamano democrazia ma non lo è” e “loro non ci rappresentano”.

La CNT tra resistenza e speranza

Abbiamo già vissuto in precedenza crisi come questa, sebbene le similitudini maggiori ci siano con quella del 1916: rapido impoverimento delle classi popolari, carenza di legittimità e di rappresentatività delle istituzioni, ascesa dei nazionalismi periferici come quello catalano… Tuttavia, c'è una differenza tra la crisi attuale e quella che visse la Spagna un secolo fa: la scomparsa del movimento operaio come soggetto politico e dei sindacati come canale di espressione e organizzazione del malcontento popolare.
Con gli Accordi della Moncloa firmati nel 1977 il sindacalismo si è trasformato in un'appendice dello Stato. Da allora, i sindacati hanno smesso di essere organismi vivi per trasformarsi in imprese di servizi alle quali ricorrono padroni e lavoratori per l'ordinata risoluzione dei propri conflitti o per ricevere assistenza nelle incombenze richieste dallo Stato. Di conseguenza, i lavoratori si sono via via identificati con una diffusa classe media, perdendo l'orgoglio della propria condizione di lavoratori e rinunciando alla loro cultura, sostituita da un basso populismo. Quando la rivolta del movimento degli “Indignati”, esplosa spontaneamente nel 2011, ha dovuto organizzarsi, non lo ha fatto attraverso i sindacati, che venivano già visti non come la soluzione ma come parte del problema, ma articolandosi in un partito politico: Podemos.
La CNT ha resistito a questa deriva, ma è stata così duramente colpita nel corso dei decenni da riuscire solamente a mantenersi in vita, fino agli ultimi anni in cui ha potuto riprendere il proprio cammino originale, sebbene minoritaria, ma ogni giorno più attiva e più forte. Quando le limitazioni alla normale dialettica politica condanneranno Podemos all'inattività come sta succedendo nei comuni che governa, o quando i suoi leader entreranno a far parte dell'oligarchia, sarà arrivato il momento che molti tornino a guardare con speranza alla bandiera rossonera che oggi continuiamo a tenere alta.

Juan Pablo Calero Delso

traduzione di Angela Ferretti