Rivista Anarchica Online


linguaggio

Una questione di stile

di Giorgio Fontana


La morale e la pratica libertaria passano dall'istinto naturale verso il bisogno di farsi intendere da chiunque, senza per questo mascherare o nascondere la complessità dei problemi in gioco. A differenza, per esempio, dei marxisti-leninisti.


Una delle caratteristiche più apprezzabili e forse meno discusse degli anarchici, è il loro uso trasparente della lingua. Sarà perché sono uno scrittore e dunque bado a queste cose, ma mi ha sempre colpito favorevolmente lo stile dei principali pensatori libertari: dritti al sodo, senza fronzoli, e animati da una logica che preferisce affrontare un problema concreto dopo l'altro – il federalismo, la libertà, la violenza, il comunalismo e così via – invece di edificare giganteschi apparati teorici.
In questo, il confronto con la vulgata comunista è impietoso: basta aprire un qualsiasi classico del marxismo-leninismo (dalle origini al post-operaismo) per vedere subito la differenza. Gli anarchici sono sempre stati molto più lineari, anche a costo di risultare un po' più rozzi. Non hanno mai creato una scolastica, né il linguaggio asfissiante che spesso la pervade: hanno sempre privilegiato un lessico piano, una sintassi semplice, la chiarezza espositiva.
E a mio avviso, in questo c'è anche una profonda lezione di etica democratica. Critici dell'avanguardismo politico, gli anarchici non potevano certo ricadere nell'avanguardismo linguistico che spesso maschera senso di superiorità, o una certa tentazione elitaria. Goffredo Parise diceva: “Il mio lavoro quando mi trovo di fronte a qualcosa di complesso e di oscuro è questo: spiegare e descrivere in modo semplice e chiaro qualcosa che (non c'è niente da fare) spesso è complesso e oscuro. Evito le parole “difficili” o di uso ristretto, o transeunti, come quelle che durano soltanto una breve stagione e poi c'è da vergognarsi di averle pronunciate. Le evito sia perché mi sono antipatiche sia perché, essendo difficili, non sono parole democratiche e dunque sono contrarie a ciò in cui credo.”

Errico Malatesta
Quell'umanesimo radicale

La morale e la pratica libertaria passa, credo, anche da qui: da una questione di stile. Dall'istinto naturale verso il bisogno di farsi intendere da chiunque, senza per questo mascherare o nascondere la complessità dei problemi in gioco: un'incarnazione solo in apparenza secondaria di quell'umanesimo radicale che gli anarchici hanno sempre sentito come prioritario. E allora forse non è un caso che essi abbiano privilegiato la forma breve rispetto alla trattazione ampia: lettere, articoli, pamphlet, piccoli libri: un problema alla volta, come dicevo sopra; e con la massima limpidezza possibile.
A tal proposito, vorrei portare ad esempio tre testi della nostra tradizione. Il primo è Errico Malatesta:

L'anarchismo, dicevo, deve essere necessariamente gradualista. Si può concepire l'anarchia come la perfezione assoluta, ed è bene che quella concezione resti sempre presente alla nostra mente, quale faro ideale che guida i nostri passi. Ma è evidente che quell'ideale non può raggiungersi d'un salto, passando di botto dall'inferno attuale al paradiso agognato. I partiti autoritari, quelli cioè che credono morale ed espediente imporre con la forza una data costituzione sociale, possono sperare (vana speranza del resto!) che, quando si saranno impossessati del potere, potranno a forza di leggi, decreti... e gendarmi sottoporre tutti e durevolmente al loro volere. Ma una tale speranza ed un tale volere non sono concepibili negli anarchici, i quali non vogliono nulla imporre salvo il rispetto della libertà e contano per la realizzazione dei loro ideali sulla persuasione e sui vantaggi sperimentati della libera cooperazione.

Luigi Fabbri

E questo è Luigi Fabbri:

Certo, in anarchia ci sarà ancora l'autorità – se così si può chiamare – della scienza e dell'esperienza, ed anzi io credo che quest'autorità sarà molto maggiore e più sentita che non oggi. Ma ad essa si conformeranno tutti, senza bisogno di un organo coattivo che ve li costringa, sia per la coscienza collettiva ed individuale più evoluta, sia per un miglioramento psicologico dell'umanità cui condurrà il nuovo assetto sociale – ma sopratutto perché tutti vi troveranno il proprio interesse, e tutti vi saranno costretti dal bisogno.

E infine, il mio amato Camillo Berneri:

Niente dittatura, né del cervello sui calli, né dei calli sul cervello, ché ogni uomo ha un cervello e il pensiero non sta nei calli. Chi dà colpi di piccone contro il privilegio è l'uomo della rivoluzione. Chi partecipa alla soluzione dei problemi della produzione e dello scambio con sicura competenza, con maturata esperienza e con onesto animo è l'uomo della rivoluzione. Chi dice chiaramente il proprio pensiero senza cercare applausi e senza temere le collere è l'uomo della rivoluzione. Il nemico del popolo è il politicante, il parolaio che esalta il proletariato per esserne la mosca cocchiera, che esalta i calli per dispensarsi dal farseli o dal rifarseli, che denuncia come controrivoluzionario chiunque non sia disposto a seguire la corrente popolare nei suoi errori e gli sviluppi tattici del giacobinismo.

Camillo Berneri
Con nitidezza

Sono solo tre piccoli esempi – potrei trovarne molti altri: il tema è vastissimo, e un'analisi critica e completa dello “stile anarchico” sarebbe a mio parere di enorme interesse. Quello che mi premeva sottolineare ora è il nitore dell'italiano: è raro scrivere di politica con una tale limpidezza, senza ricorrere a formule o impalcature teoriche oscure. In particolare, parlando dello stile di Malatesta, Valerio Evangelisti scrisse che “attraverso lo strumento del dialogo pacato, egli si sforza di spiegare, a interlocutori di estrazione popolare, come si possa giungere a una società senza oppressione statale né sfruttamento economico, e quali mezzi si debbano adottare. Il discorso è di un rigore logico assoluto, e travolge colpo dopo colpo ogni concezione autoritaria del vivere comune, capitalista o socialista che sia.”
Rigore logico, dialogo pacato, semplicità dell'esposizione: l'anarchismo passa per questa via e con questo stile. Uno stile capace di confrontarsi, che non giudica dall'alto il lettore o l'interlocutore, e mira a persuaderlo con la bontà delle argomentazioni. Non riesco a immaginare veicolo migliore per la fioritura delle idee libertarie: invece di “compiacersi fra le nebbie” – per citare ancora una volta Malatesta – lavorare alacremente al fine di gettare nuova luce.

Giorgio Fontana