Rivista Anarchica Online





Mondo del lavoro/
Sarà una risata che ci sfamerà

Quello che comunemente viene chiamato “Mondo del lavoro” e che in realtà è il mondo dello sfruttamento, della precarietà, del caporalato e della schiavitù è in guerra.
Una guerra dichiarata da “loro” contro di noi, una guerra che è stata possibile grazie anche, forse soprattutto, ai sindacati di stato, cgil, cisl, uil, ugl e qualche altro sindacato corporativo o cosiddetto alternativo ma con aspirazione a diventare sindacato di stato. Tutti sindacati, quelli di stato, che hanno un patrimonio enorme - in gran parte finanziato dallo stato attraverso patronati, commissioni paritetiche, fondi vari e via dicendo - e che elargiscono lauti stipendi alle loro burocrazie. Sembrerebbe paradossale ma proprio questi sindacati da anni hanno contribuito alla riduzione delle libertà di lotta dei lavoratori comprimendo, tramite accordi - uno per tutti l'accordo del gennaio 2014 - quelli che sono i diritti sindacali e limitando sempre più il diritto di sciopero.
I diritti e la dignità di chi lavora sono in caduta libera e il tutto succede con la maggioranza di chi lavora in “bianco” sempre più vecchia. Invece chi lavora in “nero”, chi fa stage e non è pagato o gioca a figurine con i voucher è giovane e senza nessuna possibilità di autodifesa. Quando, attorno a noi, ci troviamo 700 mila schiavi nell'agricoltura e decine di donne schiave violentate nel silenzio dei campi a Ragusa, o chissà dove ancora, ci rendiamo conto che è guerra vera.
Ci sia consentita una brevissima considerazione sui voucher, questa forma di pagamento non fa reddito, ad es. se un migrante prova ad avvalersene per ottenere il permesso di soggiorno si becca una grossa pernacchia. Inoltre, se prima dell'avvento di questa perversa forma di remunerazione erano necessarie, per mascherare un infortunio di un lavoratore in nero, scappatoie tese a sostenere che si trattava del primo giorno di lavoro di una regolare assunzione, adesso la risposta è “avrebbe lavorato solo oggi e sarebbe stato retribuito con i voucher, non è necessario un contratto di lavoro”.
Delocalizzazioni, appalti e subappalti, esternalizzazioni e si potrebbe continuare con centinaia di diritti negati che sembravano intoccabili, che portano dritti a dire che tutto il mondo del lavoro è precario e sotto mobbing. La guerra ovviamente genera anche una ribellione, anche se per ora molto debole; occorre costituire aggregazioni sindacali dal basso che pratichino l'assemblearismo come momento decisionale, che mirino alla costruzione di una società oltre che di un mondo del lavoro privi di gerarchie e potere per dirla in una sola parola ad una società autogestita. La guerra, dicevamo, genera una ribellione, ma non solo, genera anche lo sperimentare forme di autoreddito e autosussistenza slegati dalle grinfie dello stato e del capitale. Prendono forma così diversi progetti legati all'autogestione e al mutualismo.
Come anarcosindacalisti, che si vogliono emancipare dalla schiavitù del lavoro, abbiamo deciso di sostenere tutte queste esperienze e pensiamo che solo la creazione di casse di resistenza e gruppi di mutuo appoggio legate all'anarcosindacalismo possano creare quella barriera di autodifesa che ci permetta di rovesciare il tavolo.
Quando gli sgravi fiscali alle imprese finiranno, aumenterà la disoccupazione, tuonano gli economisti; in realtà è un problema molto più complesso. Se analizziamo l'automazione e la robotizzazione, se aggiungiamo i lavori inutili e nocivi, se moltiplichiamo per la sovrapproduzione, il totale è solo uno: o si riduce il tempo di lavoro sia in termini di orario di lavoro, ma anche in termine di anni a cui ognuno è chiamato a parità di salario o il numero di chi campa col proprio stipendio diminuirà proporzionalmente ogni mese. Per questo l'autodifesa sociale, tramite il mutuo appoggio, le originarie case del popolo, le casse di resistenza e un forte movimento anarcosindacalista sono le uniche possibili, secondo me. Non solo per difendersi ma anche per ricostruire una società che abbia alla base la dignità e la felicità di ognuno ed ognuna.
Non ci sono scorciatoie.
Bisognerebbe occupare le terre demaniali e rivendicare l'autoreddito con autoproduzioni biologiche e contrarie allo sfruttamento delle persone e della natura, lottare per eliminare le produzioni nocive ed inquinanti ed organizzarsi a livello territoriale per rivendicare gli usi civici e i beni comuni.
Difesa quindi di diritti e dignità sui luoghi di lavoro e contemporaneamente la costruzione di relazioni economiche e sociali fuori dallo stato e dal ricatto capitalistico.
Quando cerchiamo di capire cosa è e quanto vale un'ora di lavoro nel “nostro mondo” ci rendiamo conto che siamo tremendamente indietro nell'analisi e nella sperimentazione.
L'anarcosindacato che ho in testa dovrebbe lottare all'interno della scuola pubblica per spingerla fuori dall'autoritarismo e contemporaneamente finanziare le scuole libertarie autogestite. Quando uscirà questo articolo lo sciopero generale del 18 marzo sarà già passato. Sarà stato per noi una tappa importante per riprenderci le lotte sindacali dal basso contro le varie concertazioni e gli accordi sulla rappresentanza che di fatto affondano il diritto di sciopero. Sarà importante capire la nostra capacità di mobilitazione che per ora ci risulta essere con cortei e presidi a Milano, Napoli, Parma, Modena, Firenze, Trieste, Senigallia e altre in via di definizione. Uno dei punti dello sciopero del 18 è contro la guerra e contro le spese militari ma visto gli scenari che si intravedono, come USI-AIT ne stiamo preparando uno solo contro la guerra. Guerra esterna quindi, in tantissimi scenari, e guerra interna a cui il “mondo del lavoro” non può sottrarsi. Il Primo Maggio l'USI ha proclamato lo sciopero generale, per riappropriarci del significato di quel giorno di lotta, per ricordare i Martiri anarchici di Chicago e perché sempre più gente è costretta a lavorare e daremo il “la” alla riappropriazione della nostra lotta che è necessariamente unita alla gioia, altrimenti non sarà il mio Primo Maggio.

Era tutta notte che lavorava, mancava poco alla fine del turno, poi suonò la sveglia, la spense e decise quel giorno di continuare a dormire col sorriso sulle labbra”.
Gioia, lotta e anarcosindacalismo.

Franco “Colby” Bertoli
segretario generale Unione Sindacale Italiana (USI-AIT)




Monterrey (Messico)/
Fiera (itinerante) libertaria del libro

Nell'estate 2015 a Città del Messico è nata la Fiera Libertaria del Libro e della Pubblicazione. La stessa fiera è stata organizzata nella città di Monterrey (Stato di Nuevo León, nord del Messico) nel fine settimana del 4, 5 e 6 di marzo. Varie realtà editoriali libertarie del nord e del centro del Messico si sono unite con l'intenzione di creare memoria, incidere nella città e resistere con allegria, nel mezzo della violenza e della paura causate del conflitto in cui si vive da anni nella città di Monterrey, iniziata nel 2006 quando l'ex presidente Felipe Calderón ha lanciato la guerra al narcotraffico, che ha creato più di 100mila morti e 27mila desaparecidos in tutto il paese.
Un fine settimana animato dalla parola e dalla festa, dall'accesso alla lettura libertaria, indipendente e “pirata”, e da workshop organizzati con le persone che hanno partecipato. La costruzione collettiva e senza fini di lucro ha creato spazi di incontro, riflessione e solidarietà, ed è stata capace di proporre una riflessione su quello che è successo e succede onduregna a Monterrey come città colpita dalla violenza del sistema capitalista.

Monterrey (Messico) - Giovani alla Fiera Libertaria del Libro

La fiera si è realizzata per tre giorni in modo itinerante. È iniziata nella sede della Facoltà di Lettere e Filosofia, per ricordare le lotte e resistenze studentesche dell'Università Autonoma del Nuovo León.
Il secondo giorno si è svolta in Piazza Mediterraneo, una piazza abbandonata e dimenticata del centro della città, dove si trova la statua di Ricardo Flores Magón. Lo stesso giorno si è svolta la “biciclettata nera”, per esprimere solidarietà a tutte le persone che sono state colpite dalla guerra e che attualmente lottano perché venga fatta giustizia per i loro famigliari desaparecidos. Alla fine della biciclettata, all'interno dello spazio della Fiera Libertaria del Libro e della Pubblicazione, abbiamo ascoltato le parole di una madre e di un padre di FUNDENL, un'associazione locale di familiari di desaparecidos, che hanno condiviso con noi la loro esperienza di lotta e resistenza.

Monterrey (Messico) - Mural in omaggio
all'attivista onduregna Berta Cáceres,
assassinata in casa sua il 3 marzo

Le attività sono continuate la domenica nel Barrio Antiguo di Monterrey, in un ambiente familiare, con workshop per bambine e bambini.
Sono stati realizzati due murales per ricordare la compagna Berta Cáceres, assassinata in Honduras il 3 marzo per difendere la madre terra e il popolo indigeno lenca, e per mostrare solidarietà al compagno Gustavo Castro dell'organizzazione Otros Mundos del Chiapas, che si trovava insieme a lei quando è stato commesso il crimine e che attualmente è detenuto dal governo honduregno.

Monterrey (Messico) - La statua di Ricardo Flores
Magón in Piazza Mediterraneo, una delle sedi
della Fiera Libertaria del Libro

È stata organizzata una “pesca” solidale con Jorge Emilio Esquivel Muñoz, che il 25 febbraio è stato arrestato ingiustamente e illegalmente, mentre usciva dall'Okupa Che, uno spazio occupato all'interno dell'Università Autonoma di Città del Messico. E nella notte si è tenuto una festa con gruppi di musica hip-hop e cumbia, che dimostrano come si resista anche con l'arte e l'allegria.

Feria Libertaria del Libro y la Publicación
ferialibertariaenlace@gmail.com




La terra è di chi la canta/
Andhira cioè “movimento stanziale”

Approdare in terra sarda per parlare di tradizione popolare, musica etnica, worldmusic, può essere affascinante quanto rischioso per la varietà e la complessità di generi e di linguaggi che questa terra custodisce e rinnova nelle forme linguistiche e musicali.
Ma attraccare, invece, in quei luoghi apparentemente nascosti, in quelle “isole nell'isola”, può paradossalmente semplificare il viaggio e il racconto, soprattutto quando incontri musicisti, compositori e ricercatori come Luca Nulchis e il progetto in “movimento stanziale” che porta il nome di Andhira.
Storie e leggende si celano in questo nome, ma anche un fonema che si riverbera da tempi lontani e che viene declinato dal lavoro di Luca e delle voci “erranti” del progetto in una sorta di rituale ”arcaicontemporaneo” che coniuga tradizione e modernità partendo da stati d'animo, dai luoghi di un pensiero protetto che trasforma la memoria in consapevolezza del presente.
Luca, raccontaci il progetto Andhira partendo da queste premesse.

Le tue premesse mi invitano a parlare di questo progetto a partire dal significato del suo nome:
In Sardegna, la parola Andhira esprime un idea di nomadismo, movimento, spostamento, passaggio. L'etimo sanscrito “andhra” significa “porta di passaggio verso...”, per i popoli navigatori del Mediterraneo orientale era il nome di una costellazione utile nell'orientamento in mare. Si può parlare di una direzione da seguire per il superamento di un confine, inteso simbolicamente è un “passaggio evolutivo”. Questa parola ricorre in alcuni canti sardi di tradizione orale, in particolare della regione centro meridionale dell'isola, e a mio avviso, trova la sua massima espressione musicale nel canto de “s'andimironnai”. Nel 1996 ho ascoltato per la prima volta s'andimironnai di Suelli cantato magistralmente da Zia Esterina Lecis, ho tremato di meraviglia per tanta bellezza e profondità espressiva. Zia Esterina diceva che sino agli ultimi anni “60, s'andimironnai si praticava anche come canto collettivo di riconciliazione tra persone che avevano litigato o messo in atto reciproche offese, una sorta di terapia di gruppo attraverso il canto. Nei libri degli arabi si racconta che Andhira fu una ricca e fiorente città che sorgeva sulle coste meridionali della Sardegna e che fu saccheggiata e distrutta dai pirati costringendo i superstiti ad una vita errante. Se ciò non fosse solo una leggenda, potremmo immaginare che quell'esodo abbia tracciato una pista verso il centro dell'isola, attraversando le regioni del Campidano e della Trexenta, sino ai confini delle barbagie di Seulo, un percorso testimoniato dalla presenza di paesi le cui comunità custodiscono ancora oggi il canto de s'andimironnai nella sua forma musicale e poetica più affascinante. Ecco, posso dire che traslando in un processo creativo artistico i contenuti simbolici della parola Andhira, riconosco il mio senso del fare musica; così, quando nel 2001 ho dovuto scegliere il nome da dare all'ensemble appena nato, non ho avuto dubbi!

Un lavoro di ricerca il tuo che non da, fortunatamente, punti di riferimento, che si muove nel territorio di appartenenza confutando, in qualche modo, i posticci totem delle identità costruite per cartoline esotiche e svelandoci al contempo l'essenza di un popolo che è l'evoluzione di incontri ed intrecci complessi ed intricatissimi che abbattono i confini etno-geografici.
Quando i punti di riferimento diventano luoghi comuni dettati da mode e tendenze è meglio evitarli, mentre, riconoscere l'autenticità dei propri punti di riferimento ritengo sia una grande risorsa. Io non sopporto le etichette, neanche quelle attaccate alle cuciture degli indumenti, mi irritano la pelle! “Che genere fai?”, è la fastidiosissima domanda blindata che spesso mi viene fatta e alla quale vorrei provocatoriamente rispondere: “e che ne so, non è un mio problema!” Eppure i miei bei punti di riferimento ci sono, eccome! Fanno parte del mio percorso biografico e formativo. Vengo da un piccolo paese del centro Sardegna, Urzulei, dove ho trascorso un infanzia musicalmente complessa ma assai interessante: canto “a tenore” che riverberava dalle cantine e dai “tzilleri”(bar), Bach, Beethoven, Chopin, Debussy e Stravinsky in casa tra discografia ed esecuzioni dal vivo (mamma pianista), balli in piazza accompagnati dall'organetto diatonico, Demetrio Stratos e gli Area, De Andrè e il primo Dalla di “Nuvolari” e tanta altra musica pescata tra la discografia del fratello maggiore, e altrettanta ne circolava insospettabilmente in quella piccola comunità ai piedi del Supramonte. Insomma, un bel delirio di varietà sonora che ho dovuto metabolizzare lentamente nel corso degli anni. Poi gli studi pianistici al conservatorio di Cagliari, il confronto con altri linguaggi artistici e i primi esperimenti compositivi per la danza e il teatro, la passione per le diverse culture musicali del mondo e la ricerca in Sardegna su musiche, balli e canti di tradizione orale. Nel 2001 nasce Andhira con lo scopo di intensificare le esperienze di studio, ricerca, pratiche musicali e interdisciplinari differenti tra loro, facendole confluire in uno spazio compositivo svincolato da generi ed estetiche dettate dal mercato, ma anche libero di adottare, qualora l'esigenza espressiva lo richieda, generi e forme compositive di preciso riferimento, e perchè no?

Tempio Pausania (Ot) - Luca Nulchis e Giancarlo
Murranca alla stazione

Anche da un punto di vista musicale, hai puntato su un lavoro originale e complesso, raffinato e faticoso costruendo una partitura per voci femminili.
Senz'altro faticoso ma molto appagante! Grazie per “originale, complesso e raffinato”. Non so, è molto interessante vedere come la produzione musicale nel mondo sia così vasta e variegata, e i contesti di fruizione pure; nell'ambito della musica contemporanea d'avanguardia il mio lavoro può risultare per niente originale, ne complesso, anzi, un po antico e desueto, ancora legato alla tonalità ecc ecc, mentre nello scenario della canzone d'autore e di ampia fruizione, potrebbe risultare addirittura un lavoro ardito e poco fruibile, mi dicono “di nicchia”, poi scopri che questa nicchia è molto più grande di quanto il mercato ti voglia far credere. Basta varcare il confine italiano, che quella nicchia diventa la norma, e allora? Attenzione, non è polemica, per me è puro divertimento. Il progetto compositivo di base è pensato per tre voci femminili e pianoforte, con l'ausilio di un harmonium indiano, un flauto e piccole percussioni. Talvolta entra una quarta voce, la mia. Per diversi anni l'organico comprendeva anche un importante sezione di percussioni, capitanata da Giancarlo Murranca mentre da un paio d'anni si è ridimensionato in un quartetto attualmente formato, oltre che dal sottoscritto, da Elena Nulchis, Egidiana Carta e Elisa Zedda, tre voci fortunatamente diverse tra loro, personalissime, duttili e saggiamente lontane da “vezzi stilistici” di genere, capaci di cogliere a fondo l'intenzione espressiva delle composizioni: che fortuna! Senza di loro e tutti i compagni di viaggio che hanno fatto parte del gruppo nel corso degli anni, il mio lavoro non sarebbe stato possibile. Grazie dunque ad Alberto Cabiddu, Alessandro Garau, Cristina Lanzi, Patrizia Rotonda, Paolo Sanna, Valeria Martini, Giorgia Loi per aver attraversato il territorio di Andhira.

Parlavamo di approdi, di viaggi: il vostro è iniziato con un improvviso e inaspettato dirottamento sulle rotte di Fabrizio De Andrè, un progetto diventato poi un album, “Sotto il vento e le vele”, edito da Alabianca, un lavoro nel quale riuscite a “smarcarvi” con naturalezza da tutto quel calderone di “mitizzazione, masterizzazione e coverizzazione “del poeta-cantore. A proposito di Faber, tu arrivi dal Supramonte, territorio che ancora conserva la sua esclusiva e imponente “statura” naturale. Un luogo che hai vissuto e indagato sotto molteplici aspetti, con risvolti unici e affascinanti ma anche oscuri e contraddittori.
Il nostro viaggio è iniziato in modo anomalo, nel 2001, mentre stavo ultimando il mio primo repertorio di composizioni per tre voci femminili e pianoforte. C'è stato un fortunato depistaggio che ci ha portati prima in trio con Alberto Cabiddu e Giancarlo Murranca ospiti al tributo che si svolge annualmente a Tempio Pausania, e poi, con Andhira al completo, l'attrice Lella Costa, il Quartetto Euphoria e lo scrittore e giornalista Romano Giuffrida, all'evento “navigammo su fragili vascelli”, un incontro/spettacolo sulla figura e poetica di Faber organizzato da Dori Ghezzi e Iride Baldo con la Fondazione De Andrè, per le detenute del carcere di San Vittore a Milano. Insomma, di colpo ci siamo trovati in un contesto che non avevamo preso in considerazione : lavorare sull'opera di De Andrè! Accidenti, che responsabilità! Ci siamo chiesti “E cosa possiamo fare? Non ci metteremo mica a rifare le “cover di De Andrè”?! E così, sulle prime geniali intuizioni di Cabiddu, portate al tributo Tempiese(con Amore che vieni, amore che vai, La guerra di Piero e Terzo intermezzo), abbiamo sviluppato un progetto basato sull'idea di un dialogo virtuale tra noi e Faber, senza fermarci semplicemente ad una re-interpretazione, ma operando un ampliamento compositivo sui suoi brani e alternandoli ai nostri originali che nel frattempo stavamo concludendo, per costruire una grande “Suite” o meglio, una nuova “Cantata”. Il filo rosso è senz'altro la Sardegna, per noi terra nativa, per Faber di scelta consapevole, ma abbiamo evitato facili soluzioni folkloristiche; in questo senso, la lezione a quattro mani di De Andrè/Fossati su Disamistade è magistrale! La Sardegna è terra croce e delizia, ambita e ripudiata, meraviglia di asperità e dolcezze, caleidoscopio culturale e identitario a dispetto di un esclusiva “forzata” identità che alcuni vorrebbero esibire. Il Supramonte poi non lo si può raccontare in due righe, è tutto da vivere, io ogni tanto lo racconto in musica.

Varese, 25 febbraio 2016 - Gli Andhira in concerto

Torniamo alla musica, al secondo album Nakitirando, un affresco che, proprio a partire dalla parola intesa come fonema espressione di una condizione umana e da un punto di vista fortemente etimologico della parola stessa e del suo mercificato e svilito utilizzo, affronta un percorso nuovo e con compagni di viaggio straordinari.
Nakitirando è una parola di libera invenzione che sinteticamente significa “è opportuno tirare avanti nonostante tutto”. Ma ti propongo direttamente un estratto dalla presentazione riportata nell'album, così vado a letto senza fare l'alba: “In quest'album proponiamo una raccolta eterogenea di composizioni, frutto di un ciclo compositivo caratterizzato da una frequente relazione con differenti forme d'arte e di ricerca, da incontri e collaborazioni con artisti di diverse provenienze culturali. Questo repertorio, mutevole nella forma e nello stile di ogni singolo brano, attraversa tradizioni classiche e popolari, labili confini mediterranei, agili profili di sardità e altro ancora. Eppure, in questa eterogeneità, emergono alcuni elementi conduttori o ricorrenti che evidenziano i rapporti di parentela tra i diversi brani, per affinità tematiche dei testi o per assonanze di ambientazione sonora”.
L'album è arricchito dalla collaborazione preziosa di alcuni ospiti musicisti e poeti: Mauro Pagani, Alberto Cabiddu, il Griot Madya Dyabate, Marcia Theophilo, Pietro Lorrai, Sergio Pira, Antonio Carlo Borghi detto “Cicci”.

Tra le trame musicali che tessi, ne hai scelto alcune che esegui con l'harmoniun indiano, strumento desueto che stà trovando una rinnovata collocazione nel panorama musicale e che traccia un confine labile tra musica sacra e profana, occidente e oriente.
In diversi brani ho avuto l'esigenza di una “voce” strumentale in grado di impastare e dialogare tra le timbriche vocali e quelle pianistiche. La voce magnetica e avvolgente dell'harmonium indiano, oltre a soddisfare quest'esigenza, mi aiuta in alcuni brani ad evocare un territorio sonoro immaginario ed estraniante. È uno strumento di origini occidentali che, arrivato in India tramite i coloni inglesi, è stato subito “indianizzato” dai musicisti locali e trasformato in uno strumento perfettamente adatto all'estetica sonora e all'esigenza espressiva di quelle parti, un po come è successo con l'organetto diatonico in Sardegna.

Quale l'evoluzione del progetto Andhira e quale “impronta” nuova al cammino lento e consapevole del gruppo?
Ci sono diverse cose che bollono in pentola, alcune già realizzate ma non ancora ben circuitate, come il progetto di musica e poesia “di mezzo il mare” con Francesca Breschi, cantante e attrice straordinaria, componente del quartetto vocale di Giovanna Marini. Della stessa Marini, con la quale abbiamo un rapporto di amicizia, stima e collaborazione, abbiamo studiato la sua ballata de L'Eroe, che ultimamente eseguiamo in chiusura di concerto. Prosegue come sempre la ricerca e lo studio sui canti di tradizione orale, prevalentemente sardi, ma non solo, così come pure la collaborazione con la coreografa e regista Ornella D'Agostino (associazione Carovana s.m.i.) partecipando ai suoi singolari progetti interdisciplinari. C'è pure la vaga idea di realizzare un nuovo album... Come diceva un vecchietto, quando lo s'interrogava per avere sicure previsioni metereologiche: “e chi lo sa?”

Gerry Ferrara

Contatti:
luca.andhira@gmail.com
facebook.com/Andhira.Music




Venezia/
I graffiti dei detenuti

Venezia, Palazzo Ducale, visita alle prigioni, dove in una cella cupa e fredda sono esposti – in mostra – frammenti di intonaco incisi dai detenuti per motivi politici. Il Palazzo Ducale, sede di tutti gli istituti governativi della Repubblica, compresi quelli della giustizia, ospitava anche luoghi di pena e detenzione. A partire dalla seconda metà del Cinquecento, si decise di costruire un nuovo edificio al di là del rio di Palazzo, completamente destinato a funzione carceraria. Ed è da qui che inizia la nostra visita. Attraversiamo una piccola scala in discesa che dalla Sala del Magistrato alle Leggi conduce in uno stretto corridoio che non è altro che uno dei due attraversamenti del celebre ponte dei Sospiri.
Da qui appunto, il viaggio, per recuperare memorie, tormenti e urgenze. Disegni e testi concisi, schizzi e motti inneggianti libertà.
Le parole servono a raccontare storie. Ma anche a produrre trasformazioni per cambiare la realtà, o quantomeno a modificarla. Il rigore dell'indagine si combina con i segni parietali dove, dal gusto anarchico degli sconfinamenti, si passa agli accostamenti inattesi:

W LENIN
W L'ANARCHIA
M I PRETI
A MORTE I FASCISTI
M LA BORGHESIA

Una lettura emozionante, una prospettiva insolita per osservare questa parte del mondo.
Il recupero di questi intonaci diventa così un osservatorio privilegiato per analizzare in modo antropologico una condizione di restrizione evitando facili retoriche. Tra le aree egualitaristiche di sinistra, accomunate dal considerare la libertà come valore fondamentale, e anteponendo la difesa della stessa ad ogni autorità o legge, troviamo:

W
LA RIVOLUZIONE
W
IL DIO
MALATESTA

Nella fabbrica dell'osservatorio tutti i dati sono a disposizione – orchestrati in modo apparentemente caotico – ma in realtà corrispondono a urgenze psicologiche, corrispondono dunque a purificazioni, tesi silenti, paure inespresse, significati profondi. Basta codificarli intelligentemente per ottenere una sorta di fotografia iconica, una dialettica psichica in grado di raccontare una storia della condizione umana nella reclusione, perché solo partendo da una immagine segnica si riesce a comprendere la precarietà dell'uomo rinchiuso e la sua condizione di subordine.

Venezia, prigioni di Palazzo Ducale - Uno dei graffiti

Sulle pareti delle celle troviamo dunque i neologismi più barbari? Si, certo, ci sono tutti, dai più osceni ai meno necessari ai più intimi, ma tutti rigorosamente sofferti. Il senso profondo del dolore della detenzione e della mancanza di libertà.
Una carrellata di animi sofferti, di lotte politiche, di dei, prostitute e donne salvifiche.

Cristina Francese