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L'anarchico che “sembrava un angiolo”

di Angelo Pagliaro


A Guido Nencini vennero attribuiti, senza prova alcuna, due omicidi. Detenuto a Santo Stefano morì in circostanze misteriose, come Gaetano Bresci, vicino alla cui tomba fu sepolto. Un'attenta rilettura delle testimonianze rese all'epoca dei fatti, conservate nell'archivio comunale di Certaldo (Fi), potrebbe consentire una sua riabilitazione tardiva, ma necessaria?


“Mentre l'orologio di Volterra batteva le 10 ore di sera e eravamo già nascosti alla metà della cinta in un piccolo buco con gli altri due compagni della mia cella e quando alle tre del mattino sotto una intensa pioggia sortimmo dal nascondiglio che da 5 ore non ci si poteva muovere, diedi l'ultimo sguardo alle camere dei miei compagni e in particolare alla cella n. 10, dove era rinchiuso il mio più fedele compagno Guido Nencini, che il Tribunale di Firenze lo condannò all'ergastolo e si sentiva alla morte cavarcai l'ultimo ostacolo che mi divideva dalla libertà, e quello fu l'ultimo sguardo e l'ultimo addio, proseguendo la mia strada che il destino mi aveva assegnato1”.
Questo il racconto di Oscar Scarselli (Lo zoppo) del suo addio a Guido Nencini e Alfredo Arrigoni, quando la notte tra il 4 e il 5 ottobre 1924 evase, insieme a Giuseppe Parenti e Giovanni Urbani, dal Mastio di Volterra. Guido era per lui il fedele compagno di tante lotte: dalle barricate di Certaldo alla resistenza armata contro il fascismo, nei boschi di tre province toscane.
Ma chi era Guido Nencini?

La nascita

Guido Nencini nacque a Certaldo (Fi) il 24 settembre 1896 da Gabriello, un uomo alto dal fisico possente, ribelle e dal carattere indipendente che di mestiere faceva il barrocciaio e Maddalena Zanaboni. Da ragazzo trovò lavoro come operaio in un pastificio e militò nel gruppo anarchico, fondato da Ferruccio Scarselli, aderente all'Unione Anarchica Italiana (UAI). Il 28 febbraio 1921 rimase coinvolto nella rissa scoppiata in piazza Solferino (oggi Piazza Boccaccio) a Certaldo (Fi), durante la festa della Fiera. Nel corso degli scontri vennero feriti Egisto Scarselli e un carabiniere, Leonardo Sebastiani, e venne colpito a morte l'Ingegnere socialista Catullo Masini, che si era recato in piazza per calmare gli animi.

La morte di Catullo Masini, le menzogne e la verità

Il grave ferimento e poi la morte dell'Ing. Catullo Masini, funzionario comunale e stimato esponente del Partito Socialista venne ingiustamente attribuita a Guido Nencini mentre tutte le testimonianze, compresa quella della sorella di Catullo, la signorina Ebe (che accorse in soccorso del fratello), indicavano come luogo di partenza degli spari una finestra dell'abitazione di proprietà di una nota famiglia fascista.
La versione di Ebe Masini venne confermata anche da G. Nencini e L.Guerrini2 che nel loro saggio scrissero:
“Da una finestra vicina, ad opera di individui che poi sarebbero divenuti notissimi fascisti, partiva una nutrita scarica di revolverate, che feriva lievemente alcuni popolani e mortalmente l'Ing. Masini, che stramazzava al suolo”.
D'altra parte Guido Nencini conosceva bene i Masini e questi lo stimavano per la sua generosa disponibilità, oltre che condividere le sue idee antifasciste. Dopo i fatti della Fiera, ancora Ebe Masini ebbe a dichiarare:
“Guidino, poverino era tanto un buon ragazzo e ogni volta che avevamo bisogno di aiuto si faceva in quattro per noi. Non può essere stato lui a far del male a Catullo perchè si volevano bene”.
La signorina Ebe, determinata e spinta dal desiderio di giustizia, si recò immediatamente dopo i fatti della Fiera dai carabinieri per rilasciare una testimonianza spontanea, ma non fu ricevuta.
Nel corso degli anni, in molte occasioni pubbliche, non ultima la recente presentazione del libro sulla Banda dello Zoppo avvenuta a Certaldo il 27 febbraio 2016, si è rievocata la scena di quando Ebe si precipitò in piazza per soccorrere il fratello ferito è gridò:
“Me l'hanno ammazzato i fascisti, sono stati quei fascisti”.
Di tenore completamente opposto, ma chiaramente incongruenti, le dichiarazioni del fratello di Catullo Masini il quale, interrogato dai carabinieri, dichiarò che Catullo, in punto di morte, gli avrebbe sussurrato che a colpirlo era stato un giovane alto, magro e biondo tracciando, così, l'identikit di Guido Nencini.
Naturalmente molti si chiesero e si chiedono tuttora:
“Che bisogno aveva Catullo di dare solo degli indizi quando, se davvero avesse voluto indicare Guido Nencini, avrebbe potuto farlo con nome e cognome vista la frequentazione familiare?”.
La risposta è una ed una sola: volle tutelare dai fascisti la propria famiglia di forte tradizione socialista! Ricordiamo, difatti, che i fratelli Masini erano nipoti di Giulio Masini, noto Deputato del PSI, Presidente della Provincia di Firenze, medico di fama e massone, fondatore della I Internazionale Empolese, impegnato sin da giovane nel movimento socialista
Un'attenta rilettura dei verbali delle altre testimonianze rese all'epoca dei fatti, conservate nell'archivio comunale di Certaldo, potrebbe consentire una sua riabilitazione tardiva ma necessaria?

Guido Nencini durante il servizio militare

Alla macchia con la Banda dello Zoppo

In seguito ai fatti della Fiera, nonostante fosse nato da poco il suo unico figlio, Otello, avuto da Elisa Veracini (una delle prime donne condannata dal Tribunale Speciale), Guido Nencini si diede alla macchia insieme ad altri rivoluzionari dando vita alla “Banda dello Zoppo”3, così denominata perché guidata dall'anarchico Oscar Scarselli che, a causa di una poliomielite contratta da bambino, era claudicante.

L'uccisione dell'Ing. Mario Filippi e lo scioglimento della Banda

Il 25 giugno 1921, nei pressi di San Vivaldo, Comune di Montaione, Guido Nencini partecipò al sequestro di un proprietario terriero, Mario Filippi, compiuto per ricavarne un cospicuo riscatto, utile per far fronte ai bisogni della Banda. Le trattative fallirono perché Filippi, al contrario di quanto concordato, chiese l'intervento dei carabinieri e il gruppo resistenziale, sentendosi tradito, decise di fargliela pagare. Filippi, nella fasi concitate di una sparatoria fu ferito gravemente da due colpi di moschetto e morì il giorno seguente. Una testimone della trattativa fu Egle Salvatori, moglie di Cesare Corti con il quale gestiva a San Vivaldo una bottega di alimentari e altri articoli. I Corti erano amici della famiglia Filippi e il 25 giugno, l'ingegnere Filippi ed Egle viaggiarono sullo stesso calesse. Nel corso dell'animata discussione tra Filippi e i membri della Banda, Egle Salvatori ebbe uno scatto improvviso e saltò sul calesse. Un componente della Banda cercò di farla scendere e le strappò la collana e gli orecchini di zaffiro e perle provocandole delle abrasioni al collo. Egle reagì scoprendogli il volto mascherato e lo vide bene in faccia descrivendolo, in seguito, così: molto giovane appena superata la ventina, capelli lunghi e biondi; “sembrava un angiolo”.

Il tentativo di fuga in Svizzera e l'arresto

Sciolta la Banda, Guido Nencini cercò di espatriare in Svizzera ma, il 10 agosto 1921, venne arrestato a Ventimiglia insieme ad Alfredo Veracini, un altro membro della Banda dello Zoppo. Nel corso dell'udienza, tenutasi presso la Corte d'Assise di Firenze (1925), Guido si dichiarò vittima della reazione, negando di avere sparato a Catullo Masini e reagì, alle accuse di Egle Salvatori, sputandole in faccia. Ritenne, con quel gesto, di opporsi ad un esercizio veramente meschino: essere accusato, in assenza di prove,  solo perché era già stato oggetto  di una precedente analoga falsa accusa. Tito Scarselli nel suo libro, così racconta le fasi dello scontro armato in cui perse la vita Filippi:
“Appena vedemmo che lo scontro si faceva più intenso, per prima cosa decidemmo di liquidare Filippi. Al tempo stesso aprimmo il fuoco verso le forze nemiche, di cui potevamo ben vedere la disposizione. Presto, il fragore delle fucilate si fuse con lo scoppio delle bombe a mano, che avevamo cominciato a lanciare. Fortunatamente, il nemico era costretto a sparare alla cieca. Si creò tra loro una tale confusione, che le loro stesse automobili ne intralciarono la fucileria”.
La responsabilità della morte di Filippi ricadde ancora una volta su Guido Nencini, senza che nessuno abbia mai valutato l'effettiva dinamica dei fatti. Bisogna, a distanza di tanti anni, riconsiderare, alla luce del ritrovamento del racconto di Tito Scarselli, anche l'ipotesi che Filippi possa essere stato vittima del “fuoco amico”, ossia non escludere l'ipotesi che fascisti e carabinieri, costretti a “sparare alla cieca”, abbiano potuto colpire accidentalmente l'ingegnere.

Gabbriello Nencini, padre di Guido

Suicidato come Gaetano Bresci nel carcere di Santo Stefano?

Deportato nell'infernale penitenziario dell'isolotto di Santo Stefano, dopo cinque anni di inenarrabili torture e vessazioni, Guido Nencini morì il 28 ottobre 1926. La causa della morte, dichiarata dai responsabili del penitenziario borbonico fu “enterocolite acuta”, ma da subito i familiari non credettero a questa versione. Due giorni prima che giungesse ai familiari la notizia della morte di Nencini a Santo Stefano, al fratello Alfredo arrivò una lettera nella quale il caro Guido lo esortava a non occuparsi mai di politica. “La politica è la cosa più sporca che ci sia e rovina la vita delle persone” scrisse Guido al babbo dopo averlo rassicurato sul suo stato di salute.
Alfredo Nencini, dopo aver appreso la triste notizia, partì subito per Ventotene per indagare su quella morte improvvisa che non lo convinceva per nulla, ma ottenne solo l'“amichevole” consiglio di ritornare subito a casa che il fratello non glielo avrebbero fatto vedere né avrebbero restituito il corpo. Solo uno dei secondini, avvicinandolo, gli sussurrò in un orecchio che Guido Nencini “era morto perché parlava troppo”. Il corpo dell'“angiolo biondo” se fosse stato analizzato dai familiari e dai sanitari di fiducia “avrebbe parlato” e quindi si preferì seppellirlo, in fretta e furia, vicino a quello di Gaetano Bresci nella piccola area cimiteriale del penitenziario.

La verità del postino detenuto a Santo Stefano

Sul finire degli anni '40, Giuseppina Nencini (oggi 98enne), figlia, in secondo matrimonio, di Gabbriello, babbo di Guido, gestiva, con il marito, un ristorante a Rieti. Un giorno il postino le consegnò una lettera dei suoi familiari e chiese, ad alta voce, chi fosse Giuseppina Nencini e se avesse dei legami di parentela con un detenuto di Santo Stefano. Alla sua risposta affermativa le raccontò di essere stato anche lui detenuto in quel carcere, sotto il fascismo, in una cella vicina a quella di Nencini e aggiunse:
“che cosa non gli hanno fatto a quel povero ragazzo, quando si hanno familiari così... per il bene che gli si vuole, meglio ammazzarli con le nostre mani, prima di farli andare in mano ai fascisti”. E poi concluse:
“nell'ultimo periodo l'avevano messo in una cella sotterranea, invasa dall'acqua. Aveva un secchio per buttar via l'acqua in modo che il livello non salisse troppo e raggiungesse la tavola dove dormiva. Era sempre nell'umido, al freddo, quasi senza mangiare... come poteva il suo corpo resistere a tanto? Quando li volevano morti li mettevano lì!”.
Un altro omicidio di Stato conservato alla perfezione!

Angelo Pagliaro
angelopagliaro@hotmail.com

Note

  1. Cfr. A.Pagliaro, La famiglia Scarselli. Volti, idee, storie e documenti di una famiglia anarchica temuta da tre dittature, Cosenza, Ed.Coessenza, 2012 pp. 192-193
  2. Cfr. G. Nencini, L.Guerrini, il 28 Febbraio 1921 a Certaldo, in Miscellanea Storica della Valdelsa n. 189/197, pp.124-132
  3. Sulla storia della Banda dello Zoppo si veda anche:
    L.Lagorio, La vita a Volterra negli anni trenta. Come un'antica città e un popolo orgoglioso hanno attraversato il fascismo, Firenze 1995 e Ribelli e briganti nella Toscana del Novecento. La rivolta dei fratelli Scarselli e la banda dello Zoppo in Valdelsa e nel Volterrano, Olschki, Firenze, 2002, pp. 152 e 35 tavole fuori testo. A. Pagliaro, La famiglia Scarselli. Volti, idee, storie e documenti di una famiglia anarchica temuta da tre dittature, editrice Coessenza, Cosenza 2012, pp. 216; A.Pagliaro, M.Capecchi, F.Poggi, La banda dello zoppo. Storie di resistenza armata al fascismo. I fratelli Scarselli e della Banda dello Zoppo, nel racconto dei protagonisti e della stampa dell'epoca, editrice Coessenza, Cosenza, 2016, pp.225; R. Salvestrini, Montaione al tempo dell'ultima guerra Prima, durante e dopo (1920-1950) all'indirizzo: http://www.montaione.net/wp-content/uploads/2013/03/Montaione-al-tempo-dellultima-guerra-Prima-durante-e-dopo-1920-1950.pdf