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                 Quel 
                  campo di concentramento 
                  in Toscana 
                scritti di 
                  Giorgio Sacchetti, Alfonso Failla, Fabio Santin 
                  illustrazioni di Marco Giusfredi, Fabio Santin 
                   
                   
                  Queste sedici 
                  pagine sono dedicate al Campo di concentramento di Renicci d'Anghiari 
                  (Arezzo), nel quale tra l'agosto e il settembre 1943 furono 
                  internate alcune centinaia di anarchici, “liberati” 
                  da Ventotene e da altre isole di confino e appunto trasportati 
                  qui, a differenza dei confinati di tutte le altre forze politiche 
                  che furono immediatamente liberati. Con il risultato che gli 
                  anarchici, dopo un'evasione di massa dal Campo di Renicci, poterono 
                  raggiungere le loro località e iniziare la Resistenza 
                  con due mesi di ritardo rispetto ai comunisti, socialisti, giellini, 
                  ecc...  
                  Si inizia con la storia del Campo scritta da Giorgio 
                  Sacchetti, che ci tiene sempre a specificare che quel 
                  Campo, nato come struttura voluta dal Fascismo, fu in quei tempi 
                  appannaggio del governo Badoglio, primo governo dell'Italia 
                  post-fascista. Il che dà all'intera vicenda un sapore 
                  ben diverso.  
                  Segue la (ri)pubblicazione di una testimonianza di Alfonso 
                  Failla (Siracusa 1906-Carrara 1986), una delle figure 
                  più importanti dell'antifascismo anarchico, sicuramente 
                  un “decano” del confino (dal 1930 al 1943). Failla, 
                  che fu tra i protagonisti della rivolta degli internati, narra 
                  in questo scritto l'intera parabola della presenza anarchica 
                  a Renicci.  
                  E a un libro che ne tratta la vita e l'impegno antifascista 
                  è dedicata “la buona stampa” di Marco 
                  Giusfredi.  
                  Chiude questo dossier la presentazione, da parte dell'autore 
                  Fabio Santin, di una graphic novel 
                  di prossima pubblicazione, di cui anticipiamo sei tavole, non 
                  in sequenza, che danno un'idea di come sarà il libro. 
                 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   Renicci d'Anghiari (Ar), 1943 - Il lavatoio (fonte: www.cnj.it)  | 
                   
                 
                 
                Renicci d'Anghiari 
                  
                Campo 97 
                  
                di Giorgio Sacchetti 
                    
                Con il titolo  Campo 97, anarchici e slavi a Renicci nel 1943 è in preparazione una graphic novel realizzata da Paola Brolati e Fabio Santin della rivista ApArte. Curatore del progetto è Giorgio Sacchetti, storico dell'anarchismo, di vicende aretine e di numerosi altri temi. 
                  Pubblichiamo una sua presentazione storica di quel campo di 
                  concentramento italiano. A seguire alcune tavole (in anteprima) 
                  della  graphic novel e una testimonianza 
                  dell'anarchico  Alfonso Failla (Siracusa 
                  1906-Carrara 1986) che a Renicci fu rinchiuso e poi fu tra gli 
                  animatori della rivolta e della fuga generale.  
                 
                  Qualcuno ancora ricorderà 
                  Ventotene, storie di confinati edito nel 2007 da Annexia, 
                  un fumetto di grande fascino (introdotto da Paolo Finzi, con 
                  prefazione di Silverio Corvisieri, autori Fabio Santin per i 
                  disegni e Marco Sommariva per i testi). Ecco, quella storia 
                  ora continua con una nuova graphic novel, una sorta di “seconda 
                  puntata” in corso di pubblicazione. Si riprendono le vicende 
                  di quei confinati antifascisti che – nonostante la caduta 
                  del fascismo – si ritrovarono, dopo l'esperienza di Ventotene, 
                  ancora reclusi in un campo d'internamento e trasferiti in Toscana. 
                  Gli anarchici, i comunisti dissidenti e gli slavi subirono dunque 
                  la medesima sorte e furono oggetto della medesima discriminazione. 
                  Le tavole, che qui anticipiamo per i lettori di “A rivista”, 
                  hanno un impatto emozionale notevole, flash di storie di vita 
                  incredibili. La mano inconfondibile è sempre quella di 
                  Santin, mentre la sceneggiatura e i testi – di grande 
                  efficacia narrativa – sono questa volta curati da Paola 
                  Brolati. Il titolo è Campo 97, anarchici e slavi a 
                  Renicci nel 1943, 96 pagine in totale, 71 tavole di disegno, 
                  formato 17x28. Nel libro ci sarà una breve introduzione 
                  storica di Giorgio Sacchetti ed una postfazione del regista 
                  Andrea Merendelli (e l'editore sarà una sorpresa). L'uscita 
                  del volume è prevista entro la fine dell'estate 2016. 
                  Rigoroso l'utilizzo delle fonti con scelta accurata della bibliografia, 
                  delle testimonianze (Alfonso Failla, Umberto Tommasini, Giorgio 
                  Jaksetich, Beppone Livi...) e con l'utilizzo del diario inedito 
                  di Corrado Perissino, soggetto narrante, anarchico veneziano 
                  combattente nella guerra di Spagna. 
                  L'impiego del fumetto ci appare, nella fattispecie, un modo 
                  molto serio di comunicare la storia; è uno strumento 
                  raffinato, ottimo anche per la didattica, per cogliere i significati 
                  reconditi delle contro-storie. 
                  Renicci d'Anghiari, tappa fondamentale nella cronologia dell'anarchismo 
                  italiano, rappresenta anche il paradigma storiografico evidente 
                  di una “continuità” sottaciuta tra fascismo 
                  mussoliniano e postfascismo badogliano. 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   Un buono per lo spaccio del Campo (fonte: campifascisti.it)  | 
                   
                 
                Il campo 
                A Renicci d'Anghiari, località della Valtiberina toscana, 
                  si trovava uno dei peggiori campi di concentramento d'Italia 
                  per numero di internati e per i comportamenti tenuti dal personale 
                  di sorveglianza. Destinato ad accogliere fino a novemila prigionieri 
                  di guerra, è adibito agli internati civili pur rimanendo 
                  sotto la competenza dell'amministrazione militare. All'arrivo 
                  degli antifascisti italiani (anarchici in gran parte) e degli 
                  slavi già confinati a Ventotene – dopo il 25 luglio 
                  1943 – vi si trovano rinchiusi in 4.500, tutti prigionieri 
                  'ribelli' deportati dalla Jugoslavia (sloveni, montenegrini, 
                  croati) catturati nelle operazioni di rastrellamento, talvolta 
                  accompagnati dalle famiglie. Ben 500 i militari addetti alla 
                  sorveglianza. 
                  Il regime di vita, secondo le testimonianze degli internati 
                  ma anche del cappellano incaricato dell'assistenza religiosa 
                  don Giuliano Giglioni, è bestiale al punto che lo stesso 
                  sacerdote riferisce nel suo diario, a proposito dei numerosi 
                  decessi per freddo, scarsa igiene, fame, dissenteria e altre 
                  malattie: “I primi furono seppelliti nel cimitero parrocchiale 
                  [alla vicina antica pieve di Micciano], ma dietro il mio 
                  interessamento presso il comune di Anghiari fu riadattato il 
                  vecchio camposanto”. Alcuni muoiono nonostante il 
                  tardivo ricovero negli ospedali di Castiglion Fiorentino, Anghiari, 
                  Subbiano e Sansepolcro. Alla fine il conto dei morti ammonta 
                  a 157. 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   Renicci d'Anghiari (Ar) - Giuseppe Pistone, colonnello  comandante 
                  a Renicci (fonte: www.storiaememorie.it)  | 
                   
                 
                 Il campo, dove non mancano neppure gli invalidi, gli adolescenti 
                  ed i bambini - “uomini di età dai 12 ai 70 anni” 
                  -, è diviso in tre settori ciascuno composto di 12 baracche 
                  e separati da inavvicinabili reti metalliche. Le persone sono 
                  stipate in 15 per ogni tenda e 250 per ogni baracca, ristrette 
                  in pagliericci infestati dai pidocchi. Le latrine sono all'aperto. 
                  Mancano vestiti e coperte. Tutt'intorno vi sono tre ordini di 
                  filo spinato di altezza varia intervallati e con altane di 4 
                  metri per la sorveglianza armata e fari per l'illuminazione 
                  notturna. Le pattuglie di guardia nel loro giro disturbano continuamente 
                  il sonno dei prigionieri. Al mattino presto ed in qualsiasi 
                  condizione metereologica anche i malati sono costretti a presenziare 
                  per ore all'adunata per l'appello. Assomiglia parecchio a un 
                  “lager” - il “campo n.97” secondo 
                  la numerazione assegnata dalle autorità militari - funzionante 
                  fin dal settembre / ottobre 1942 costituito da un primo nucleo 
                  di baracche a cui poi si era aggiunta una vera e propria tendopoli. 
                  In estate si lamentava la mancanza d'acqua potabile e d'inverno 
                  il freddo notturno ed il fango causato dalle piogge. Il vitto 
                  è scarso, costituito da una magra razione giornaliera 
                  di “qualche centinaio di grammi di pane e di poca minestra, 
                  alternativamente di carota o di patate non sbucciate e di acqua 
                  pompata direttamente dal sottostante fiume Tevere”; 
                  e spesso il tutto è integrato persino dalle ghiande, 
                  così come denuncia - ma invano - la Croce Rossa in un 
                  suo rapporto al ministero dell'interno. 
                  La disciplina nel campo - una volta caduto il fascismo - è 
                  mantenuta dai 'badogliani', talvolta con il terrore e ricorrendo 
                  persino a finte fucilazioni. Dunque nel segno della continuità. 
                  Il 23 agosto nella piccola stazione di Anghiari sulla (oggi 
                  soppressa) linea secondaria per Sansepolcro, i nuovi arrivati 
                  possono già percepire la terribile situazione verso la 
                  quale sono stati sospinti: centinaia i soldati ed i carabinieri 
                  in assetto di guerra, fatti affluire sul posto per l'occasione, 
                  si incaricano senza troppi complimenti di perfezionare l'operazione 
                  di internamento degli antifascisti giunti da Ventotene. Iniziano 
                  i maltrattamenti e le perquisizioni personali. 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   Renicci d'Anghiari (Ar) - Angiola Crociani e  l'anarchico 
                  Beppone Livi, partigiani che  coordinano il soccorso ai prigionieri 
                  (fonte:  Archivio privato famiglia Draghi, Anghiari)  | 
                   
                 
                 Nel campo un reticolato separa i nuovi arrivati dagli slavi. 
                  La presenza nel campo degli anarchici (e di alcuni comunisti 
                  istriani e giuliani) - che si aggiunge a quella di un altro 
                  gruppo di antifascisti italiani e sloveni appena giunti da Ustica 
                  - il loro risoluto atteggiamento di opposizione verso i soprusi 
                  perpetrati dal personale di sorveglianza, creano in qualche 
                  caso un relativo miglioramento delle condizioni di vita, specie 
                  nella disciplina. Per gli anarchici, in massima parte reduci 
                  dalla Spagna, risulta impossibile piegarsi alle ferree regole 
                  imposte da carabinieri e secondini. Contro la turbolenza dei 
                  nuovi arrivati non si esita a ricorrere ai mezzi repressivi 
                  più decisi quali le bastonature, la legatura al palo, 
                  la camicia di forza o il ricovero al Neuropsichiatrico di Arezzo. 
                  Da parte dei prigionieri tutti rimane comunque insopportabile 
                  l'idea che, caduto il fascismo, gli antifascisti debbano ancora 
                  rimanere reclusi. 
                  L'8 settembre i prigionieri chiedono in massa le armi per 
                  opporsi all'occupazione tedesca e per tutto il giorno seguente 
                  si organizzano comizi nei vari settori. Le altre richieste formulate 
                  riguardano: la restituzione degli effetti personali sequestrati, 
                  la consegna di una radio, l'assunzione in proprio del controllo 
                  del campo, il rifiuto di sottostare agli obblighi dell'appello. 
                  Sorge quindi subito l'esigenza di ristabilire l'ordine turbato 
                  fra i prigionieri. Il cappellano militare - l'istriano Antonio 
                  Zett - è fra i primi a sparare colpi di pistola in aria 
                  come avvertimento per i più turbolenti. Il colonnello 
                  comandante Pistone, il comandante in seconda ten. col. Fiorenzuola, 
                  ed il vice ten. Panzacchi “fascista di Bologna”, 
                  irritati anche per i canti sovversivi intonati in coro dai reclusi, 
                  non esitano a dare ordine di sparare sugli assembramenti e di 
                  piazzare le mitragliatrici. Segue una scarica di fucileria sugli 
                  insorti che provoca diversi feriti. 
                  Per piegare la volontà dei rivoltosi il comando del campo 
                  minaccia, ed in parte attua, il taglio della già magra 
                  razione giornaliera di rancio. Dalla prefettura di Arezzo si 
                  conviene intanto sull'opportunità, per non alimentare 
                  ulteriormente il clima di tensione, di non ostacolare l'eventuale 
                  fuga ove questa fosse tentata da parte degli internati italiani 
                  o anche di 'consentire' un esodo programmato e controllato. 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   Renicci 
                        d'Anghiari (Ar) - Giardino della memoria, 
                  Renicci oggi  | 
                   
                 
                La fuga e la Resistenza 
                Inizia la fase di dismissione progressiva della struttura concentrazionaria. 
                  L'11 settembre un gruppo di una decina di italiani viene prelevato 
                  e scortato dai carabinieri fino alla questura di Arezzo. Ma 
                  qui, anche a causa della grande confusione causata dall'arrivo 
                  quasi contestuale delle truppe germaniche, non ottenendo il 
                  foglio di via ed i documenti “necessari” promessi, 
                  il gruppo si disperde ed ognuno prende la via non facile di 
                  casa. A Firenze, dove nel giorno successivo alcuni sono giunti 
                  nel frattempo in treno e fortunosamente, gli ex internati apprendono 
                  con sgomento della avvenuta liberazione di Mussolini dal Gran 
                  Sasso e solo per poco evitano di essere nuovamente arrestati, 
                  questa volta dai tedeschi che stanno occupando la stazione. 
                
                   
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                    |   Planimetria del “Campo 97” (fonte: 
                  Museo della Resistenza, Sansepolcro)  | 
                   
                 
                 Intanto, fra le migliaia di slavi e le poche decine di internati 
                  italiani rimasti ancora a Renicci, matura l'idea di organizzare 
                  una fuga in massa. Il progetto prende immediatamente corpo nel 
                  pomeriggio del 14 settembre quando all'improvviso compaiono 
                  tre autoblinde tedesche alle porte del campo. Alla fuga degli 
                  ufficiali segue quella dei soldati e quindi, una volta creati 
                  i varchi nel recinto, di “tutta la fiumana dei cinquemila 
                  internati che si riversa in tutte le direzioni”, con 
                  grande impressione della gente che abitava nelle vicinanze. 
                  Lunghe file di prigionieri affamati e malmessi si incamminano 
                  così verso l'Appennino seguendo, almeno nelle intenzioni, 
                  la direzione Adriatico-Jugoslavia. “Sul fare della 
                  sera - annota don Giglioni nel suo diario - il campo 
                  è rimasto deserto”. 
                  Settecento degli sloveni fuggitivi sono invece catturati nei 
                  pressi di Bologna ed avviati nei lager in Germania; altri si 
                  aggregano alle formazioni partigiane nelle Marche e in Romagna, 
                  pochissimi riusciranno a raggiungere la Slovenia. La struttura 
                  recintata di Renicci è frequentata nei giorni seguenti 
                  da saccheggiatori alla ricerca di armi, coperte e indumenti 
                  militari. L'ex campo avrà ancora un uso limitato sotto 
                  la R.S.I., in particolare per internare i genitori dei renitenti. 
                  Al momento della grande fuga il Comitato Provinciale di Concentrazione 
                  Antifascista, con l'aiuto di don Nilo Conti, di Beppone Livi 
                  e di Angiola Crociani di Anghiari, aveva disposto l'accoglienza 
                  e la sistemazione degli ex internati rimasti in zona ed il loro 
                  reclutamento nei nuclei partigiani già in via di formazione 
                  sui rilievi montuosi intorno al capoluogo e nelle vallate aretine. 
                 Giorgio Sacchetti 
                  
                
                   
                    Leggere Renicci 
                      E. 
                        Droandi, Arezzo distrutta 1943-44, Calosci, Cortona, 
                        1995; 
                        C. S. Capogreco, Renicci. Un campo di concentramento 
                        in riva al Tevere, Fondazione Ferramonti, Cosenza, 
                        1998; 
                        G. Sacchetti, Renicci 1943. Internati anarchici: storie 
                        di vita dal campo 97, Aracne, Roma, 2014. 
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