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 Due obiezioni di coscienza, anzi tre 
  1. 
  La 
                  decisione relativa al comprare o al non comprare qualcosa non 
                  sempre affonda le proprie radici in mere questioni economiche. 
                  Spesso, ragioni politiche e ideologiche ci guidano in una direzione 
                  piuttosto che nell'altra. Per esempio, io sono tassativo nei 
                  confronti di tutti le merci i cui prezzi finiscono con i 99 
                  centesimi: non le compro. Di principio, qualsiasi cosa costi 
                  x virgola 99 centesimi escludo che possa interessarmi e l'argomento 
                  potrebbe anche valere nel caso i centesimi siano 95 o 90. Mi 
                  ribello all'idea che un essere umano possa considerare vantaggioso 
                  comprare qualcosa a un centesimo in meno dell'unità superiore 
                  e ritengo poco corretto – al limite del truffaldino – 
                  il comportamento di chi vende fissando questo prezzo. In ciò, 
                  vedo il segno di un'asimmetria offensiva: il venditore che ritiene 
                  il compratore tanto cretino da non accorgersi di ciò 
                  che paga, dicendo a se stesso di aver pagato l'unità 
                  inferiore in luogo di quella superiore meno un centesimo. C'è 
                  una logica di classe a monte di questa proposta di scambio. 
 2.
 Non con la stessa tassatività, ma con qualche sospetto 
                  guardo anche all'Outlet. Mi spiego. Potremmo considerare l'outlet 
                  come la deriva americana dello spaccio aziendale. Roba vecchia, 
                  in fin dei conti, roba da primo Novecento diffusasi poi epidemicamente 
                  in Europa dagli anni Settanta in avanti. In quanto soluzione 
                  di vendita non è difficile riconoscerle una ragione: 
                  se l'azienda vende direttamente al consumatore la propria merce, 
                  per il solo fatto di evitarne i costi di distribuzione, questa 
                  merce può costare di meno. In teoria, considerando il 
                  guadagno del negoziante e di chi gliela consegna, anche intorno 
                  al cinquanta per cento – forse di più, a seconda 
                  delle categorie merceologiche. Perlopiù l'outlet concerne 
                  l'ampio settore dell'abbigliamento, ma ci si può imbattere 
                  facilmente anche in outlet dedicato alle attrezzature sportive, 
                  ai cosmetici o ai prodotti casalinghi. Quando ero bambino – 
                  e quando, allora, se ne parlava ancora come di uno spaccio aziendale 
                  – andavo all'Alemagna e, passando per un ingresso sul 
                  retro, mi compravo un chilo di “sanagola” mal riuscite. 
                  Ma, per l'appunto, lo spaccio era connesso anche fisicamente 
                  all'azienda. Ora, il fatto che tra outlet e azienda produttrice 
                  a volte intercorrano chilometri, mi induce al sospetto che si 
                  tratti di un negozio come un altro, una messa in scena destinata 
                  a persuadere l'acquirente di aver fatto un “affare” 
                  eliminando, di fatto, scorte di magazzino e prodotti invecchiati. 
                  Anche il nome, l'americanata di turno, mi conferma l'ipotesi: 
                  Out–let sta propriamente per il “punto di uscita”, 
                  ma, per l'appunto, questo punto di uscita presuppone tutta una 
                  serie di altri punti – di entrata e di elaborazione – 
                  di cui si è perso la traccia.
 
 3.
 Una metafora minacciosa che sentivo usare molti anni fa è 
                  quella dell'“uscirne con i piedi in avanti”. Voleva 
                  dire: entra e ne esci morto. Ora, posso cercare di sottrarmi 
                  più a lungo possibile a questa mia futura condizione, 
                  ma sottrarmene per sempre non posso. Tuttavia, vorrei sottrarmi 
                  per sempre – lo chiedo espressamente a quei miei cari 
                  cui capiterà la bisogna – a quell'azienda che, 
                  definendosi “Outlet del funerale”, vanta a caratteri 
                  cubitali il prezzo di 1.099 euro. Alle ragioni politiche già 
                  espresse, posso aggiungere una ragione “semantica” 
                  che mi spinge a rifiutarmi in quanto eventuale cliente. Un funerale 
                  è già per conto suo un “punto di uscita” 
                  – il punto di uscita per eccellenza, oserei dire, il punto 
                  di uscita dalla vita stessa – e il punto di uscita del 
                  punto di uscita, sinceramente, mi sembra un'iperbole di cui 
                  si può fare a meno, una cinica americanata che non dovrebbe 
                  rimanere impunita.
  Felice Accame  P. s.: a Milano, ho trovato anche l'outlet dei “Kasalinghi”, 
                  scritto con la kappa. Anche qui, avrei i miei dubbi. Se dovessi 
                  applicare la medesima logica in base alla quale negli anni Settanta 
                  si scriveva sui muri “Kossiga” con la kappa, dovrei 
                  concluderne che i “casalinghi” sono nemici del popolo 
                  – popolo che, pertanto, dovrebbe star bene attento a non 
                  entrarci. Il che risulterebbe contraddittorio con la “mission” 
                  (si dice così, no?) dell'impresa. Ne concludiamo che, 
                  sommersi e boccheggianti nel mar dei sargassi dei segni, stiamo 
                  perdendo contezza dei significati delle parole che usiamo e 
                  della loro storia? Che pur di introdurci in questo onnivoro 
                  mercato, siamo disposti a dimenticare, ignorare e tradire? Sì 
                  – per quanto doloroso sia ammetterlo –, perché 
                  no?P. p. s.: Nei mesi scorsi, avevo dato l'autorizzazione al mio 
                  editore di predisporre e mettere in vendita la versione e-book 
                  di tre miei libri. Poi non me ne sono più occupato. È 
                  soltanto dopo aver scritto queste note che mi è capitato 
                  di subire, in rete, una sorta di immediata vendetta del mondo 
                  nei confronti del mio pensiero critico. I miei tre libri, infatti, 
                  sono rispettivamente offerti a 5,99, 6,99 e 16,99 euro.
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