Rivista Anarchica Online





Caso Mastrogiovanni/
Nuova udienza del processo

Il caso Mastrogiovanni, “è un ulteriore grave caso di malasanità e di cattiva gestione della cosa pubblica e in particolare di quel bene fondamentale, tutelato dalla nostra Costituzione, che è il diritto alla salute”. Così ha esordito il Procuratore generale della Corte d'appello di Salerno, Elio Fioretti, all'inizio della sua requisitoria che è durata quasi due ore, nel corso della terza udienza del processo d'appello per la morte di Francesco Mastrogiovanni, svoltasi presso il Tribunale di Salerno venerdì 10 aprile 2015. Il magistrato, ripercorrendo tutte le tappe che hanno condotto alla tragica fine dell'insegnante libertario, ha messo a nudo una realtà raccapricciante, così come emerge dalla visione del “video dell'orrore”, caratterizzata da: condotte illecite, omissioni, violazioni degli obblighi professionali, violenza privata, maltrattamento, abbandono di incapace, il tutto in un regime di ricovero ripugnante e disumano.

Un compito semplice, grazie al video

La tranquillità d'animo con la quale il procuratore generale ha condotto la requisitoria non è stata dettata dalla routine professionale; al contrario abbiamo percepito, soprattutto in alcuni passaggi nei quali il magistrato ha parlato dei diritti dei disabili, dei malati, dei dementi, una forte preoccupazione democratica. Che quella di Mastrogiovanni fosse una storia sbagliata, dall'emissione del TSO (trattamento sanitario obbligatorio) illegale, al decesso “scoperto” dopo sei ore dai sanitari, era già emerso nel processo di primo grado. Oggi si afferma che essa è anche una storia triste ma semplice, in quanto la prova evidente esiste ed è inoppugnabile, incorruttibile, oggettiva. A nulla sono valsi i tentativi, consumati in questi anni, di escludere gli infermieri da ogni responsabilità, riparandosi dietro “situazioni fortemente emergenziali” verificatesi nel reparto di psichiatria di Vallo della Lucania. Sulle responsabilità di 11 su 12 infermieri il procuratore generale è stato categorico dichiarando: “Il mio compito è sicuramente semplice” perché esiste un video. “Gli imputati non meritano nessuna attenuante perché hanno violato i loro doveri professionali e di umanità. Non avevano alcuna intenzione di curare”.

Interrogativo inquietante

L'interrogativo più inquietante che il Procuratore generale ha posto a se stesso e alla corte durante la requisitoria, in merito alla continua violazione dell'ordine costituito, delle norme penali, civili, umane da parte degli imputati è il seguente: “Si è verificato un eccezionale contrasto di queste condotte con le norme dello Stato o si è verificato un consolidato contrasto tra norme dello Stato e le norme dell'ordine all'interno della struttura sanitaria?” Quindi, nel reparto di psichiatria oggetto di indagine e sequestro, si era affermato una sorta di ordine costituito. Questo dato è emerso dagli interrogatori di altri pazienti contenuti prima di Mastrogiovanni, la cui contenzione non è stata mai segnalata nella cartella clinica. Prassi consolidate, secondo delle regole interne in contrasto con le norme costituzionali, molto più simili a quelle vigenti a Guantanamo che non in un ospedale civile italiano. La risposta più efficace a questa domanda è nei contenuti stessi della requisitoria del procuratore generale e in particolare nella dichiarazione del muratore G.M., definito da Fioretti il “paziente giocoliere”, compagno di stanza e di sventura di Mastrogiovanni: “Mi hanno legato senza dirmelo, - ha dichiarato G.M. - ed è stato il dott. Di Genio a disporre la mia contenzione, come poi mi ha detto il dott. Mazza, ch'era del mio paese [...] Gli infermieri e i medici passavano raramente. Nel mio letto gridavo che avevo sete, dopo aver gridato a lungo è venuto un infermiere piccolino a portarmi meno di mezzo bicchiere d'acqua, assolutamente insufficiente in quei giorni di grande caldo. E così vedendo vicino al mio letto un tavolo con una bottiglia d'acqua sopra sono riuscito ad avvicinarlo tirandolo con un piede e sono riuscito a bere facendo cadere la bottiglia acchiappandola con la bocca e così placai la mia arsura. Quando mi portarono nella stanza dov'era Mastrogiovanni lo trovai già legato alle mani e ai piedi. Il primo giorno si lamentava solo qualche volta e si dimenava meno. La sera del 3 agosto gridava moltissimo, lamentandosi e dimenandosi, chiedeva aiuto, non glielo ha dato nessuno, respirava affannosamente. L'ho sentito gridare fino alla mezzanotte, poi mi sono addormentato”.

Le critiche alla sentenza di primo grado

Pur riconoscendo alla dott.ssa Garzo, giudice monocratico nel processo di primo grado, di aver emesso una sentenza particolareggiata, il procuratore generale Fioretti critica il fatto che la stessa giunge a conclusioni che non possono essere condivise, soprattutto per quanto riguarda la posizione degli infermieri. A parere di Fioretti, la giudice Garzo non ha tenuto conto dell'evoluzione legislativa che prevede che gli infermieri siano soggetti attivi, con piena autonomia professionale di scelta e responsabilità e quindi avevano l'obbligo di denunciare gli abusi e i comportamenti disumani che si verificavano sotto i loro occhi. L'art. 17 del codice deontologico, difatti, afferma che l'infermiere, nell'agire professionale “è libero da condizionamenti”, mentre nell'art. 30 ribadisce che lo stesso “si adopera affinchè il ricorso alla contenzione sia evento straordinario, sostenuto da prescrizione medica o da documentate valutazioni assistenziali”.
Al termine della lunga e articolata requisitoria, il Procuratore generale ha formulato le seguenti richieste di condanna: 5 anni e 4 mesi per i medici Michele Di Genio, Rocco Barone e Raffaele Basso, che erano stati già condannati rispettivamente a 3 anni e 6 mesi e 4 anni; per Anna Angela Ruberto 4 anni e 8 mesi (condannata a 3 anni) e per Amerigo Mazza e Michele Della Pepa 4 anni e 4 mesi, (condannati a 3 e 2 anni). Per i dodici infermieri (di cui solo 5 presenti in aula), assolti nella sentenza del 30 ottobre 2012, Fioretti ha chiesto per otto di loro una pena di 4 anni e 8 mesi e per gli altri tre, 4 anni.
La sentenza è prevista per il 18 settembre 2015.

Angelo Pagliaro



Canale umanitario e detenzione amministrativa/
Gli appelli di Melting Pot Europa

Tanta commozione davanti ai morti in mare che in questi giorni hanno riempito le pagine di tutti i notiziari mainstream, il Mediterraneo diventa sempre più tristemente noto per le guerre che lo circondano e per il sangue versato a causa dei numerosi naufragi che ci sono, a largo delle coste italiane, ma non solo. Dall'inizio del 2015 è aumentato in modo consistente il numero dei migranti che arrivano in Italia, che è una delle principali porte di ingresso nell'Unione Europea, tra questi le persone che hanno perso la vita sono troppe ed è un peso che diventa sempre più insopportabile sostenere.
È dagli inizi degli anni '90 che si parla di flussi migratori nel nostro Paese, i quali però non possono essere regolati e, come è stato fatto per troppo tempo, non si può risolvere la questione respingendo coloro che arrivano con leggi restrittive che alimentano la clandestinità. Le operazioni millantate dal nostro Premier per punire direttamente i trafficanti non sono che frutto di commenti ipocriti atti solo a lavarsi la coscienza, quando invece la soluzione da intraprendere adesso sarebbe quella di istituire un corridoio umanitario per agevolare l'arrivo in sicurezza di chi decide di scappare dalla sua terra e stabilire la possibilità di ottenere il diritto di asilo in luoghi attrezzati vicini alle zone di fuga.
Con l'eliminazione di Mare Nostrum, un'operazione nel suo complesso insufficiente, ma che almeno ha garantito la salvezza di migliaia di profughi durante il 2014, e con l'istituzione di Triton, l'Italia e l'Unione Europea non hanno fatto che l'ennesimo passo indietro in materia di immigrazione: prevedere il controllo delle acque internazionali solamente fino a 30 miglia dalle coste italiane con lo scopo principale di controllare la frontiera e non attivarsi per il soccorso non può considerarsi accettabile. Rafforzare le file di Triton raddoppiandone i fondi ancora meno.
Ancora una volta alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni riprendiamo l'appello scritto prima della tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013, che resta tragicamente oggi ancora valido, in quanto - ora più che mai - vi è la necessità di: aprire dei percorsi autorizzati e sicuri di ingresso per chi fugge dalle persecuzioni; una degna accoglienza a partire dal riconoscimento del titolo di soggiorno oltre che di percorsi di inserimento nel territorio; un'immediata apertura dei confini interni all'Europa che privano migliaia di persone del diritto di scegliere dove arrivare.
Invitiamo tutti e tutte nelle diverse città a scendere in piazza per avviare una campagna di sensibilizzazione rispetto a quanto accaduto e per non fermarsi al minuto di silenzio, in quanto la dignità e il rispetto della vita umana vengono prima di tutto. Per questo è importante partecipare, non solo restare in silenzio. Agire e moltiplicare le lotte antirazziste e contro i confini, per costruire un'Europa non più fortezza.

Di detenzione amministrativa si muore

Il Progetto Melting Pot Europa si sta occupando anche di un progetto di inchiesta sulle morti nei CPT e nei CIE. Dal 1998 ad oggi sono molti i casi di decesso che sono stati registrati all'interno dei Centri di Permanenza Temporanea e dei Centri di Identificazione ed Espulsione. L'idea di un progetto di inchiesta nasce dalla volontà di andare ad analizzare ogni singolo caso, cercando di capire come la magistratura italiana li abbia valutati e giudicati. [...] Il progetto non ha finalità giustizialiste, non si pone l'obiettivo di trovare una “giustizia legale”, giuridica, o peggio, una giustizia meramente tribunalesca. Non ci si vuole sostituire alle procure. L'intenzione piuttosto, è quella di entrare nei dettaglio dei fatti, studiando i documenti per raccontarli, cercando di capire i perché e le cause dei decessi, ma soprattutto, raccontando come lo Stato, attraverso i giudici ed i Pubblici Ministeri, si è pronunciato a seguito di questi episodi.
Dall'approvazione della Legge 40/1998, meglio conosciuta come Legge Turco-Napolitano passando per la Bossi Fini, abbiamo imparato a conoscere il fenomeno dell'internamento dei migranti in strutture di detenzione per “clandestini”. Da allora, migliaia sono state le persone rinchiuse dentro questi centri detentivi, e molte di queste hanno visto la fine della loro esistenza proprio lì dentro. [...]
L'intenzione di questo progetto di inchiesta, nasce quindi dalla necessità di andare a conoscere e raccontare nel dettaglio, attraverso lo studio dei documenti e le testimonianze dirette di chi ha conosciuto e vissuto quei momenti, i casi di decesso all'interno dei CPT e dei CIE.
Siamo consapevoli si tratti di un progetto ambizioso, forse unico nel suo genere, che va oltre le righe per andare a muoversi all'interno dei tortuosi meandri della burocrazia, andando a toccare un tema ancora poco conosciuto che tratta di “sconosciuti” e di numeri chiamati più semplicemente “clandestini”. Ma è proprio partendo da questa grande ambizione che vogliamo realizzare un progetto d'inchiesta aperto e allargato alle varie identità interessate, soggettive e/o collettive.
Siamo convinti che è soltanto grazie al lavoro di cooperazione tra tanti e tante che si possa arrivare a raggiungere l'obiettivo prefissato: diffondere la verità semplicemente addentrandosi e raccontando i fatti. Per fare questo, c'è la consapevolezza quindi della necessità di realizzare un percorso partecipato con tutti e tutte coloro che vogliono contribuire a ricostruire e raccontare ogni singolo caso. Pertanto stiamo cercando studiosi ed esperti dei diritti umani e delle tematiche del diritto dell'immigrazione, fotografi, videomaker, giornalisti, grafici, internauti, mediatori culturali e tutti coloro, singoli, associazioni e organizzazioni non governative, disposti a mettere a disposizione di questo progetto le loro conoscenze ed esperienze per raccontare, attraverso le immagini e le parole, verità dimenticate o nascoste. Per partecipare, visitare il sito www.meltingpot.org e inviare una e-mail a inchiestacie@meltingpot.org. Siamo anche su Facebook e su Twitter.

Progetto Melting Pot Europa