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 Diario dei giorni di pena L'affaire “Charlie Hebdo”
 
 La prima copertina dopo la morte ...poi tutto si sciolse nella copertina. La prima copertina 
                  di Charlie Hebdo dopo l'attentato: un impegno da far tremare 
                  i polsi al più scafato dei disegnatori.Sarà che sono diventato proprio un vecchio coglione, 
                  pronto più a commuoversi che a digrignare i denti... 
                  ma, date le premesse di questi giorni, io la trovo sublime. 
                  «Tutto è perdonato»: non osate fare nessuna 
                  violenza e guerra in nostro nome. Nessun trionfalismo, nessun 
                  vittimismo. Si riafferma solo il diritto a rappresentare l'irrappresentabile 
                  Profeta Maometto, perché quello è il coraggio 
                  del proprio mestiere. Per il resto non è il sangue versato 
                  più vicino che ci può far dimenticare a quanto 
                  se n'è versato e se ne versa dove noi non sappiamo o 
                  non vogliamo vedere. Niente rosso, un campo monocromo, verde 
                  come la speranza di un campo irlandese, e dentro questo verde 
                  non ci sono moltitudini solidali in marcia, ipocrite come i 
                  capi di stato che hanno marciato a Parigi, ma una sola figura 
                  che dice tutto. «Tutto è perdonato», perché 
                  da qui ricomincia le denuncia e la lotta.
 
  Chioso 
                  subito la mia interpretazione: se si capovolge il disegno, il 
                  volto turbantato di Maometto, ha evidentemente il contorno di 
                  un cazzo (Charlie è pur sempre Charlie, mica la confraternita 
                  del Sacro Cuore di Gesù!) giusto sotto il cartello «Je 
                  suis Charlie»... cioè (e rivolto in special modo 
                  ai capi di stato e agli ipocriti vari) «Je suis Charlie» 
                  un cazzo! Inoltre il verde, nell'intenzione dell'autore di questa copertina, 
                  ha certamente più a che fare col colore rappresentativo 
                  dell'Islam che con l'Irlanda. L'Irlanda è un cortocircuito 
                  mentale solo mio: in questi giorni inquieti sono andato a vedere 
                  il film di Ken Loach Jimmy's Hall e l'ho trovato bellissimo. 
                  Un dopoguerra catramoso e pesante, con gli ex-rivoluzionari 
                  giunti al potere che fanno pace con una chiesa cattolica preoccupata 
                  di consolidare la propria egemonia e i propri privilegi, a discapito 
                  del popolo. Un film politico e duro, con delle vittime e dei 
                  momenti di violenza che non trovano né l'orrore, né 
                  la catarsi del sangue, ma che si lasciano dietro l'inquieto 
                  scetticismo di una rivoluzione repubblicana tradita.
 Il film e la rivista Charlie non c'entrano nulla fra di loro, 
                  ma – per la casualità del destino – questi 
                  giorni me li hanno fusi nella stessa pena.
 Condivido in quest'articolo il diario dei miei pensieri, fra 
                  il 7 e il 14 gennaio del 2015, mettendo assieme anche le riflessioni 
                  già apparse sui miei profili Facebook.
 La strage e il mugugno Il 7 di gennaio intorno alle 13 mi trovo a casa dei miei genitori 
                  a Lecce, attaccato allo schermo del mio computer portatile come 
                  mi capita troppo spesso. È lì che mi arrivano 
                  le notizie e la concitazione del momento dall'altra stanza, 
                  dove la TV è accesa. Penso subito in termini molto feisbucchiani 
                  – passatemi l'orrore di questo neologismo – d'altronde 
                  è uno dei più rapidi modi di comunicare quanto 
                  ci sta a cuore: devo cambiare l'immagine del mio profilo, esprimere 
                  la solidarietà a questo pilastro della mia cultura (parlo 
                  proprio di quella personale, sono stato un grande appassionato 
                  di fumetti francesi). Grottescamente vivo un attimo, che è 
                  proprio uno ma c'è, di terrore, che si dissolve non appena 
                  leggo un breve pensiero del compagno Dino Taddei «Poveri 
                  fascistelli di Dio, evidentemente hanno capito che sarà 
                  proprio una risata a seppellirli. Figurarsi se la Francia, che 
                  in altri tempi ha decapitato anche le statue dei santi cristiani, 
                  si farà spaventare da voi». Più a lungo 
                  dura un'altra più sottile inquietudine: appare di tutta 
                  evidenza che questo sarà un banchetto ricchissimo per 
                  le jene, per i razzisti, per gli avversatori della libertà, 
                  che infatti hanno già cominciato a commentare. Come prendere 
                  le distanze? Come non prestare nemmeno l'angolo di un fianco 
                  ai sostenitori della “guerra di civiltà”? 
                  Come essere sconvolti, restando se stessi? Sentinella a che 
                  punto è la morte? Sono ore difficili queste: troppi Dei 
                  inesistenti, e ciò non di meno arrabbiati, si danno battaglia. 
                  E la notte - che sempre precede il giorno - è così 
                  buia che nessun profeta, e tantomeno i nostri pensatori, si 
                  azzarda a fare pronostici sulla sua durata.Ma i giorni di pena alternano le sensazioni, e così, 
                  affianco alle urla delle jene, vedo anche insorgere belle compagnie, 
                  solidarietà per nulla pretestuose, una schiera consistente 
                  di gente di indubitabile fede antirazzista, antimilitarista, 
                  anarchici e compagneria varie, che inalbera – bella come 
                  il sole – la scritta JE SUIS CHARLIE.
 Fatto salvo qualche mugugno per la truculenza di una satira 
                  anti-religiosa che ai nostri occhi assume un carattere ottocentesco, 
                  violentissimo, scatologico e – a gusto di alcuni – 
                  ingiustificato, brutto esteticamente, bestemmiatorio. Per esempio 
                  a molti appare davvero eccessiva la copertina di Charlie che 
                  prendeva posizione sulle esternazioni contro il matrimonio omosessuale 
                  di Monsignor Vingt-Trois – arcivescovo di Parigi – 
                  in una vignetta in cui un simpaticissimo Dio Padre - arzillo 
                  vecchietto in pantofole - viene sodomizzato da Gesù Cristo 
                  - con tanto di corona di spine, mani e piedi forati – 
                  che, a sua volta, è sodomizzato dallo Spirito Santo, 
                  rappresentato come un triangolo (all'incirca delle dimensioni 
                  di quelli per segnalare un incidente automobilistico) con un 
                  occhio al centro.
 L'immagine in realtà traduce una bella obiezione: come 
                  si può appellarsi alla incongruità delle unioni 
                  fra due uomini, quando il dogma trinitario fonde addirittura 
                  tre figure percepite come maschili? Una piccola opera filosofica 
                  che fa riflettere sulle relazioni simboliche, filtrata da una 
                  cultura della trivialità che discende dritta da Rabelais 
                  e dal Villon della Grosse-Jeanne, e, passando per il frate con 
                  il cazzo omicida di Restif de la Bretonne, arriva ai romanzi 
                  porno/blasfemi dei surrealisti e di Benjamin Péret, che 
                  usciva per strada a insultare preti e monache... insomma è 
                  una tradizione culturale francese, come l'illuminismo (il ché 
                  non vuol dire che la si debba amare per forza!).
 
 Siamo tutti Charlie Sarà che - oltre che un vecchio coglione - sono un incorreggibile 
                  romantico, ma per me questo popolo non ha detto «Je suis 
                  Charlie» perché ha avuto Oriana Fallaci, ma perché 
                  ha avuto Giordano Bruno, Galileo Galilei e Pier Paolo Pasolini.A me proprio l'idea del tanto peggio a tutti i costi non mi 
                  commuove...
 A me, dal fondo di ghiaccio, costernazione e rabbia in cui m'ha 
                  gettato la mattinata di mercoledì 7 gennaio, ha fatto 
                  piacere vedere una mobilitazione così collettiva in difesa 
                  della satira tignosa, scorretta, aggressiva di “Charlie 
                  Hebdo”... quella satira che pareva ogni tanto un po' pesante, 
                  “louche” dicono i francofoni con la loro bella lingua. 
                  Ma è necessario, se si vuole essere cattivi, per colpire 
                  al cuore del buon senso bisogna colpire molte volte a caso. 
                  Tanto si tratta di disegni e nuvolette, mica muore nessuno.
 
  Così, 
                  se leggo di tanti che ora prendono le distanze da quelli che 
                  esprimono solidarietà, mi infastidisco. Abbondano i “voi 
                  non li avete mai letti”, “voi non sapevate manco 
                  chi erano”, “troppo facile ora”... come dire 
                  che ci sono degli autonominati “guardiani del tempio” 
                  che diffidano i falsi amici dell'ultima ora. La ronda dei partigiani 
                  DOC. Poi ci sono quelli che invece chiedono “quel sangue era 
                  dunque così puro?” Quelli che conoscono gli scheletri 
                  nell'armadio di Charlie, i dispetti, gli ostracismi, le lotte 
                  interne, i partiti presi... d'altronde quale gruppo, redazione, 
                  comitato - anche libertario - non ne ha?
 Io li conosco da sempre quelli di Charlie - mi sono occupato 
                  di fumetti per quindici anni - non li conosco tutti, certo, 
                  e non le singole posizioni di ognuno, e vi dico anche che i 
                  miei preferiti di quella banda erano già morti da tempo 
                  come Reiser, il genio della sgradevolezza, o se n'erano già 
                  andati da un pezzetto (qualcuno anche sbattendo la porta): Cavanna, 
                  il Prof. Choron con i suoi deliri libertari e poetici, più 
                  recentemente, e per una brutta storia di censura, Siné. 
                  E allora?
 A me, che li conosco, sembra amaro ma consolante che tanti che 
                  non ne sapevano niente fino a ieri, oggi si sentano colpiti, 
                  incuriositi, commossi, sconvolti. A me in generale fa piacere 
                  persino quando vedo una maglietta con la A cerchiata indossata 
                  da un quindicenne in metrò... e, anche se so che magari 
                  è solo un fatto di moda, preferisco quella moda lì 
                  a quella della svastica. A me fa piacere, non ingenera fastidio, 
                  che De André - un libertario - sia diventato post mortem 
                  il cantautore più amato del nostro immemore paese. Non 
                  mi illudo che questo ne cambi la secolare miseria, morale e 
                  reale, ma di certo non la peggiora.
 Che poi, chi ha detto che dal simbolo non si possa risalire 
                  la corrente?
 Io sono diventato anarchico anche perché ho ascoltato 
                  certe canzoni che all'inizio m'affascinavano per pure ragioni 
                  estetiche (come se esistesse una bellezza solo estetica).
 E così viva i “Siamo tutti Charlie”, e non 
                  penso affatto che a quella redazione decimata farebbe più 
                  piacere muoversi nell'indifferenza e nei cinque minuti di silenzio 
                  per i morti, mentre prepara i prossimi numeri, i più 
                  difficili della sua travagliata storia. I nuovi amici di Charlie 
                  magari sono dei falsi amici, interessati, disonesti, tardivi... 
                  ma tutti? proprio tutti? possiamo esserne sicuri? Io dico benvenuti, 
                  benarrivati, non è mai tardi, nessuno è soprannumerario 
                  nel mio mondo, ciascuno è insperato e necessario. Sopratutto 
                  dopo che ce ne hanno ammazzati un po'. Il tempo poi saprà 
                  liberarci lui degli eventuali sciacalli.
 E non penso neanche che i fascisti di Dio che hanno sparato 
                  abbiano fatto un grande affare, hanno fatto un orrore ma anche 
                  una cazzata.
 Da una parte noi riscopriamo e rinfocoliamo la nostra critica 
                  all'autoritarismo, al pensiero unico, alla peste clericale fanatica, 
                  e non facciamo sconti agli oppressi di oggi, se il loro scopo 
                  è quello di diventare gli oppressori di domani. Noi diamo 
                  la nostra solidarietà alle vittime - il cuore è 
                  sempre con loro - ma la nostra testa sceglie come alleati solo 
                  i liberatori e non mai gli oscurantisti.
 E i fascisti e leghisti nostrani? Gli orridi lepeniani? Quelli 
                  che oggi senza nessun titolo si fanno partigiani di Charlie?
 State tranquilli, compagni, le vignette irreligiose e libertarie 
                  sono le sole armi intelligenti, bruciano le mani degli stronzi, 
                  nessuno se le può manipolare a piacimento. Dicono quello 
                  che vogliono dire.
 E se per incredibile piaggeria e miopia stupidissima i quotidiani 
                  come Libero o Il Giornale le riprendessero... pensa che risate 
                  vedere    i fascisti, i razzisti, i preti pedofili, 
                  il Papa, Dio o Allah stesso, sbeffeggiati proprio su quelle 
                  pagine. Le vie dei buffoni sono infinite!
 Chissà, magari qualche giovane confuso e rabbioso, ma 
                  non ancora perduto, che per noi è irraggiungibile, potrebbe 
                  persino essere toccato da un minuto di illuminazione, scoprire 
                  l'esercizio della critica, iniziare un percorso di consapevolezza. 
                  I miracoli della cultura sono gli unici nei quali non dico di 
                  credere ma quanto meno di sperare.
 Non sparate ai poeti, ai pittori, ai comici, agli artisti, non 
                  perché siano sacri - per carità: sacra è 
                  la vita tutta e fascista è la morte - ma perché 
                  è come saltare su una pozzanghera. I poeti esplodono, 
                  si scompongono, si sdoppiano, vi contagiano da tutte le parti: 
                  rendono gli assassini più orrendi e gli xenofobi più 
                  palesi e grotteschi. C'è tanta vita esplosa sotto quelle 
                  raffiche infami che la morte non sa proprio che farci e ci rimanda 
                  quei disegni macchiati di sangue davanti agli occhi sconvolti 
                  e alla bocca che vuole ridere.
 In alto i cuori, anche se un po' sforacchiati.
 Siamo tutti Charlie. Viva la vita.
  Alessio Legaalessiolegaconcerti@gmail.com
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