Rivista Anarchica Online





Estetica ed etica del disordine

1.
È da un po' che merendine, snack e brioscine varie vengono rappresentate con un elemento di contorno comune. C'è qualcuno che dà un morso allo snack, qualcuno che rompe in due una merendina o c'è una brioche aerea che va a planare su un piatto di brioche e assistiamo – quasi senza accorgercene ad una piccola catastrofe: una briciolina si stacca improvvisamente da una parete di pan di spagna e frana, tre o quattro briciole svolazzano sulle croste dorate, balzano e sbalzano, lasciano il compatto di cui fanno parte e si sperdono nell'aere o, piuttosto, franano sui pavimenti delle case. L'effetto è di questi anni. Nelle pubblicità di un tempo, se qualcosa proprio doveva spezzarsi si ritrovava in due metà perfettamente ritagliate, se una torta doveva tramutarsi in fette, se una brioche doveva tramutarsi in due bocconi, nulla della loro materiale e spirituale consistenza – nulla della loro unitarietà – andava perduto.
La briciola era l'imperfezione e, come tale, andava emendata. Non rappresentata.

2.
Favorita dalla tecnologia relativa all'elaborazione dell'immagine, spinge in tal senso anche l'esigenza di una rappresentazione realista, ritenuta più autentica, più veritiera, rispetto alle rappresentazioni edulcorate di un tempo – la fisica del minuscolo, quando non dell'invisibile vero e proprio ha il suo fascino e questo fascino viene sfruttato.

3.
Più recentemente – parlo degli ultimi mesi del 2014 –, rapportabile a quanto sopra, a mio avviso, è anche la pubblicità televisiva che racconta dei figlioletti che, nel gioioso tripudio della prima mattina, portano la colazione a letto ai genitori. La bimba porta al papà il bicchiere di aranciata e, nel portarlo in mano, crea un effetto-onda, uno tsunami in tazza, che spantega schizzi ovunque, sul pavimento e sulle lenzuola. Disperazione per dover mettere tutto in lavatrice? Rimbrotti? No, festosità.
La visita analitica del supermercato mi rivela un analogo nelle immagini presenti sulle confezioni di corn-flakes ac similia: ce n'è una tazza ricolma, c'è il getto copioso del latte – non il cauto versamento che ciascuno di noi farebbe – e ci sono schizzi e corn-flakes che saltano dappertutto. Evidentemente ci si vuole anche contrapporre ad un concetto realistico di “ordine” – in nome di un concetto altrettanto realistico di “disordine”. Potremmo dire che ha preso piede un'estetica del disordine di cui questi casi sono semplicemente un esempio. Potremmo anche farla lunga e riferirci alla rivoluzione impostaci dalla fisica del Novecento nel rappresentare il mondo che ci circonda: dimenticando che “ordine” e “disordine” sono due categorie mentali e non dati di fatto, il secondo è parso più conveniente – più applicabile ai risultati delle nostre teorie – del primo. Le idee – si esprimano esse in parole o in immagini – si tengono l'una con l'altra e nessuna può dirsi tanto asettica da lasciar mai le cose come stanno, a maggior ragione se scaturite più o meno in contemporanea.
Un'intera pagina pubblicitaria del “Corriere della Sera” (2 dicembre 2014) dice che “C'erano una volta i lavori domestici. Ora c'è Irobot Roomba”. L'immagine a tutta pagina rappresenta un bambino (la testa non si vede ma la si presume), a piedi nudi, in una casa almeno tanto borghese da poter essere irrorata dalla verde luce di un ampio giardino; un bambino che sta rovesciando sul tappeto una miriade di cereali che cadono copiosi da una scatola aperta che tieni in mano lungo il fianco destro. Il testo – passando repentinamente ad un “io” narrante – prosegue con una domanda: “Chissà se riesco a correre con la scatola dei cereali aperta senza farli cadere?”. Chiuse le virgolette, e, quindi, inizia la spiegazione: “Oggi puoi” (e passiamo al “tu”, così abbattiamo la barriera tra chi vende e chi compra) “finalmente dare ai tuoi bimbi la massima libertà di sperimentare… anche sporcando per terra! Perché alle pulizie dei pavimenti ci pensa il robot aspirapolvere...”. E, pronto, infatti, un metro in là, è il robottino.

4.
In proposito, vorrei far notare un paio di cose. In quattro e quattrotto, i cereali sono stati ricategorizzati come “Sporco”. Il tragitto da alimento – da cibo, da cibo che “fa bene” – a “sporco” – sporco da emendare – si è drammaticamente accorciato. Evidentemente, abbiamo imboccato l'Alta Velocità anche per le categorie mentali. Recentemente, il neuroscienziato Lamberto Maffei ha pubblicato un pregevole libretto intitolato Elogio della lentezza (Il Mulino, Bologna 2014) dove fa presente che “proprio per la sua filogenesi il cervello umano possiede sia meccanismi ancestrali rapidi di risposta all'ambiente, automatici o quasi automatici, sia meccanismi più lenti, comparsi successivamente”. Va da sé che questi primi meccanismi siano inconsci e che i secondi implichino ragionamento. E va da sé che “il trend delle società cosiddette avanzate sembra assegnare ai primi una posizione predominante”, mentre una “opinione generale” sosterrebbe la tesi che la “rivalutazione dei secondi significhi invertire la freccia del progresso”. Si passi dal repentino mutamento di categorizzazione (cereali come cibo valorizzato e sporco) all'uso dei telefoni cellulari, ai messaggini, ai videogiochi, alla frenesia delle relazioni sociali – e si rifletta sulla progressiva depauperizzazione del rapporto umano.
La seconda annotazione potrebbe anche essere considerata un'estensione della prima. Il passaggio da cibo a sporco, infatti, implica un mutamento di punto di vista nei confronti di una stessa cosa. Che, da valorizzazione positiva, passa a valorizzazione negativa – anche di ordine morale.
Non è forse ciò che accade nel momento in cui i cereali caduti non implicano più la necessaria attenzione affinché non cadano affatto? O nel momento in cui le briciole vanno a finire dove comunque dovranno essere rimosse da qualcuno? O la robotizzazione delle pulizie domestiche – sempre ammesso e non concesso che di abolizione di una schiavitù si tratti, sempre ammesso e non concesso che si tratti di “massima libertà di sperimentare” – giustifica di per sé lo spreco di cibo o, addirittura, la rinuncia a qualsiasi funzione educativa?

5.
Allora c'è anche un'etica del disordine – non solo un'estetica. Diciamo che la nostra coscienza politica deve allertarsi ben presto e mai assopirsi, perché non c'è neppure una briciola innocua nel gran panettone delle nostre rappresentazioni.

Felice Accame