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 Quelle bruschette della disobbedienza di Mimmo Lavacca Il 2 febbraio 2004 a Monopoli (Bari) centinaia di persone, agricoltori in testa, occuparono il porto per protestare contro la frode sistematica dell'importazione illegale di olio. L'idea era venuta a Veronelli. Che c'era. Negli anni novanta il porto di Monopoli era considerato uno 
                  dei principali approdi da parte di navi cisterna piene di olio 
                  di dubbia provenienza. Olio che dopo il suo sbarco diventava 
                  magicamente extravergine nazionale. Sempre negli anni novanta, 
                  un gruppo di compagni aveva messo in piedi una piccola associazione 
                  dal nome Assudd, e il raddoppio delle consonanti esse 
                  e di voleva significare gente fastidiosa, tosta, rognosa. 
                  Bene, decidemmo che tra le varie iniziative era giunto il momento 
                  di incazzarsi sullo scempio che ogni giorno veniva perpetuato 
                  a danno degli olivicoltori monopolitani.Quelle continue navi cisterne nel porto di monopoli davano un 
                  segnale di una cittadina indifferente alle truffe e alle sorti 
                  dell'agricoltura. Sapevamo che quell'immagine non rappresentava 
                  i pugliesi e cosi decidemmo di agire. Avevamo bisogno di una 
                  autorità, di una persona di indubbio valore tecnico e 
                  sociale, una persona che potesse darci una mano ad accendere 
                  un grande faro sul porto di Monopoli e su tutto quello che di 
                  negativo rappresentava per la città e per la Puglia. 
                  Convenimmo tra i compagni che l'unica persona che poteva darci 
                  una mano era Luigi Veronelli.
 Qualche giorno dopo trovai il numero della casa editrice EV 
                  e chiamai. Chiesi di poter parlare con il maestro Luigi Veronelli. 
                  Telefonata che non dimenticherò facilmente. Telefonata 
                  che mi gira ancora in mente per la cortesia nell'ascoltarmi, 
                  la concretezza nelle risposte e nelle proposte. Una voce e un 
                  timbro di grande spessore. In quella bellissima telefonata del 
                  gennaio 2004 Luigi mi ascoltò, era al corrente e sapeva 
                  perfettamente quale fosse la situazione nel porto di Monopoli 
                  e mi propose senza indugi un'azione di disobbedienza civile. 
                  L'obiettivo era di occupare la banchina del porto di Monopoli 
                  e salire su una delle navi cisterna ancorate alla banchina.
 La sua proposta fu chiara, precisa e tosta. Con la stessa convinzione 
                  io accettai. Finalmente un atto di ribellione contro le migliaia 
                  di tonnellate di olio scaricate nel porto. Da quella telefonata, 
                  da quella bellissima intesa, si realizzò la più 
                  bella, la più nutrita, la più variegata manifestazione 
                  di protesta in agricoltura. Da quella telefonata hanno preso 
                  avvio tante cose con Luigi e con tutto il mondo che gli girava 
                  intorno.
 La manifestazione fu progettata nell'area di pertinenza della 
                  capitaneria di porto. Area vietata da sempre a qualsiasi manifestazione. 
                  La mattina del 2 febbraio del 2004 centinaia di persone si ritrovarono 
                  al porto di Monopoli per dare vita a un momento di di disobbedienza 
                  civile. Luigi sembrava il pifferaio magico. Arrivarono da tutta 
                  Italia, arrivarono dalle campagne del sud della Puglia, arrivarono 
                  agricoltori dalle campagne monopolitane. Bellissimo, tanta gente 
                  che manifestava finalmente contro le importazioni selvagge di 
                  olio.
 Gli agricoltori avevano portato il loro olio, il loro pane e 
                  i loro pomodori. Furono allestiti, nell'area vietata, tavoli 
                  della qualità e furono offerte bruschette della disobbedienza. 
                  Gino parlava con tutti e tutti parlavano con lui, attorniato 
                  dagli agricoltori pugliesi. La mattinata si concluse con un 
                  successo di partecipazione, per me e per noi, impensabile. A 
                  pranzo fummo invitati in campagna da amici agricoltori e si 
                  formò una grande tavolata. Persone e agricoltori che 
                  arrivavano alla spicciolata per il solo piacere di parlare con 
                  Gino o farsi una foto con lui.
 Il pomeriggio avevamo organizzato un dibattito nella chiesa 
                  sconsacrata di San Pietro e Paolo nella città vecchia 
                  di Monopoli. Tanta tanta gente. La batteria dei politici in 
                  prima fila ad ascoltarlo. Gino fu grandioso, continuò 
                  ad affascinare tutti i presenti, grandi racconti, grandi intuizioni, 
                  grandi storie agricole. Parole semplici, ma efficaci come macigni. 
                  Scosse coscienze e menti appassite. Rimane e rimarrà 
                  la più importante e grande manifestazione agricola mai 
                  realizzata nei nostri territori.
 Il diario di quella giornata fu impreziosito da un regalo che 
                  lui volle fare all'agricoltura del sud. La manifestazione si 
                  svolse il 2 febbraio, giorno del suo compleanno. La scelta del 
                  2 febbraio non fu casuale. Io lo considero un grande omaggio 
                  agli agricoltori pugliesi. Alcuni numeri di quella giornata, 
                  oltre alle centinaia di agricoltori e cittadini: c'erano una 
                  sessantina di organizzazioni presenti alla manifestazione, una 
                  decina di emittenti nazionali e locali, una quindicina di testate 
                  giornalistiche.
 Una giornata indimenticabile, ancora grazie.
  Mimmo Lavacca 
                   
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                    | Etichetta di un vino prodotto con uva fogarinain ricordo di Gino Veronelli
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 Il vin dell'avvenire di Diego Rosa Un ricordo delle numerose lotte e dei progetti. Sempre in favore della libertà, della natura e dei piaceri della vita. Luigi (Gino) Veronelli ha sempre condotto tenacemente e seriamente 
                  qualsiasi attività e progetto intrapresi. Una vita, la 
                  sua, piena di proposte portate avanti lottando con competenza, 
                  genialità e senza cedimenti. Filosofo, scrittore, giornalista, 
                  enologo, gastronomo, anarchico individualista.Tre definizioni, apparse nel tempo, lo riassumono in modo soddisfacente: 
                  Sua nasità, Anarchenologo, Hombre vertical (così 
                  definito da Gianni Mura). Gli sono stato amico, ricambiato, 
                  con piacere e per mia fortuna. Mi ha sempre affascinato il suo 
                  insistente “camminare la terra” che lo vedeva affrontare 
                  tutte le particolarità e realtà della vita con 
                  una curiosità infinita. Il suo cercare soluzioni e sostenere 
                  proposte piene di una inattaccabile ovvietà. La lotta 
                  perenne contro i vini e i cibi industriali, l'invito a migliorare 
                  sempre la ricerca, anche istituzionale, per garantire e attuare 
                  le sue idee. Ne sono conferma le sue ultime battaglie per le 
                  De.Co. (spesso osteggiate all'interno del mondo anarchico) e 
                  per l'olio. Nella sua vita ha “ridotto” l'Anarchia, 
                  la sua Anarchia, ad un concetto essenziale e inequivocabile 
                  da cui non si può fuggire: l'assunzione di responsabilità. 
                  “Né Dio, né Stato, né Padroni”, 
                  certo, ma soprattutto assumersi le proprie responsabilità 
                  per un mondo di eguali e lottare sempre fino in fondo, in modo 
                  non violento, per ciò in cui si crede. Questo è 
                  ciò che spetta all'uomo e questa è stata la chiave 
                  di lettura di tutta la sua vita.
 
                   
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                    | Manifesto di un'iniziativa dedicata al “vin dell'avvenire” ovvero
 il lambrusco del contadino
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                  Ha camminato la terra coi piedi e con la testa, ci ha messo 
                  dentro le mani per conoscerla e farla sua, ha accettato gioie 
                  e dolori e, come amava ripetere, ci ha fatto l'amore. La natura, 
                  la grande madre a cui tornare alla fine. Ci ha insegnato a non 
                  seguire pedissequamente gli “esperti” di vino e 
                  cibo nei loro abbinamenti, ma cercare le eccellenze e sperimentare 
                  provando e riprovando. Celebre e scandalosa è la sua 
                  frase a proposito di quella che era diventata la moda rassicurante 
                  dell'abbinamento tra cibi e vini: io ti dico la mia, ma tu prova 
                  e riprova perché il vino è un amante infedele.Nel 2007, con l'amico, mio e di Gino, Giuseppe Caleffi, abbiamo 
                  costituito la Cellula Veronelli di Gualtieri, dedicando 
                  poi a Veronelli una saletta dell'”Osteria della merla”, 
                  il nostro ritrovo. Un modo per ricordarlo, non per santificarlo, 
                  con iniziative molto diverse tra loro e con la presunzione che 
                  gli sarebbero piaciute, che vi avrebbe partecipato se fosse 
                  stato ancora tra noi. Gli abbiamo dedicato un Convegno: “Il 
                  Veronelli politico”. Si è svolto rigorosamente 
                  a tavola tra cappelletti e trippe in brodo, guancialini di maiale 
                  brasati, torta sbrisolona e tanto lambrusco. Relatori Gianni 
                  Mura, Marc Tibaldi e Gianandrea Ferrari. Un'altra iniziativa 
                  è stata, sempre rigorosamente a tavola, la lettura di 
                  suoi scritti, pensieri e aforismi: “cinquanta commensali 
                  leggono Veronelli”. Abbiamo presentato serate dedicate 
                  ai cibi, per esempio quella sui “cappelletti”, dove 
                  le “risdore” del luogo portavano i loro cappelletti 
                  con le varianti che ogni famiglia ha consolidato nel tempo e 
                  fatte proprie. Abbiamo presentato libri, non solo di cucina 
                  o vini, tra cui la trilogia di Rino De Michele dedicata alla 
                  cucina libertaria. Abbiamo organizzato serate di musica popolare 
                  e, col “duo Pinon e Fernando” (che Gino ha conosciuto 
                  e apprezzato), di intrattenimento tra i tavoli. C'è stato 
                  poi anche il ricordo, con i Folkin' Po, della folk singer locale 
                  Giovanna Daffini. Ci siamo immersi nel Fluxus col “Concerto 
                  per pangrattato e grattugia” di Philip Corner e Phobe 
                  Melville a seguito della presentazione del libro di Ivanna Rossi, 
                  incentrato sulle ricette di recupero del pane. Ci siamo accodati 
                  al suo “t/Terra e libertà/critical wine” 
                  con le nostre serate di “Critical wine, uno alla volta” 
                  in cui un produttore proponeva i vini a prezzo sorgente ai clienti 
                  della “merla” durante la cena. Sempre in tema di 
                  vino abbiamo dedicato a Gino un'etichetta della riscoperta Fogarina: 
                  quattro bicchieri salutano, dalla sponda del Po, la barchetta 
                  che porta Veronelli verso la foce dopo la sua morte. Una barchetta 
                  rigorosamente anarchica. Nostro intento era anche fare in modo 
                  che il vero Gino, dopo la morte, non fosse posto nel “Giardino 
                  dei frutti dimenticati”, dove finiscono spesso i personaggi 
                  scomodi che la società è costretta, per la loro 
                  grandezza, a osannare in vita. L'esperienza ce lo insegna. Un 
                  ricordo particolare, l'ultimo che ho di lui, risale a fine agosto 
                  del 2004, quando con la compagna Christiane e Andrea Bonini 
                  ha partecipato ad una iniziativa sul “prezzo sorgente” 
                  al Lido Enza di Brescello, il paese di Don Camillo e Peppone 
                  (da cui il manifesto con la falce e, al posto del martello, 
                  la bottiglia di lambrusco “divino”). Questa festa, 
                  ed è stata veramente una grande festa, era dedicata a 
                  “Il vin dell'avvenire”, cioè il lambrusco 
                  del contadino. L'ultima immagine che ho di lui è quella 
                  mentre firma, richiesto dai commensali che facevano la fila, 
                  i manifesti come fosse una pop-star. È stata la sua ultima 
                  apparizione pubblica.
 Termino con due storielle Sufi dedicate a Gino. Quando gliele 
                  ho raccontate ha riso felice. La prima è questa. “Un 
                  uomo quando torna a casa dal lavoro è solito suonare 
                  il flauto in attesa della cena. Lo fa da anni, ma ultimamente 
                  la moglie sente che suona sempre la stessa nota. Allora gli 
                  chiede come mai non fa come gli altri che usando più 
                  note creano delle belle armonie. Il marito gli risponde che 
                  “gli altri stanno cercando la loro nota, io invece l'ho 
                  già trovata”. Nella seconda storia ci troviamo 
                  in un piccolo albergo di notte, in campagna. Il proprietario 
                  ha spento tutte le luci e se n'è andato in paese. Quando 
                  torna vede che le luci del salone al piano terra sono accese. 
                  Incuriosito, entra nel salone dove vede un cliente carponi che 
                  sta cercando qualcosa sotto i mobili. Gli chiede se ha perso 
                  qualcosa e l'altro risponde di sì, che ha perso qualcosa 
                  in giardino. Ma allora perché lo cerca nel salone? “Perché 
                  qui c'è la luce” è la risposta. In queste 
                  due storie c'è Gino, l'amico che ha lottato tutta la 
                  vita convinto che l'utopia non è l'irraggiungibile, ma 
                  ciò che non si è ancora raggiunto. L'ha fatto 
                  mettendo al centro di ogni sua azione la natura e l'uomo libero 
                  e uguale e il godimento dei piaceri della vita.
  Diego Rosa 
 
 Una “città ideale” di Domenico Liguori Il comunalismo libertario e l'impegno degli anarchici di Spezzano Albanese (Cs) affascinò Veronelli, che li andò a trovare nel 2004. Credo corresse l'anno 2003 quando alcuni compagni di Cosenza 
                  e della presila cosentina organizzarono in loco un incontro 
                  pubblico con Luigi Veronelli, già presente in Calabria 
                  per altre iniziative. Ci andai, partecipai, intervenni ed illustrai 
                  in breve l'impegno degli anarchici e dei libertari di Spezzano, 
                  in sintonia con le problematiche territoriali che nell'incontro 
                  si affrontavano. Evidenziai soprattutto le iniziative dell'allora 
                  Comitato Popolare “Spezzano è... “, 
                  di cui i libertari erano i promotori, tutto basato sul recupero 
                  dei prodotti tipici locali come fonte di saperi e di sapori 
                  e sulla metodologia autogestionaria propria del comunalismo 
                  libertario (attivo da alcuni decenni in loco), quale prassi 
                  protesa a stimolare la comunità a rendersi socialmente 
                  artefice del proprio futuro.Luigi, che aveva seguito con estrema attenzione l'intervento, 
                  alla fine esclamò con gioia: “Spezzano è 
                  la mia città ideale, non mancherò di venire a 
                  trovarvi”. Io colsi subito l'occasione per invitarlo a 
                  partecipare alle manifestazioni estive di “Spezzano è...” 
                  e lui accettò con entusiasmo l'invito, tant'è 
                  che nell'ambito della seconda edizione di “Spezzano è..” 
                  del 21/24 Agosto 2003 il manifesto che pubblicizzava l'evento 
                  preannunciava che per il 22 Agosto Luigi Veronelli sarebbe stato 
                  con noi in un apposito incontro-dibattito organizzato per l'occasione. 
                  Ma le cose non andarono così: problemi di salute sorti 
                  all'ultimo momento impedirono a Luigi di poter prendere parte 
                  all'evento.
 Nel febbraio del 2004 però, a grande sorpresa ricevo 
                  una telefonata: “sono Luigi Veronelli sto in Puglia e 
                  fra qualche giorno intendo passare per Spezzano. Che ne dite?”. 
                  Cogliendo come si suol dir la palla al balzo, gli espressi tutto 
                  il mio entusiasmo e in quattro e quattr'otto, in fretta e furia 
                  organizzammo nella sala consiliare di Spezzano Albanese una 
                  pubblica manifestazione con dibattito e buffet dei nostri prodotti 
                  tipici per salutare l'evento.
 Il 5 Febbraio del 2004 Luigi giunse a Spezzano con Andrea Bonini 
                  mentre stavamo per allestire la sala che in pochissimo tempo 
                  si riempì di popolo. Fu una serata bellissima, e interessantissima 
                  si rivelò la relazione di Luigi sulla denuncia del prepotente 
                  monopolio delle multinazionali e sul recupero e la valorizzazione 
                  dei prodotti locali attraverso un processo autogestionario. 
                  Molti furono gli interventi e quasi tutti centrati sul tema 
                  De.Co. di cui “Spezzano è...” da tempo 
                  si stava interessando.
 Concludemmo la serata in grande convivialità in un ristorante 
                  locale a suon di canti anarchici, vino e prodotti tipici, con 
                  la promessa di Luigi che sarebbe stato a fianco della nostra 
                  attività e che sicuramente sarebbe più volte ritornato 
                  a trovarci. Nell'autunno del 2004 partecipammo a Roma alle manifestazioni 
                  del Critical wine, incontrammo Andrea Bonini e gli chiesi subito 
                  di Luigi, ma per risposta ricevemmo la notizia delle sue molto 
                  precarie condizioni di salute. Solo qualche mese dopo e precisamente 
                  a novembre apprendemmo che Luigi non era più fisicamente 
                  tra noi. “Spezzano è...” in seguito 
                  da Comitato Popolare si era trasformata in Associazione di Promozione 
                  Sociale Luigi Veronelli.
 Oggi l'associazione non è più in vita, ma sempre 
                  vivi in noi e nell'attività comunalista in cui qui a 
                  Spezzano continuiamo ad essere impegnati permangono il legame 
                  con Luigi e con le sue idee ed azioni libertarie.
  Domenico Liguori 
 
 Fare a pezzi un discorso di Simonetta Lorigliola Il movimento t/Terra e libertà/critical wine, portato avanti da Gino Veronelli, aveva lo scopo di abbattere la retorica dei discorsi sulla buona tavola fatti dai critici e dalla TV. E anche oggi, più che ricordare lui, ricordiamoci delle sue idee e battaglie. E portiamole avanti. A Gino Veronelli non sarebbe piaciuto essere commemorato. Lo diceva spesso che avrebbe voluto che fossero le sue idee, non la sua persona, a rimanere attive nel ricordo, e soprattutto nelle pratiche quotidiane. Lo diceva riferendosi a Benedetto Croce, che altrettanto spesso citava, a sproposito, forzandolo a sé, come maestro del pensiero anarchico.Nemmeno a chi pensò, collettivizzò e diede vita al movimento t/Terra e libertà/critical wine, a cui Veronelli prese parte attiva e propositiva negli ultimi anni della sua vita, sarebbe piaciuto e piacerebbe entrare nel dispositivo reazionario del ricordo.
 Le parole d'ordine di quel movimento nuovo e dirompente nel mondo del vino, se mai ce ne sono state, erano provocazione e sobillazione.
 L'interesse per il cibo, il vino e tutta la cultura materiale, che generò tale movimento, era semplicemente una scusa.
 Alle compagne ed ai compagni che cominciarono a discuterne insieme non interessava immergersi in una folta schiera, oggi ancora più affollata e miseranda, di parlatori e ciarlatani che andavano (e vanno) cianciando sul buon salame della tradizione antica, sulla cipolla garantita da avamposti di tutela, su formaggi sopraffini affinati in grotte neolitiche e venduti a 80 euro il chilo. O che gareggiano con le pignatte dentro, per dirla con Veronelli, mammativvù. Il discorso intorno a una materia prima o a un prodotto trasformato dall'uomo, che gira vorticosamente su se stesso e su se stesso si avviluppa arrivando a soffocare ogni significante, e ogni sua possibile connessione con il mondo, è merdre gastronimique. È scarto semiologico. È assopimento sociale.
 t/Terra e libertà/critical wine lo ha fatto a pezzi. Ha scardinato i confini del buono, sfondando le porte delle filiere produttive. Luigi Veronelli era in prima linea, scansando i numerosi nasi storti di chi diceva fosse uscito di senno, a mettersi coi pezzenti dei centri sociali. Era il 2001. Nessuno o quasi utilizzava la parola filiera. Indagare le filiere, in ogni loro aspetto è uno strumento di libertà, si diceva. Si parte dalla terra, da come viene lavorata, con quali strumenti ed ausili, con quali concessioni all'agrochimica o all'ingegneria genetica (e ai loro lugubri custodi e accumulatori d'argent). Si passa poi alle trasformazioni, indagate in ogni loro singolo aspetto. Si arriva al lavoro e, infine, al prezzo e al meccanismo di offerta che porta al consumo.
 Tutti questi aspetti devono stare assieme per descrivere sinteticamente ed analiticamente la filiera. Tutti, fino a giungere al prezzo, il più ostico da denudare. Nessuno può e deve restare escluso, pena l'irrealizzabilità della filiera trasparente e, quindi, lo svuotamento di una sua sostanziale utilità per il produttore ed il consumatore che intendano scegliere una via virtuosa, ossia una filiera che realizzi l'amore totale per il buono: ambiente, terra, lavorazioni, persone, prezzo.
 Il libro manifesto del movimento t/Terra e libertà/critical wine, edito da DeriveApprodi nel 2004 (Sensibilità planetaria, agricoltura contadina e rivoluzione dei consumi, il sottotitolo) e le pratiche che lo accompagnarono, nonché i numerosi interventi pubblici di Veronelli, dicevano tutto questo. E molto di più.
 Il cibo, il vino e tutti i prodotti della terra o della trasformazione agivano in un unico scenario in cui gli attori, con la stessa responsabilità e lo stesso piacere di esserci, erano i produttori e i consumatori, uniti dalla scelta per la filiera totalmente trasparente. Ecco perché venne coniato il termine co-produttori ad indicare una linea di fuga da ruoli imposti dall'incorruttibile economia di mercato. Tagliare le intermediazioni per diventare co-produttori. La filiera diretta è la seconda intuizione geniale del movimento, realizzata da subito con gli eventi dedicati ai vignaioli e alle produzioni alimentari (Verona, Brescia, Milano, Genova, Sarzana, Venezia, Torino, Monopoli, Lario, Jesi...) e con i mercati autogestiti da produttori e consumatori, ovvero co-produttori, che avvengono in molti centri sociali e piazze della penisola.
 E che ancora oggi in molti di questi luoghi continuano ad esserci, vivi e frequentati. La sperimentazione macchinica del movimento cadde sui centri sociali, che esprimevano anche le persone che il movimento felicemente animavano. Spazi franchi da cui gettare nelle realtà urbane una formula (ormai) sconosciuta: i mercati autogestiti. Da non confondersi con i blandi mercati della terra (e dintorni) che copiosi seguirono, spesso basati sull'apparato istituzionale e sulle logiche di controllo di certificazioni, appartenenze, etichette a garantirne eterologamente la «qualità».
 Di bontà, qualità e libertà «Qualità» era uno dei termini di cui t/Tl/cw 
                  si fece acerrimo nemico poiché totalmente svuotato di 
                  ogni senso e foglia di fico dell'industria alimentare e della 
                  sua rete di distribuzione e promozione.Piuttosto si parlava di bontà, unita a libertà 
                  ed autogestione, che andavano di pari passo con trasparenza 
                  totale (la filiera) e autocertificazione ovvero, e qui Luigi 
                  Veronelli era in primissima fila, con «l'atto di responsabilità 
                  individuale» di ogni produttore che dichiarasse apertamente 
                  le sue pratiche agricole e/o produttive. Nacquero le schede 
                  di autocertificazione, strumento semplice per mettere in contatto 
                  diretto produzione e consumo, anche in assenza fisica del produttore. 
                  Lo strumento ebbe successo ed è oggi ancora utilizzato 
                  in molte realtà che in mille differenti rivoli hanno 
                  moltiplicato ed evoluto le esperienze di t/Tl/Cw.
 Strumento provocatorio, la scheda, che denuncia la certificazione 
                  tradizionale ed i suoi rischi. Molti obiettarono che fosse inabile 
                  a stare sul mercato poiché inadatta alle logiche di import-export 
                  o di grande distribuzione. Obiezione insensata: la dimensione 
                  delle produzioni coinvolte non prevedeva, per costituzione e 
                  per scelta, una vendita spersonalizzata e sconfinata. Anche 
                  i sassi sanno che le certificazioni servono prevalentemente 
                  ai grandi gruppi, per cui è impossibile gestire ogni 
                  informazione e contatto con chi acquista, se non in forma di 
                  marketing. Non è piccolo è bello contro 
                  la mostruosità del grande. Sono semplicemente due differenti 
                  esistenze, due opposti approcci ontologici alla t/Terra e alle 
                  relazioni che essa genera e contiene.
 C'è chi dice, da qualche anno, che oggi questi temi non 
                  siano più attuali poiché c'è stato chi 
                  ne ha svuotato la potenza disarmante, disinnescandoli. Forse 
                  è così.
 È certamente vero che t/Tl/cw si sciolse in una accesa 
                  assemblea di tutte le realtà che ne fecero parte. Atto 
                  terribile, per alcuni, ma sanificante poiché ha generato 
                  immunità da ogni apologia possibile.
 Eppure pensare di consegnare questa cultura materiale e sua 
                  cassetta degli attrezzi ad altre mani ed anche a potenti organizzazioni 
                  soltanto perché ne utilizzano, oggi ed ampiamente, spunti 
                  e lessico, sarebbe un atto doppiamente mortifero.
 Veronelli sosteneva che è centrale, sempre, festeggiare 
                  la vita. E, citando Charles Fourier, diceva anche che la felicità, 
                  unica meta massima concepibile di ogni individuo e di ogni società, 
                  andava pensata non tanto affidandosi alle calcolate pratiche 
                  analitiche, pur importanti, quanto piuttosto all'aperta immaginazione.
 Il patrimonio immaginativo e la dirompenza di t/Tl/cw sono morti 
                  con la sua fine?
 Luigi Veronelli ha sepolto con le sue ceneri le sue idee di 
                  una gastronomia liberata?
 Ci restano soltanto inerti ricordi?
 Negli ultimi eventi veronesi t/Tl/Cw aveva trasformato il proprio 
                  nome in Terre ribelli/Critical wine. Ribellione. Rivolta. Parole 
                  via via sempre più impronunciabili e impresentabili. 
                  Eppure in grado di divenire pratiche dirompenti, oggi più 
                  di ieri. Non le rivolte di sparuti gruppi autoreferenziali. 
                  Ribellarsi è altro. È in ogni atto quotidiano, 
                  in ogni parola scambiata con chiunque. È nella ricerca 
                  di nuove parole e nuovo senso per una gastronomia che non può 
                  essere lasciata in mano a chi ne sta dilapidando meticolosamente 
                  ogni connessione alla comunità, al piacere sociale.
 Non è vero che cibo e vino vanno abbandonati perchè 
                  sono temi ormai infruttuosi per il mutamento. La tavola va riapparecchiata 
                  oggi. A beneficio comunitario Va riapparecchiata non ricordando 
                  il passato e utilizzando le stoviglie della nonna divenute trendy. 
                  In tavola oggi ci va una veronelliana (da Veronelli, oltre Veronelli) 
                  cassetta degli attrezzi che può servire ad una sola cosa: 
                  nuovo utilizzo e nuove dirompenze enogastroniche. E che siano 
                  magari brutte, sporche e cattive. Purché vadano dappertutto. 
                  E dimostrino che la tavola apparecchiata è, materialmente, 
                  bene comune. Miccia. Innesco. Futuro.
  Simonetta Lorigliola continua 
                  a leggere il dossier |