Rivista Anarchica Online


Medio Oriente

Con nessuno dei due

di Andrea Papi


Sono fermamente convinto che bisogna schierarsi con gli ultimi, con le popolazioni, al di là dei due schieramenti e contro di essi, perché entrambi, seppur in modi differenti e con motivazioni contrapposte, li vessano costantemente con una tirannia dettata da contrapposte ragioni di stato.


Nel marzo 2009, riflettendo sempre su questa rivista sull'aggressione a Gaza cui lo stato di Israele aveva dato avvio alla fine di dicembre 2008, commentavo: «[...] personalmente rivendico con forza il diritto, che eticamente sento come un dovere, di non schierarmi con nessuno dei due contendenti. Anzi! Mi correggo leggermente. Sono fermamente convinto che bisogna schierarsi con gli ultimi, con le popolazioni, al di là dei due schieramenti e contro di essi, perché entrambi, seppur in modi differenti e con motivazioni contrapposte, li vessano costantemente con una tirannia dettata da contrapposte ragioni di stato» (Logica militare di stato, “A” 342, marzo 2009).
A distanza di quasi sei anni, ragionando sull'ultima guerra di questa estate in Palestina, non solo condivido quel che allora scrissi, ma lo trovo ulteriormente confermato. Anche se la situazione si è vieppiù complicata e radicata, continua a confermare ampiamente che sulla pelle di masse umane si sta svolgendo, tra l'ignaro e il consapevole, un conflitto che le vede quale moltitudine di manovra per interessi e scopi che travalicano il “bene comune”, tanto conclamato a parole da entrambi i contendenti. Da antimilitarista cocciuto sono sempre più convinto che non ci si può schierare con nessuno dei due, che sia incoerente e insostenibile parteggiare per una delle parti in lizza, partecipando attraverso simpatie per l'uno o per l'altro.
Sottolineo questo risvolto spinto dal motivato sospetto che nella sinistra italiana, in particolare in una parte consistente di quella cosiddetta radicale, continui ad esser diffuso un atteggiamento, culturale e politico insieme, tendente ad abbracciare in toto la “causa palestinese”, di Hamas in particolare, come conseguenza delle sacrosante indignazione e condanna contro l'occupazione e l'aggressione militare portata avanti da troppi decenni dallo stato di Israele. Mi sorge spontanea un'associazione. Quando negli anni settanta Khomeini andò al potere in Iran scacciando lo scià, Lotta Continua, considerata allora una delle punte più radicali dell'estrema sinistra, appoggiò quella presa di potere perché espressione del popolo e perché vista come una clamorosa sconfitta dell'odiato capitalismo americano. Purtroppo nella sinistra radicale in genere da sempre l'unico vero nemico rimane invariabilmente il capitalismo occidentale, soprattutto di matrice USA. Il “fondamentalismo islamico” jihadista, come da più parti viene definito, per esempio, non essendo espressione della struttura economica, sembra continui ad esser considerato in ogni sua componente solo un pericolo secondario.
Ritengo questo reiterato “vizio ideologico” un incoerente spostamento di visione e un pericoloso svisamento del senso della questione in campo. Può infatti indurre a incomprensioni analitiche e ad alleanze, in genere fortunatamente limitate al sentimento, che allontanano dalle basi su cui si dovrebbe in qualche modo fondare una visione di sinistra, in particolare se libertaria. La questione sembra oggi più complicata e intricata rispetto a sei anni fa perché da allora c'è stata una dilatazione significativa delle componenti in lizza. Raggruppamenti jihadisti si sono potenziati all'interno di Gaza, con conseguente aumento di spinte guerrafondaie. Una nota di agenzia sul web del 12 agosto riportava: «L'obiettivo di Tel Aviv è colpire il braccio armato delle due principali organizzazioni terroristiche operanti nella Striscia di Gaza, ovvero le Brigate del martire Izz al-Din al-Qassam e le Brigate al-Quds, rispettivamente di Hamas e del Movimento per il Jihad Islamico in Palestina».

Fuori e contro la logica degli stati

Diversi osservatori fanno notare che Hamas in un certo senso si trova ostaggio di forze interne a Gaza che spingono per radicalizzare lo scontro, per portare la lotta alle sue estreme conseguenze. Caracciolo (Repubblica, 10 luglio 2014) sostiene che ad uccidere i tre ragazzi israeliani, occasione dello scatenarsi di quest'ultimo conflitto, sono stati molto probabilmente alcuni killer della tribù di Qawasamen, basata a Hebron, che si dedica da tempo a compiere attentati per screditare la leadership di Hamas. Bernardo Valli (Repubblica, 9 agosto) d'altronde riporta che, al di là delle emozioni suscitate dai quasi 2000 morti, ormai Hamas è inviso a quasi tutti i regimi della regione: a Israele, ovviamente, ma anche l'Egitto, l'Arabia Saudita e quasi tutti gli emirati del golfo, con l'eccezione del ricco Qatar, [...] anche Teheran impegnata nei negoziati sul nucleare, [...] di riflesso è diminuito il sostegno degli Hezbollah libanesi, sensibili ai richiami di Teheran.
Abbiamo dunque da una parte lo stato israeliano che, non riconoscendone la legittimità politica, attacca e bombarda Gaza provocando stragi tra la popolazione civile e dall'altra una controparte palestinese che considera illegittimo Israele, sempre più impregnata di logiche jihadiste e con la dirigenza sempre più screditata, politicamente ricattata da frange guerrafondaie fondamentaliste. Da una parte la logica dello stato israeliano continua a permettere l'occupazione di territori con annessioni militari e di gestire a sua discrezione l'uso dell'acqua, fondamentale per quella regione, a discapito delle popolazioni locali palestinesi. Dall'altra una quantità consistente di popolazione palestinese rifiuta ogni possibilità d'incontro col nemico perché, sfiorando un vero antisemitismo, vorrebbe eliminare dalla faccia della terra Israele mentre d'altro canto, importantissimo per ogni libertario, propugna un tipo di società contraria ai presupposti della libertà (sottomissione delle donne e leggi con pesanti impronte islamiche).
Inoltre diverse cose non quadrano in quello che sta succedendo. Se, come fanno invariabilmente Hamas e in particolare lo jihadismo, si propugna una logica militare di rivolta sorretta dalla volontà dell'annientamento irrinunciabile del nemico, si dovrebbe conseguentemente ragionare in termini militari, cioè agire per tentare di conseguire la vittoria nelle battaglie. Nessun combattente sano di mente attacca sapendo in partenza di buscarle sicuramente forte. Hamas e i gruppi jihadisti invece, pur consapevoli di subire aggressioni che comportano grossissime perdite, sia di militanti sia di civili, continuano ad attaccare l'odiato nemico sapendo di scatenare reazioni per loro devastanti. Sapevano pure perfettamente che quasi tutti i loro razzi sarebbero stati sistematicamente intercettati e annientati dalla contraerea antimissilistica israeliana rendendo insignificante ogni offensiva.
Gli israeliani avrebbero prolungato il cessate-il-fuoco senza porre condizioni, a respingere la proposta è stata Hamas costretta a dimostrare di esistere ancora dopo i 29 giorni di sangue (Bernardo Valli, 9 agosto, Repubblica). Data la densità di popolazione nella striscia di Gaza le postazioni per le rampe di lancio dei missili si trovano frequentemente in mezzo alle abitazioni civili, come pure i tunnel sotterranei, inducendo a bombardarli per distruggerli. Non si può far la guerra “scavando trincee” di resistenza e di attacco pretendendo che tali postazioni non vengano attaccate perché posizionate tra la popolazione civile. Vuol dire accettare l'idea di sacrificare i civili usati di fatto come scudi. Sorge il sospetto dell'esaltazione del martirio, tipico dello jihadismo.
D'altra parte quale altra logica muove invece il governo e l'esercito israeliani se non di massacrare un nemico di molto inferiore? Essendosi finora dimostrata in grado di annientare e rendere (quasi) inoffensivo il livello di aggressione palestinese è consapevole in pieno della propria superiorità militare e tecnologica. Non potrebbe limitarsi a neutralizzarlo senza bombardare luoghi abitati col risultato di sterminare invariabilmente donne, bambini e anziani civili? Potrebbe fra l'altro così dimostrare agli occhi del mondo quello che dichiara, che cioè è Hamas che ha come vero e unico obbiettivo la sua totale distruzione. Ma come sempre la guerra scatena gli istinti peggiori su entrambi i fronti, esalta la vocazione sterminatrice degli eserciti, stimola il nazionalismo, mette in un angolo le voci del dissenso pacifista (ben presenti in Israele), in una spirale di esaltazione, violenze e vendette cui sembra impossibile opporsi.
Il devastante imperio militarista è ben attivo e presente in entrambi. Lì si sta svolgendo da sempre una classica guerra per la supremazia, il controllo e il potere, dove domina e s'impone con brutalità il più forte. Come anarchico e antimilitarista non posso né voglio sostenere nessuno dei due fronti, ma osteggiarli entrambi. Schierandomi – questa volta sì – al fianco di chi, da entrambe le parti, s'impegna per la cessazione del conflitto e la libera coesistenza dei popoli (e degli individui), per i diritti delle donne, delle minoranze e di tutti gli oppressi.

Andrea Papi