Rivista Anarchica Online


era digitale

L'anarchia al tempo del Cyborg

di Alberto Giovanni Biuso


La teoria e la pratica anarchica continuano a costituire un orizzonte di interpretazione e di trasformazione della realtà.
Anche dove la realtà assume un aspetto digitale.


Noi umani mai ci siamo accontentati del nostro bagaglio organico, insufficiente ai fini della sopravvivenza. La specie ha sempre modificato se stessa e gli ambienti in cui vive, al punto da non riuscire più a sopravvivere senza le innumerevoli protesi che accompagnano la vita quotidiana dei singoli e delle collettività. La protesi oggi più potente è costituita dalle macchine per pensare, da quei calcolatori senza i quali ci ritroveremmo immediatamente sull'orlo del collasso e nella impossibilità di seguire, controllare e dirigere l'enorme flusso di informazioni in cui abbiamo trasformato le nostre esistenze e quelle dell'ambiente nel quale siamo immersi. Quella che sta emergendo è una vera e propria struttura biotecnologica, un cyborg collettivo. Cyborg è una parola recente che in realtà indica qualcosa di molto antico e presente sin dall'inizio del processo di ominazione. Il nostro tempo si differenzia – e non è certo cosa da poco – per l'accelerazione che sta imprimendo alla fusione fra il corpo umano e le sue protesi e per il progressivo e veloce autonomizzarsi delle macchine rispetto ai loro inventori.
La radice di questo presente è davvero assai remota e si può individuare nel passaggio dalle civiltà orali a quelle della scrittura, nel momento in cui abbiamo estratto la cultura dai nostri corpi sostituendo la memoria biologica con l'alfabeto e con l'abaco. La prima protesi non solo tecnica – e probabilmente la più importante – è stata quindi l'alfabeto unito alla simbologia dei numeri. Con queste invenzioni, infatti, è avvenuto lo spostamento all'esterno del corpo di alcune delle facoltà fondamentali dell'umano. E tuttavia la corporeità è «la vera chiave per decifrare l'enigma dell'essere» e nonostante gli enormi sviluppi delle scienze mediche e biologiche, essa «rimane un mistero, così come un motivo di frustrazione e di angoscia»1. Nel privilegio dato agli aspetti formali del pensiero, l'Intelligenza Artificiale dimentica – e a volte persino respinge – la corporeità, ritenendola un elemento accessorio dell'esistenza e della conoscenza umane. Ma è del tutto illusorio credere di poter riprodurre l'intelligenza facendo a meno della relazione che il corpo intrattiene con il mondo. È il corpo, infatti, che garantisce non solo le reazioni immediate e istintive in vista della sopravvivenza (livello biologico) ma anche l'acquisizione, la conoscenza e la rielaborazione dei significati che diamo agli enti, alle situazioni e al tempo (livello culturale).
La ricerca più aggiornata nell'ambito dell'I.A. è ormai consapevole della necessità di essere corpo affinché intelligenza si dia. Un corpo che non venga dal nulla, bell'è fatto e perfetto, ma possa in qualche modo ripercorrere la vicenda evolutiva e temporale della corporeità umana e la costante apertura del singolo al mondo. L'intelligenza, infatti, è qualcosa di sistemico, perché il singolo neurone non pensa ma a pensare è il complesso formato dai neuroni, dal cervello, dal corpo e dal mondo in cui neuroni, cervelli e corpi vivono e interagiscono. Il corpo umano è da sempre ibridato perché coperto, rafforzato, intessuto di apparati –dai più elementari e primitivi ai più raffinati e “virtuali” – «che ne hanno esteso e moltiplicato le possibilità d'interazione, in senso sia conoscitivo sia operativo. Tanto che non è facile dire dove termini il corpo: affermare che esso è racchiuso nei suoi limiti “topologici”, segnati dalla pelle, è – sotto il profilo comunicativo ed effettivo – arbitrario e sostanzialmente inesatto»2.
Il computer non sta solo cambiando la nostra cultura ma sta anche rafforzando le capacità di percezione, di memoria e di attenzione che sono insite nel nostro organismo e il cui pieno dispiegamento accade nella corporeità vivente e vissuta che scandisce il nostro quotidiano esistere e agire nel mondo. Per comprendere davvero tali dinamiche non bisogna confondere entità molto diverse come i robot, gli androidi e il cyborg. I robot esistono da decenni e lavorano instancabilmente in contesti molto diversi. Essi sono il puro artificio di una operatività limitata a obiettivi anche assai complessi ma ben specifici. I robot che già esistono possono essere molto potenti ma sono totalmente privi di adattabilità e di coscienza. Gli androidi, al contrario, rappresentato il futuribile di robot antropomorfici privi di elementi organici. Il cyborg, invece, costituisce il presente e la stessa storia dell'umanità, poiché è «la combinazione tra un organismo evoluto e una macchina»; esso «è una miscela di organico, mitologico e tecnologico; è un essere che ci ingloba e che ci portiamo dentro»3. Un individuo vaccinato è un cyborg perché il suo organismo è stato in questo modo riprogrammato allo scopo di difendersi da vari tipi di infezione; chiunque si unisca provvisoriamente o definitivamente a una macchina è un cyborg, dall'automobilista con le mani sul volante e i piedi sui freni al malato di cuore dotato di pacemaker, dal ciclista a chi fa uso di lenti a contatto; ovviamente, «anche la convergenza di milioni di menti nella rete elettronica di comunicazione planetaria è un cyborg»4.

Oltre la tecnofobia e la tecnofilia

La Rete che avvolge il pianeta in un intreccio di informazione e comunicazione dà vita al cyborg inteso come un insieme di connessioni senza limiti e senza interruzioni, un soggetto che possiede molte qualità e delle potenzialità non solo di ulteriore espansione quantitativa ma anche di miglioramento qualitativo. E tuttavia in esso non mancano certo gli aspetti problematici, a partire dalla riduzione della conoscenza alla frammentazione incoerente dei dati: «Non più apprendere, dunque, ma documentarsi, non più studiare ma consultare, non più organizzare il sapere intorno a concetti e idee di fondo, ma accumulare dati relativi a parole chiave»5. Se da una parte Internet accelera i tempi e la massa della comunicazione, dall'altra produce un vero e proprio surriscaldamento cognitivo che in realtà maschera un rumore di fondo che è il contrario di qualunque comunicazione sensata. Anche la dimensione democratica della Rete ha come effetto un intenso rumore che copre i contenuti significativi e potenzialmente liberatori in una massa indistinta di messaggi, tutti velocissimi, planetari, uguali.
Un atteggiamento libertario verso la Rete comporta anzitutto l'andare oltre le diverse forme di tecnofilia e tecnofobia, due atteggiamenti sempre presenti negli individui e nelle collettività. Tanto più essi emergono in fasi di impetuosa innovazione tecnologica come quella attuale, innovazione che riguarda a fondo e totalmente la struttura politica degli Stati e delle organizzazioni internazionali. La Rete permette certamente di realizzare «quell'idea di assemblea permanente che è sempre stata parte integrante della pratica utopica anarchica, che ora può concretizzarsi su internet con un sistema di feedback e interazione continui», permette di implementare «un'organizzazione autonoma che sia in grado di prendere decisioni, di gestire i processi in atto e, al tempo stesso, di non costituirsi in apparato strutturato di potere con gerarchie stabilite» e lo fa per mezzo di una «comunicazione elettronica orizzontale» e di tecnologie che «proprio perché sono tecnologie di individualizzazione e di autonomia, sono tecnologie di libertà»; questo non significa tuttavia «che le tecnologie, di per sé, producano libertà, producano autonomia»6.
Anzi. Bisogna infatti essere ben consapevoli che gli stessi strumenti che potenzialmente ampliano gli spazi di libertà sono anche utilizzabili per la repressione e per un controllo accurato e costante sugli individui e sulle popolazioni. Due fonti di informazione ormai pervasive, che ci portiamo tutti appresso e che forniscono dati fondamentali sulla nostra vita, sono la carta di credito e il cellulare, il quale continua a inviare dati sulla localizzazione e sui movimenti anche quando il telefono è spento. L'informatica pervasiva del sociale delinea in questo modo il rischio di un vero e proprio «neototalitarismo», il quale però si trova «a convivere e a confrontarsi con il neoanarchismo»7. Quest'ultimo deve riflettere criticamente su alcuni dei propri presupposti, allo scopo di comprendere una dinamica che è da sempre presente nella complessità delle strutture umane ma alla quale Internet offre l'evidenza del quotidiano: il fatto che anche strutture orizzontali possono essere e diventare strutture di potere che funzionano ancor meglio di quelle gerarchiche.
Nonostante dunque tutte le speranze, i timori, le utopie immateriali che intendono uploadare la mente in corpi migliori di quelli che noi siamo, la finitudine consapevole di se stessa rimane il tratto costitutivo della specie che pensa. E anche per questo, «in un mondo dal quale sia stata sradicata la tragedia umana, morire senza lasciare traccia sarà forse l'unico atto rivoluzionario»8.
Coniato nel 1960 da Clynes e Kline per indicare un uomo migliorato e potenziato al punto da riuscire a sopravvivere in un ambiente non terrestre, il termine cyborg è quindi diventato un potente strumento di comprensione di ciò che caratterizza l'umano da sempre ma che oggi mette in discussione i paradigmi più consolidati, le differenze di sesso, classe, etnia e persino specie mediante un'accelerazione di quel processo ibridativo che costituisce un dato antropologico costitutivo dell'Homo sapiens. Si tratta di una figura radicalmente ambigua, come ben evidenzia Katherine Hayles: «Se il mio incubo è una cultura abitata da postumani che considerano i loro corpi alla stregua di accessori di moda, invece che sede del loro essere, il mio sogno è una versione del postumano che accetti la possibilità delle tecnologie dell'informazione senza rimanere sedotto da fantasie di potere illimitato e dall'immortalità disincarnata, riconoscendo ed esaltando la condizione di finitudine dell'uomo e comprendendo che la vita umana è radicata in un mondo fisico di estrema complessità, dal quale dipende la nostra sopravvivenza»9.

Difendere la libertà della Rete

L'anarchismo è per sua natura plurale, in divenire, «portatore di una concezione relativistica critica», come ben chiarisce Andrea Staid nella Postfazione al dialogo tra Castells e Ibáñez10. Anche per questo è capace di trasformarsi e di adeguarsi al divenire delle realtà sociali senza perdere la propria identità. Gli anarchici sono consapevoli che non bisogna nutrire alcuna illusione sul fatto «che le nuove tecnologie della comunicazione siano tecnologie che promuovono, di per sé, un cambiamento sociale positivo. O, per essere più precisi, è vero che consentono un tale cambiamento, ma sono i processi sociali e le decisioni politiche a dettare le regole circa la direzione da imboccare e le modalità da seguire»11. Si tratta di tecnologie capaci infatti di favorire sia l'autonomia sia la sorveglianza. Anche per questo, conclude Castells, «non ha senso porti il problema se utilizzare o no internet nel timore che ti possano sorvegliare... Sì, è vero, ti possono sorvegliare, ma anche se non utilizzi internet ti possono sorvegliare in vari altri modi, con i satelliti, i poliziotti e così via. Se invece utilizzi internet, anche tu li puoi sorvegliare, e questo cambia molte cose»12.
Diventa dunque importante difendere in modo convinto e in ogni maniera la libertà della Rete, perché non si tratta di difendere una qualsiasi tattica tecnologica ma di salvaguardare le possibilità che Internet offre di autonomia nella creazione di contenuti, di analisi, di idee, di alternative. Ed è per questo che «le battaglie per la libertà nel nuovo sistema di comunicazione sono battaglie più importanti di quelle sul salario minimo o cose simili. Attenzione, non sto contrapponendo la lotta per la libertà alla lotta per il salario minimo, ma sostengo che per difendere il salario minimo è necessario mettere a disposizione della libertà gli strumenti adatti»13.
Il dispositivo gramsciano dell'egemonia conferma la propria capacità di disvelare le strutture reali del potere. Anche Internet, infatti, è una prova che «il potere sta nella mente delle persone, e se controlli il modo in cui la gente si informa e comunica, allora controlli il potere. [...] Il dominio degli apparati è solo l'espressione di un dominio più profondo: il dominio delle menti»14. I rapporti tra struttura e sovrastruttura sono più complessi rispetto ai modelli classici del marxismo perché il lavoro mentale – comprese le passioni – condiziona la vita sociale quanto la struttura economica condiziona la vita delle menti. La teoria e la pratica anarchica lo hanno sempre saputo e anche per questo continuano a costituire un orizzonte di interpretazione e di trasformazione della realtà. Anche dove la realtà assume un aspetto digitale.

Alberto Giovanni Biuso

Note
  1. N. Yehya, Homo Cyborg. Il corpo postumano tra realtà e fantascienza (El cuerpo transformado, Editorial Paidós Mexicana, 2001), trad. di C. Milani e R. Schenardi, Elèuthera, Milano 2004, pp. 121 e 129.
  2. G.O. Longo, Il nuovo Golem. Come il computer cambia la nostra cultura, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 15.
  3. N. Yehya, Homo Cyborg, cit., pp. 35 e 37.
  4. Ivi, p. 36.
  5. G.O. Longo, Il nuovo Golem, cit., p. 22.
  6. M. Castells - T. Ibáñez, Dialogo su anarchia e libertà nell'era digitale, (El Neoanarquismo, la libertad, y la sociedad contemporánea, 2006), trad. di L. Cortese, postfazione di A. Staid, Elèuthera, Milano 2014, pp. 16-17 e 29.
  7. Ivi, p. 26.
  8. N. Yehya, Homo Cyborg, cit., p. 158.
  9. K.M. Hayles, How We Become Posthuman. Virtual Bodies in Cybernetics, Literature, and Informatics, The University of Chicago Presss, Chicago-London 1999, p. 5.
  10. Castells - T. Ibáñez, Dialogo su anarchia e libertà nell'era digitale, cit., p. 53.
  11. Ivi, pp. 29-30.
  12. Ivi, p. 51.
  13. Ivi, p. 35.
  14. Ivi, pp. 36 e 45.