Rivista Anarchica Online


storia

Appunti sugli anni '70

di Massimo Varengo


Da Piazza Fontana al rapimento di Aldo Moro. Un decennio di lotte, speranze, illusioni, repressione, scontri.


Il 12 dicembre 1969 rappresenta una cesura, una rottura netta sul prima e dopo della nostra storia. Alcuni hanno definito questo avvenimento come la perdita di innocenza dei movimenti di allora. In realtà non c'è stata alcuna perdita d'innocenza, ma sicuramente un voltare pagina. Se prima il movimento si sentiva all'attacco, si sentiva forte, ma anche gioioso con un contenuto radicale di vita alternativa, completamente nuovo rispetto alla fase moralista e bigotta precedente, con un scoprire relazioni che prima non esistevano, sostanzialmente una socialità più libera che si stava affermando e quindi più felice. Ora questo movimento si rende conto che la situazione è cambiata, non basta fare cortei continuamente, non basta fare occupazioni, ma vi è necessità di fare un salto di qualità perché è la repressione che ti costringe su questo piano, perché sono le bombe di Piazza Fontana che ti costringono su questo piano. Dopo questa bomba ne seguiranno altre. Seguiranno le bombe sull'Italicus, sul treno a san Benedetto Val di Sambro, le bombe a Brescia di Piazza della Loggia nel 1974, contro una manifestazione sindacale. Ci sarà una serie di stragi che colpiranno gente comune, lavoratori, all'interno sempre di questo meccanismo del terrore, nel tentativo di far retrocedere i movimenti, di allontanare la gente dallo scontro sociale, dagli scioperi, dalle lotte, e di dare forza ad una opzione autoritaria. Parallelamente a queste stragi ci saranno altri tentativi di colpo di stato come quello portato avanti da Junio Valerio Borghese, già comandante della milizia fascista della X Mas ed esponente di punta del neofascismo italiano collegato con settori dell'amministrazione Statunitense.
Il movimento si trova quindi nella condizione di dovere fare i conti con questa situazione. Il movimento che allora si esprimeva in modo molto libertario e autoorganizzato inizia a rinchiudersi nei gruppi organizzati, gruppi che erano già presenti ma non in forma così statica, così rigida e che si danno sempre più in forma organizzata. Nelle manifestazioni, hanno sempre più peso quelli che venivano chiamati servizi d'ordine e che in realtà erano veri e propri gruppi addestrati inizialmente allo scontro fisico con la polizia e poi alla repressione delle dissidenze interne e dei concorrenti esterni.
A Milano, ad esempio, il Movimento Studentesco di Capanna che faceva capo all'Università Statale aveva assunto un atteggiamento sempre più autoritario nei confronti delle altre tendenze del movimento arrivando ad esaltare la figura di Stalin come elemento di riferimento ideologico. Questo gruppo aveva una sua formazione molto consistente di cosiddetto servizio d'ordine i cui appartenenti venivano chiamati katanga (in riferimento alla secessione del Katanga che avveniva in quegli anni in Africa); questo gruppo teneva il suo addestramento regolarmente all'interno di palestre, proprio per allenarsi allo scontro. Anche Lotta Continua aveva un suo servizio d'ordine molto organizzato soprattutto nel 1972 quando il clima golpista stava aumentando progressivamente – ricordiamo che nel 1972 avvenne, insieme all'omicidio del commissario Luigi Calabresi, un altro fatto importante per i movimenti cioè la morte di Giangiacomo Feltrinelli al traliccio di Segrate di Milano. Giangiacomo Feltrinelli, noto editore e anche finanziatore di alcune componenti della sinistra extra parlamentare, era l'uomo che aveva maggiori rapporti a livello internazionale con la rivoluzione cubana, con i castristi e con molte altre formazioni guerrigliere latino-americane. Non è un caso che insieme agli anarchici per la strage di piazza Fontana uno degli obiettivi principali della polizia fu quello di cercare di incastrare Feltrinelli: una serie di compagni furono arrestati proprio per cercar di creare dei collegamenti con la figura di Feltrinelli.
Feltrinelli successivamente decide di passare in clandestinità perché capisce che lui è uno degli obiettivi della repressione e, nel farlo, dá una lettura particolare della fase, ritiene cioè che il colpo di Stato sia imminente e che quindi bisogna organizzare dei gruppi clandestini armati per resistere al colpo di Stato, un po' come aveva fatto la CNT in Spagna prevedendo il colpo di Stato dei militari franchisti e quindi organizzando i comitati di autodifesa accumulando più armi possibili e più conoscenze territoriali per rispondere efficacemente al colpo di Stato che poi effettivamente avvenne nel luglio del 1936 dando inizio ad una sanguinosa guerra civile. Feltrinelli quindi fece una lettura simile e iniziò ad organizzare questi gruppi di lotta partigiana, i GAP, esponendosi in prima persona in questa iniziativa; e fu proprio nel corso di un'azione militante tendente a dare un segnale alla popolazione tramite l'interruzione della fornitura di corrente elettrica nel nord ovest di Milano che cadde dilaniato dall'esplosione di una bomba applicata ad un traliccio dell'energia elettrica. Quando il suo corpo fu ritrovato, e riconosciuto, la sua morte generò molte letture; il movimento si spaccò rispetto a questo: una parte ritenne che la sua morte fosse una provocazione, che fosse stato ucciso dalla destra fascista o dalla Polizia o dai servizi e poi abbandonato in un campo nei pressi del traliccio per intensificare la repressione contro il movimento, un'altra parte invece rivendicò la sua appartenenza ai GAP, con il nome di battaglia di 'comandante Osvaldo' e affermò che Feltrinelli era morto come un militante rivoluzionario.
Il movimento cominciava a reagire in termini diversi e contrapposti rispetto ad un fatto che in effetti divenne un elemento di discrimine in quella fase contrassegnata da un'alternanza di rivendicazione democratica e di contestazione rivoluzionaria. Le Brigate Rosse erano un'altra formazione che nasceva nell'autunno del 1970 dalla confluenza di vari soggetti provenienti dalla sinistra comunista, dalle lotte alla facoltà di sociologia di Trento e da altri collettivi che si ritrovano in una lettura della fase che, pur contrapposta a quella di Feltrinelli - basata sull'utilizzo che PCI e sindacato fanno dei tentativi golpisti, teso a fare ripiegare le lotte operaie e studentesche nella difesa dello Stato 'nato dalla Resistenza' svuotando di senso la 'lotta di classe' – ritengono necessario il ricorso alle armi. Anche le BR passano in clandestinità come risposta necessaria alla repressione montante e per affermarsi come punto di riferimento nella costruzione del 'partito armato', avanguardia del processo rivoluzionario che viene considerato in rapido divenire. Queste BR però non sono le Brigate Rosse degli anni successivi, sono ancora formazioni molto simili ai gruppi – e ai loro servizi d'ordine - che allora erano sulla piazza.

Progressiva regressione del movimento complessivo

Nel '73 avviene il colpo di Stato militare in Cile foraggiato dal governo nordamericano e il presidente legittimamente eletto Salvador Allende viene ucciso dai militari golpisti. È un'ulteriore conferma che gli americani in quella fase si muovono per limitare il più possibile l'influenza della sinistra e per metterla fuori gioco laddove questa risulta vincente.
In parallelo ci sarà l'operazione Condor ideata e promossa dagli USA, con la formazione degli ufficiali di vari paesi, Argentina, Brasile, Cile, Uruguay, Paraguay che vengono preparati nelle scuole militari americane per combattere il 'comunismo' ovvero ogni processo di insorgenza popolare a carattere anticapitalistico nei loro Paesi. L'operazione Condor porterà all'istaurarsi di dittature militari da un paese all'altro, Dopo il Cile verrà l'Argentina, l'Uruguay, il Brasile, la Bolivia e il Perù mentre il Paraguay mantiene la sua pluriannale dittatura: una progressione continua di dittature, tutte foraggiate dagli Stati Uniti d'America. Questo è la situazione di allora e chi agiva in quel periodo deve fare i conti anche con questo scenario incombente.
Al di là della situazione interna del paese Italia, questo scenario contribuisce a spiegare la radicalizzazione successiva dello scontro, la necessità da una parte di dotarsi di strutture in grado di contrastare quanto si veniva delineando e dall'altra parte di non abbandonare il campo, di mantenere alta la conflittualità sociale. Ma la battaglia è piuttosto impari. E contribuiscono a renderla tale molte delle scelte successive. In un contesto dove sembrano modificarsi i rapporti di forza tra i principali partiti, dopo la sconfitta della DC al referendum del '74 e alle elezioni amministrative del '75, la crescita elettorale del PCI e la proposta di alleanza avanzata dal segretario del PCI Berlinguer, con il nome di 'compromesso storico', la partecipazione alle elezioni sembra la chiave di volta alle dirigenze dei gruppi della sinistra extraparlamentare. Ma proprio a partire da quel momento, dovremo invece registrare infatti una progressiva regressione del movimento complessivo che troverà il suo apice più alto nelle elezioni anticipate del 20 giugno 1976 alle quali la sinistra extraparlamentare che ormai si definisce così - Lotta Continua, Avanguardia Operaia, PdUP ed altri minori - decide di partecipare con il cartello elettorale denominato Democrazia Proletaria. In un clima infuocato e costellato da numerosi episodi di violenza DP raccoglie solo 556.000 voti pari all'1,5% dei votanti, quando le previsioni del PdUP davano un 6/7% e la dirigenza di Lotta Continua sperava in un 15% in modo da poter poi condizionare il PCI e spingerlo su una strada di rottura istituzionale. Questa sconfitta elettorale è il colpo di grazia ad un movimento che inizialmente si era mosso in termini antiparlamentari, antistatali, antiistituzionali, in modo assemblare, auto organizzato e poi si era involuto nei burocratismi organizzativi, nelle gerarchie, nell'ideologismo fino all'ultima deriva dell'opportunismo parlamentarista.
Dopo di allora il 'riflusso nel personale', la 'crisi della militanza', l'eroina… Si dovranno aspettare gli anni successivi in cui riprenderanno forza gli elementi di controcultura sviluppati soprattutto negli ambiti libertari che daranno vita prima ai circoli giovanili e ai centri sociali, poi a quelle forme di autonomia operaia che si daranno e poi a quel grande movimento del '77 che rappresenterà un ulteriore momento di rottura sociale con delle caratteristiche però completamente diverse da quelle del '68. Non è più il '68 degli studenti che rivendicano un diverso piano di studi, una diversa trasmissione del sapere, un'altra organizzazione della scuola e così via – un movimento sostanzialmente contestativo - ma è un movimento radicalmente alternativo che va alla rottura totale, un movimento che coglie i motivi della sconfitta del movimento precedente nella deriva elettoralistica e nella miseria istituzionale e che denuncia il progressivo recupero delle istanze del'68 da parte di un potere capace di reinventarsi e di integrare il modernismo allora espresso nelle formazioni partitiche più spregiudicate, come fu il PSI di Bettino Craxi.

Aggravamento delle leggi repressive

Le avvisaglie si avranno con le contestazioni al festival del Parco Lambro, nell'estate del 1976 dove emergerà in tutta la sua dimensione la condizione dei giovani di allora, costretti ad una vita di grande miseria esistenziale, tra lavori precari e sottopagati, una scuola sempre più carente e distante, la fuga nell'eroina, un tempo 'libero' fatto di noia, alienazione, di vuoto sociale. La famiglia e la scuola non sono più in grado di contenere una massa di giovani che il ciclo di lotte precedente ha politicizzato e formato, pur all'interno di letture partitiche ed ideologiche, ormai in crisi di credibilità.
Una prima risposta arriva dai primi circoli che si formano attorno ai luoghi di aggregazione di questa gioventù proletaria, nella periferia delle città che lanceranno la proposta dell'autoorganizzazione nei circoli, nelle feste, nei momenti di autocoscienza, nelle occupazioni, nelle ronde metropolitane per riprendere in mano il proprio destino e per lanciare la propria sfida alla città e all'ordine esistente. A Milano nel dicembre del '76 un'assemblea di duemila giovani decide di boicottare la prima della Scala, appuntamento tradizionale della ricca borghesia milanese, con diversi cortei che intendono convergere al centro: ne seguono militarizzazione della città e il duro attacco della polizia alle manifestazioni.
Parallelamente, in seguito ai provvedimenti del ministero della pubblica istruzione tendenti a smantellare la liberalizzazione dei piani di studio, conquistata nel '68, partono le prime occupazioni nelle università: Palermo, Torino, Pisa, Napoli, Roma poi Milano e Bari, Bologna, Genova, Cagliari. A Roma la situazione si fa subito tesa, con i fascisti che tentano un'irruzione nella città universitaria e che sparano fuggendo, colpendo alla nuca uno studente di lettere. Mentre viene indetta una manifestazione antifascista dai sindacati, un corteo di studenti esce dall'università per attaccare la sede missina di Via Sommacampagna che viene data alle fiamme. Sulla via del ritorno una sparatoria tra poliziotti in borghese e manifestanti registra tre feriti. Il PCI ne approfitta per attaccare il movimento e la CGIL indice una manifestazione alla Sapienza di Roma con il suo segretario generale, Luciano Lama, per riprendere il controllo della situazione.
È la scintilla che 'incendia la prateria': la mobilitazione studentesca sarà tale da provocare una reazione del servizio d'ordine sindacale, con conseguenti scontri e la fuga di Lama dall'Università: un fatto di enorme impatto simbolico e politico. Il movimento si rafforza, le occupazioni delle scuole si moltiplicano, cresce la tensione sociale che sfocerà in manifestazioni vivaci come quella di Roma del 5 marzo, duramente contrastate dalla polizia, oppure come quella particolarmente partecipata e determinata del 11 marzo a Bologna in seguito all'assassinio di Francesco Lorusso da parte di un carabiniere. La morte di questo studente di Lotta Continua, particolarmente attivo nel movimento, sarà l'innesco per una serie di altre iniziative di attacco del movimento: da Roma a Milano, ancora a Bologna ed in altre città. A Roma verrà dato l'assalto ad un'armeria, pistole e molotov faranno la loro apparizione in più parti; a Bologna compariranno i mezzi blindati dei carabinieri anticipazione della dura repressione che seguirà e che, insieme all'intenso dibattito che attraverserà il movimento in seguito alle diverse valutazioni degli avvenimenti appena accaduti, con il loro corollario di illegalismo diffuso, più o meno armato, provocherà lo sviluppo di divisioni e lacerazioni che influiranno pesantemente sull'andamento successivo. Le componenti più creative del movimento, le femministe, i libertari progressivamente prenderanno le distanze dai progetti dell'area della cosiddetta 'autonomia operaia', soprattutto dalle sue componenti militariste. Lorusso non sarà l'unico caduto in quel 1977, seguiranno un agente di polizia, Passamonti, colpito durante una sparatoria in reazione allo sgombero dell'università a Roma, Giorgiana Masi, nel corso di una manifestazione per ricordare la vittoria del referendum per il divorzio, colpita alla schiena da un proiettile sparato da un agente in borghese, il brigadiere Custrà a Milano per un colpo d'arma di fuoco alla testa durante un corteo di autonomi. Inoltre si registreranno più di duemila attentati, di varia grandezza, compiuti nel corso dell'anno.
Lo Stato risponde con l'aggravamento delle leggi repressive, in primis la famigerata legge Reale, al quale cercherà di dare risposta un convegno, proposto inizialmente da un gruppo di intellettuali francesi, preoccupati per lo stato delle libertà civili in Italia e che si terrà a Bologna nel mese di settembre. La partecipazione sarà gigantesca, circa centomila giovani provenienti da tutta Italia si confronteranno per tre giorni per trovare risposta e futuro a un movimento schiacciato tra una repressione montante, una condizione sociale sempre più escludente, una ristrutturazione complessiva del mondo del lavoro grazie all'introduzione delle nuove tecnologie che vivificheranno il dibattito sul 'rifiuto del lavoro'. Ma sarà invece un palcoscenico dove verranno riproposti schemi organizzativi ed ideologie obsolete, da dove verranno espulsi i rimasugli dei partititi nati sull'onda del '68 (Avanguardia Operaia, Lotta Continua, MLS), dove Autonomia Operaia si candiderà alla guida politica del movimento. Il corteo che conclude la tre giorni, grande, imponente ma nello stesso tempo impotente, chiude di fatto un periodo di grandi speranze rimaste insoddisfatte. In realtà il movimento del '77 era un movimento che non era realmente rappresentativo della situazione sociale italiana, ma piuttosto di sacche sicuramente significative - parliamo di centinaia di migliaia di persone. Il movimento non era riuscito a permeare la società italiana, a far sì che il bisogno di rivoluzione diventasse un elemento ampiamente condiviso da ampi strati di popolazione, di proletari, che rimasero allineati ai partiti e ai sindacati tradizionali della sinistra, una sinistra che si fece Stato, schierandosi con il compromesso storico e con la dichiarazione di fedeltà alla NATO, a favore della ristrutturazione padronale e al rafforzamento dello Stato. Privo di un'interlocuzione con il più ampio contesto sociale, incapace a trovare strade nuove in grado di dare uno sbocco positivo alla crisi in atto, non rimase al movimento – o almeno ad una buona parte di esso - che un processo di radicalizzazione che assunse caratteristiche molto marcate.

Né con lo Stato né con le BR

Più procedeva il 'farsi Stato' del PCI, con la sua politica dei sacrifici e l'alleanza con il partito del malgoverno e della corruzione, la DC, e più cresce l'insofferenza del movimento, o almeno di quel che ne resta. Chiusi gli spazi per una azione sindacale incisiva, stante l'allineamento del sindacato alla politica del compromesso, sembra non restare ai più che la scelta della lotta armata quando non si tratta di una caduta nella spirale dell'eroina (nel 1978 si registrano dai 60.000 ai 70.000 eroinomani, contro i 10.000 dell'anno precedente). Dai primi mesi del 1978 è un crescendo continuo di gruppi e di azioni armate. Siamo di fronte ad un'escalation che vedrà le Brigate Rosse uno dei principali punti di riferimento nella trasformazione dello scontro sociale in guerra civile pur nelle diversità di analisi e di proposta. Ma tanti altri collettivi e gruppi, come Prima Linea, Comunisti Combattenti, Proletari Armati e così via, prenderanno vita, anche in concorrenza fra di loro sempre più sganciati dalle dinamiche reali della vita delle masse lavoratrici. L'omicidio di un delegato sindacale a Genova, Guido Rossa, da parte delle BR, legato ad una sua presunta delazione nei confronti del gruppo innescò un meccanismo di rottura insanabile tra quella che era la classe operaia tradizionale ed il progetto brigatista di portare la classe operaia su un piano di scontro armato con le Istituzioni.
In realtà non vi era una possibilità reale di arrivare ad una guerra rivoluzionaria perché le condizioni sociali non erano mature. Ma le risposte puramente repressive del potere diedero ulteriore ossigeno a quanti ritenevano che la lotta armata fosse l'elemento allora dirimente ed è proprio a partire dal '78 che inizia un'escalation che culminerà con il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro e con uno stillicidio di azzoppamenti e ammazzamenti di magistrati, giornalisti, insegnanti, professori e così via che ebbe come risultato finale un rifluire di tutte le pratiche di conflitto sociale, strette tra le accuse di connivenza con il terrorismo brigatista e l'appiattimento riformista.
Cito alcuni esempi. Dopo molti sforzi si riuscì ad organizzare, nei primi mesi del 1978, uno sciopero autonomo in una serie di fabbriche dove dei collettivi operanti in realtà produttive importanti di Milano, Italtel, Motta Alemagna, Magneti Marelli, Pirelli avevano fatto un grosso lavoro di collegamento e di confronto. Ma lo sciopero autonomo avvenne nel giorno stesso del rapimento di Aldo Moro.
Ci si era appena ritrovati in piazza che arrivò la notizia tra capo e collo del sequestro Moro. In poco tempo arrivarono i blindati della polizia, l'incertezza sul da farsi divenne palpabile, il sindacato proclamò immediatamente lo sciopero di protesta, che di fatto andava a coprire lo sciopero autoorganizzato e in quel momento fu evidente che il livello di scontro innescato dal sequestro Moro era tale da costringere i movimenti ad una scelta radicale e senza ritorno. In seguito al rapimento Moro una cappa repressiva scese su tutte le situazioni di lotta con pedinamenti, controlli. Ci fu un'insegnante di una scuola superiore di Milano che disse in un'assemblea studentesca che in fin dei conti Moro non era quel martire che volevano presentare, ma un esponente dell'ala della Dc tra i principali responsabili delle politiche antipopolari e repressive in atto nel paese e per questa sua affermazione fu denunciata e incriminata. Il suo caso ebbe una grande risonanza e venne utilizzato per richiamare tutti all'ordine in difesa della 'repubblica nata dalla Resistenza'.
L'affermazione 'né con lo Stato, né con le BR', portato avanti dai settori che non si riconoscevano nel militarismo delle formazioni armate, ma nemmeno intendevano schierarsi con la repressione poliziesca, venne duramente criminalizzata: il diritto alla libera opinione veniva messo sostanzialmente in discussione.
Con l'operazione del 7 aprile 1979, portata avanti dalla Magistratura nei confronti di quelli che venivano individuati come i dirigenti del movimento del '77, la repressione fece un nuovo salto in avanti, nel tentativo di legare l'espressione più di 'frontiera' del movimento, l'Autonomia Operaia, alle formazioni clandestine armate, con la costruzione di un teorema che prese il nome dal magistrato che lo ideò, Calogero. Tale teorema sostanzialmente metteva insieme le forme di contestazione di piazza, i picchetti fatti da gruppi di operai autoorganizzati con quelli che tiravano fuori le pistole nei cortei e le bande armate: un grande teorema che individuava un unico disegno eversivo contro la Repubblica 'nata dalla resistenza' e che metteva nel mirino molti esponenti e attivisti politici quali Toni Negri, Ferrari Bravo, Oreste Scalzone, Emilio Vesce, Franco Piperno, ed altri, legati alla passata militanza in Potere Operaio, insieme a decine e decine di militanti meno conosciuti dell'area dell'Autonomia. Questa operazione che portò questi esponenti in carcere istituendo processi che si conclusero con pesanti condanne, alle quali molti si sottrassero fuggendo all'estero, rappresentò di fatto la liquidazione di quello che era rimasto del movimento del '77.
Dal canto loro le formazioni armate, in seguito alle leggi sulla dissociazione ed il pentitismo, al crescente isolamento dai settori tradizionali di riferimento, all'assottigliarsi della capacità politica dei movimenti, e ad una perdita di senso delle loro azioni, ridotte ad un susseguirsi di omicidi assurdi, entrarono in profonda crisi.

Massimo Varengo

Questo testo è tratto dalla conferenza tenuta da Varengo il 26 ottobre 2013 presso la sede del Gruppi anarchici imolesi, dal titolo “Utopia e controrivoluzione nel decennio 1968-1977”, recentemente pubblicata in un opuscolo dalle edizioni Bruno Alpini (bruno.alpini@libero.it) con un'introduzione di Massimo Ortalli (che abbiamo pubblicato sullo scorso numero a pag. 77-78).