Rivista Anarchica Online


carcere

Dialogo sull'assassino e sui gendarmi

a cura di Antonella Speciale e Girolamo Monaco


Liberi commenti, nel carcere di Acireale, alla canzone Il Pescatore di Fabrizio De Andrè.


Sorprendente realtà il carcere...un edificio austero, monolitico, con mura compatte, senza incertezze nei tratti, grande contenitore coercitivo di storie marginali, di volti sofferti, vite vissute che si consumano al di fuori del tempo: «Quanti anni hai?», domanda banale la cui risposta non lo è affatto. «Sedici, diciassette, diciotto», «Ma è davvero la tua età? Quanto hai vissuto fuori, quanto dentro? E qual è la tua storia, la tua identità?, Cosa pensi realmente, e soprattutto come mi vedi?» Messa in discussione dell'identità, anche della nostra, di noi liberi che nel nostro entrare-uscire non possiamo percepire l'imponente peso di condanne che co-stringono e restringono l'essere umano.
Nei Laboratori di Scrittura Autobiografica scegliamo di metterci tutti “in gioco”, esplorando ognuno il proprio vissuto per condividerlo con i compagni, e infatti, come afferma un partecipante, allora detenuto, «è bello vedere detenuti, educatori, volontari, tutti allo stesso livello: nessuno si sente più importante, tutti uguali».
Per un periodo rimasi sola a gestire il laboratorio, a proteggerlo dal controllo panottico del carcere, e fu allora che, amando da sempre Fabrizio De Andrè, pensai a quel pescatore che incontra l'assassino e i gendarmi, a quel maestro di vita e omertà rispetto alla legge del Potere.
Mi trovavo di fronte a ragazzi che sì, senza legge, avevano rubato, anche in maniera violenta, vittime poi a loro volta di un sistema assurdo (il carcere) ben più grande di loro. I partecipanti non conoscevano la canzone ed io chiesi loro di essere il pescatore, al quale viene incontro un assassino. Poi sopraggiungono le guardie. E allora che si fa? Ecco la scelta, ciò che ci inquieta e ci impone di riflettere sulla nostra umanità.
Nel testo abbiamo poi unito le voci di tutti, ognuno portatore del proprio vissuto, perché, in fondo, «siamo tutti “coetanei”, intimi, e abbiamo capito il significato della parola legame».

A.S.

I
Si era assopito un pescatore al tramonto, dopo una giornata immobile, fatta di luce e inutili attese, sotto il sole impietoso che inaridisce la pelle e la spacca come zolle di terra infuocata.
Si stava tutti sul molo, all'ombra dell'ultimo sole, come parte del paesaggio, come reti abbandonate, insieme ai gabbiani, insieme al vento inquieto che spezza le nuvole ed accende il mare di mille bagliori.
A quell'ora ci venne incontro un assassino, stanco e sudato come un bambino, affannato per la gran corsa, come animale braccato.

II
Che succede? Si rivolge a noi e ci parla. Che vuole? Pane e acqua.
Io: Se un assassino mi chiede da mangiare e da bere, io gli do da mangiare una fetta di pesce spada e un bicchiere di vino, perché per me è giusto che io lo aiuti, anche se è un assassino, però gli farei tante domande per sapere perché va in giro ad uccidere persone.
Tu: Anch'io farei così. Se un assassino mi chiede da mangiare e ha sete, io, vedendolo in questa situazione, lo aiuto subito. Ma questo lo farei con ogni persona che mi chiede aiuto, tranne con un pedofilo. Prima di tutto gli chiedo perché ha ucciso e chi ha ucciso. Poi se ha ucciso per motivi che ha avuto lui, gli potrei dare una mano. Se ha ucciso bambini, no.
La ragazza: Innanzitutto avrei tanta paura, però gli darei quello che vuole, perché la vita e il suo valore per me vanno oltre ogni cosa. Certo, proprio per questo non credo di poter essere capace di perdonarlo. Non sono il Cristo, ma un essere umano, ed il perdono è davvero difficile.
Io: Allora: se l'assassino vuole uccidere me, io ucciderei lui senza nessuna pietà. Se invece ha ucciso altre persone, cercherei di farmi spiegare perché ha ucciso, ma nel frattempo gli darei da mangiare e da bere; e, se non ho niente da dargli, me lo porterei al bar.
Ancora la ragazza: Io sicuramente gli darei da mangiare, anche se so che è un assassino, ma sarei molto a disagio.
Tu: Io lo aiuterei, ma bisogna davvero sapere perché ha ucciso. Se lui ha ucciso una donna o un bambino, io ammazzo lui.
Un altro pescatore: Io lo aiuterei. Io aiuterei chiunque chiede aiuto. È sempre un uomo. Oggi io aiuto lui, domani aiutano me. Rispetto reciproco per gli essere umani. Chi domanda aiuto dovrebbe essere compreso.
La ragazza: Lo guarderei negli occhi. Probabilmente lo aiuterei comunque, ma con uno spirito diverso a seconda di ciò che mi comunica il suo sguardo.

III
Venne davvero l'assassino, due occhi enormi di paura, a dirci ho fame, ho sete; per inquietare la nostra ombra e per provocare dubbi circa l'utilità e la necessità, il bene e il male, l'opportunità del portare o negare l'aiuto, e obbligare ciascuno di noi a scegliere ed esporsi. Che fai fratello? E, soprattutto, da che parte stai?
Cos'è giusto?
Vennero pure due gendarmi, due gendarmi con le armi.

IV
E ora? Passano le guardie e chiedono.
Io: Quando passano le guardie e mi chiedono se ho visto l'assassino, io gli dico che non ho visto nessuno, perchè se gli dico che l'ho visto lo potrebbero arrestare; e a me, onestamente, non interessa niente.
Tu: Io non ho visto nessuno, l'unica cosa che ho visto è la mia canna da pesca e il mare. Direi di non farmi domande sulle altre persone perché io guardo solo me stesso.
La ragazza: Io chiederei ai gendarmi perché lo cercano. Dipende poi da cosa mi ha detto di sé l'assassino e poi, forse, direi la verità, perché la punizione a volte aiuta.
Io: La punizione, le guardie, ma che dici? Io con aria indifferente faccio finta di niente e gli dico che, a parte i pesci, non ho visto nessuno. Il motivo è semplice: l'onore e l'omertà regnano nel mio carattere.
La ragazza: Che non l'ho visto, se mi fa pena! Altrimenti lo dico: è lì l'assassino, prendetelo!
Io: Io dico di no, perché il mio mestiere non è lo sbirro.
Tu: Io veramente risponderei “è andato da quella parte”, indicando la via sbagliata. Confonderei le loro idee. Perché, se prima l'ho aiutato, perché poi dovrei farlo arrestare? Non è omertà, ma buon senso e coerenza.

V
Questi siamo noi, fratelli, compagni di strada e di galera.
Noi siamo il pescatore, bruciati dal sole e dai nostri errori, imprigionati dentro pareti vuote ed incontri inattesi.
Io sono dentro questa storia. Io sono forte di coraggio, testardo e tranquillo, occhi neri, capelli neri, normale e complicato, calmo e rompiballe, appassionato e pazzo, ignorante, io sono il mio sbaglio, introverso e sensibile, sincero, io sono triste ed aggressivo, illuso, io sono un boy scout, dispersivo come il vento, io sono la mia voce, troppi pensieri, io sono ostinato, padre e marito, io sono innamorato, io sono forte. Io sono un pesce spiaggiato.
Siamo noi che veniamo ogni giorno a questo molo, al sole, al vento, e bestemmiamo quando piove e gioiamo per ogni pesce che abbocca. Non ci aspettiamo nulla.
La nostra smorfia sembra un sorriso, la nostra scelta sembra libera, i nostri occhi sembrano felici.
Alla fine nessun gendarme ci ha piegato, nessun assassino ci ha fatto davvero paura.
L'assassino e i gendarmi sono andati via, alla malora! Noi, invece, siamo ancora qui, all'ombra dell'ultimo sole, immobili, pietrificati, e con un solco lungo il viso, come una specie di sorriso.

tratto da La mia vita è un romanzo
Laboratorio di Scrittura autobiografica
IPM Acireale (Ct), 2009

a cura di Antonella Speciale e Girolamo Monaco