Rivista Anarchica Online





L'orgoglio e la canzone


Note a margine della trilogia Dalla/Roversi. Più un inciso sulla polemica Siae/Teatro Valle Occupato con uno scritto di Cesare Basile. Ovvero: una storia vecchia vecchissima e un pugno di canzoni (e di conseguenti propositi) che sembrano scritti domani. Più una storia nuova, che si svolge mentre ancora scrivo

La storia l'ho forse raccontata fino alla noia, anche qui, e forse in più d'una occasione, tanto più che, a pochi mesi di distanza non troppo tempo fa, mi sono trovato a scrivere qualche parola sulla rispettiva scomparsa dei due protagonisti: Lucio Dalla (nel marzo 2012) e Roberto Roversi (nel settembre dello stesso anno). Questi due artisti negli anni '70 avevano dato vita a un connubio di energie che ancora illumina le possibilità della canzone, della canzone detta d'autore, della canzone impegnata. I dischi che fecero assieme portano per titolo “Il giorno aveva cinque teste” (1973), “Anidride solforosa” (1975), “Automobili” (1976), quest'ultimo era la versione monca e largamente censurata di uno spettacolo che avrebbe dovuto chiamarsi “Il futuro dell'automobile”.
Varrà la pena ricordare brevemente come andarono le cose. Nel 1973 Lucio Dalla compiva trent'anni, salito ancora bambino su una scena, per suonare e cantare, restatoci con alterne fortune fino a mietere un successo popolare con le canzoni 4 marzo '43 e Piazza Grande, presentate rispettivamente nel '71 e nel '72 al festival di Sanremo, sentiva di non aver ancora composto un'opera all'altezza delle sue potenzialità. Lucio aveva una solida formazione jazzistica, una perizia musicale non comune, suonando bene pianoforte e clarinetto.
A un angolo della vita incontra i testi di un poeta, bolognese come lui, ma di una ventina d'anni più vecchio e già con una piccola aura di leggenda addosso. Roberto Roversi è un poeta con gli allori: animatore della rivista Officina assieme a Pasolini, sperimentatore linguistico con una cultura politica e filosofica solida, uomo di principi tanto fermi da rifiutare il mondo accademico e quello della grande editoria.
I due, dapprima con qualche perplessità e fatica, poi con entusiasmo, cominciano a scrivere canzoni, ovviamente Roversi il testo e Dalla la musica. I primi due dischi che escono dal loro sodalizio suonano ancor oggi come musica sperimentale, all'epoca saranno apparsi come se fossero stati inviati direttamente da Marte, infatti non vendono bene. I produttori della RCA, che si aspettavano l'eterna ripetizione di Gesù bambino e Piazza Grande, spiazzati all'inizio finiscono per correre ai ripari: violentano il terzo disco estromettendone i brani più politici e cambiando l'ordine della scaletta.
Dalla, con qualche mugugno, finisce per acconsentire, Roversi si indigna e rompe il sodalizio, rifiutandosi persino di firmare l'album col proprio nome (uscirà con lo pseudonimo Norisso).

Carlo Credi
Lucio Dalla e Roberto Roversi

Una vicenda complessa

Oggi – finalmente, finalmente – vede la luce una ristampa rimasterizzata in grande stile dell'intera trilogia, più un quarto disco di inediti che tenta di recuperare (attraverso provini e registrazioni live di archivio) le canzoni scomparse o mutilate dall'operazione dei discografici che fece infuriare il poeta. Il prodotto editoriale che contiene i cd è un libro di grande formato, ricchissimo di foto e documenti, che segue l'evoluzione di tutto il rapporto Dalla/Roversi e del loro complesso capolavoro. Appunti, stesure e correzioni, frammenti di intervista, lettere e biglietti privati, ci permettono di entrare nell'officina delle “automobili”. Ci sono tanti documenti e parecchie fotografie a tutta pagina – un po' troppe, per i miei gusti, ma sono l'unica concessione all'idea di libro/strenna – ridotto invece all'essenziale è l'apparato di note, commenti e riflessioni critiche.
Scopriamo così un rapporto che nasce quasi per procura: è il manager Renzo Cremonini a farsi messaggero dei primi testi, che Dalla musica senza ancora conoscere Roversi. Poi esplode l'amore professionale, testimoniato da lettere con cui Dalla racconta il suo furibondo entusiasmo nel lavorare su questi testi così storti, così pregni. E intanto cresce anche in Roversi la consapevolezza dello scrivere per il canto, come atto politico.
È un breve idillio: le censure accettate da Dalla e ricusate con violento schifo da Roversi – lo abbiamo detto, tanto da rifiutarsi di firmare col proprio nome il terzo disco – apre una voragine tra i due. Le distanze si fanno incolmabili, come testimonia qualche dichiarazione pubblica e parecchi messaggi privati: “il testo di una canzone non contava nulla (...) per un cantante basta cantare (...) i testi del sottoscritto per lo più erano graditi come olio di ricino. Mai li ha imparati a mente. Li ha sempre storpiati” così scrive Roversi.
Dalla per conto suo sostiene “per me non è stato un periodo bello, anzi, molto traumatico. (...) [Roversi è] una persona assolutamente pura e io diffido dei puri. Quelle erano canzoni un po' intellettualoidi, nel senso che mancava la grande partecipazione di chi le scriveva, di chi le cantava, di chi le ascoltava. (...) E poi io non amo la musica epica, mi dà fastidio anche fisicamente. Non mi piaceva urlarle quelle canzoni, come fossero cantate su un tavolo da chi aveva capito tutto ed era molto piu avanti”.
Ribatte a sua volta il poeta “A questo punto mi sono detto: boia d'un mondo! allora voglio dire due o tre cose anch'io.(...) Se Dalla oggi per sua fortuna (e merito) è un dio, nessuno di noi è un gatto bastardo a cui si può tirare i peli grattandogli la pancia. Così dico: 'puro' equivale, quasi in ogni dettaglio, a pirla: anzi a un pirla bietolone e pericoloso, a cui non si può lasciare in mano neanche uno zolfanello per la paura che dia fuoco alla casa. Quello sono io? Bene. Però ribatto: quando ci siamo impattati, al tempo di gnà Ava, lui era incasinato nei propositi più di re Carlo in Francia. Pare a me che qualcosa alla fine sia stato fatto se poi ha ripreso per conto suo a camminare sul filo, di filato, e in salita”.
I due si riconcilieranno negli anni '90, e di lì in poi andranno d'amore e d'accordo, sporadicamente persino scrivendo assieme qualche canzone (e qualcosa è testimoniata nel quarto cd di inediti), ma l'eccellenza di quei tre dischi resterà inattingibile.

Due dichiarazioni

A me ogni volta che parlo di qualche capolavoro del passato, di quell'atteggiamento di impegno e rigore, viene una sorta di senso di colpa: non vorrei in alcun modo partecipare alla gara al ribasso del presente, alla vulgata che sostiene che la storia è finita, che il passato è per l'appunto passato e che gioie e rivoluzioni sono definitivamente transitate nel regno dei più.
Proprio per questo vorrei dirvi che mentre riascoltavo e rileggevo Dalla/Roversi – proprio in questi giorni – infuriavano le polemiche fra la Siae, per bocca del suo “giovane” direttore Gino Paoli, e il Teatro Valle Occupato di Roma. Queste polemiche hanno travolto e affossato un bel progetto di rassegna del Club Tenco concepito proprio per quel prestigioso spazio.
Cesare Basile, un ottimo autore e cantante italiano, cui già mi legavano stima e ammirazione e i cui ultimi album trovo particolarmente riusciti, e che infatti ha ottenuto (ma non ancora ritirato) il riconoscimento della Targa Tenco per il miglior disco in dialetto, ha preso una posizione chiara e inequivoca, espressa in un suo comunicato che riproduciamo per intero.
Perché non ritirerò il premio Tenco.
Credo che un artista abbia il dovere di schierarsi piuttosto che sottrarsi ai conflitti. È l'unica regola alla quale ho cercato di essere fedele come individuo e come musicista nel corso della mia oramai lunga carriera.
Viviamo da troppo tempo e con sconcertante naturalezza l'era delle tre scimmie, la viviamo adeguandoci alla goffaggine che genera complicità, paghi del piatto di minestra che la carità del Potere ritiene di assegnarci ai piedi della sua tavola. Non vedo, non sento, non parlo. Tuttalpiù faccio un salto di fianco e lascio che la cosa passi.
Strana pratica per un mestiere che è fatto esclusivamente di vedere,sentire e parlare. Strana pratica per chi ha scelto il racconto come segno della propria esistenza.
Faccio parte da due anni dell'assemblea del Teatro Coppola Teatro dei Cittadini, un teatro occupato e autogestito, uno spazio sottratto all'incuria e alla magagna della Pubblica Amministrazione, frutto gioioso e libero di un altrettanto gioioso e libero atto illegale. Rivendico quotidianamente la legittimità di questa pratica come risposta a un sistema di gestione dell'arte e della cultura verticistico, monopolista, clientelare.
Questo non mi rende migliore o peggiore di altri, né fa di me un eroe, mi vede solo parte attenta di una scelta e come parte attenta di una scelta non posso fare a meno di vedere, sentire e parlare.
I recenti attacchi del presidente della Siae, Gino Paoli, e del suo direttore generale Gaetano Blandini contro il Teatro Valle occupato e le altre esperienze autogestite sul territorio italiano (il Teatro Coppola Teatro dei Cittadini fra queste) mi hanno profondamente disgustato per toni e arroganza; attacchi dai quali traspare, tra l'altro, una chiara e ben orchestrata richiesta autoritaria di ripristino della legalità che altro non è che un'esortazione allo sgombero.
Sabato 30 novembre avrei dovuto partecipare, insieme ad altri musicisti, a una manifestazione organizzata dal Club Tenco e dal Teatro Valle. In seguito allo scontro con la Siae il Club Tenco ha cancellato questa manifestazione dalla sua agenda con la seguente motivazione: “Il Club Tenco di Sanremo, preso atto del forte contrasto emerso negli ultimi giorni tra il Teatro Valle di Roma occupato e la Siae, ha deciso di annullare la manifestazione ‘Situazioni di contrabbando' programmata al Teatro Valle nei giorni 29 e 30 novembre. Non avendo la competenza tecnica per entrare nel merito dei gravi motivi di contrasto, il Club ritiene comunque di non dover alimentare, per la sua parte, attriti e polemiche, e per questo rinuncia serenamente ad un evento che potrebbe acuire il dissidio tra le due parti”.
Essendo la Siae partner importante del premio Tenco non viene difficile capire il perché di questo passo indietro.
Ma se il Club Tenco ritiene di dover sottostare a un ricatto e fare un passo indietro per non “acuire il dissidio tra le due parti”, io reputo opportuno farne uno in avanti per sottolinearlo questo dissidio: conflitto fra chi vuole una cultura liberata e chi, invece, la cultura vuole amministrarla per mantenere privilegi.
Ecco perché, ringraziando tutti quelli che mi hanno votato, non ritirerò la targa Tenco 2013 per il miglior album in dialetto e non parteciperò alla premiazione dell'8 dicembre al Petruzzelli di Bari. Cesare Basile, 22 novembre 2013.
Sono parole chiare e orgogliose, che a me, mentre le leggevo, sono sembrate degne di queste altre, scritte tanti anni prima: “L'autore di una canzone è sempre un partecipante diretto al blocco contro o all'adesione con l'ufficialità del sistema. Mi fanno sorridere ma soprattutto mi danno noia (per modo di dire, e come ho già detto) i teorizzatori della canzone come canzone soltanto; come suono e canto che non hanno altro mandato se non di essere suono e canto; se non di intrattenere divertendo e rasserenando; come un giuoco semplice (mentre sappiamo quanto sia complicato e carico di significati un giuoco). Invece la canzone – uno dei mezzi di comunicazione diretta più utilizzabile oggi in atto – comunque avviata, quindi inevitabilmente, è una comunicazione 'politica', una comunicazione 'ideologica'. Tanto più lo è quando a più voci e da molte parti (interessate) questa sua inesauribile potenzialità di distribuzione non soltanto viene contestata ma noiosamente ricusata. Sarebbe certo più tranquillo, in un momento storico segnato da travolgenti contraddizioni, che ciascuno potesse essere lasciato a coltivare il proprio orticello canoro, senza altri intrusi. Invece i problemi continuano a sovrapporsi e sono tremendi, sono nuovi mentre sembrano vecchi; sembrano vecchi mentre sono nuovissimi e non hanno un respiro conosciuto. Sono problemi che non solo si possono ma si debbono anche cantare; piaccia o no alla corte itinerante della canzone.” Roberto Roversi, 1978.

Alessio Lega
alessiolegaconcerti@gmail.com