Rivista Anarchica Online




Grandi affari per allocchi

Il sito di una famosa libreria vende anche libri online. Sotto la mascherina per effettuare l'ordine, vedrete questa scritta: “Spedizione gratis con una spesa di almeno 19 euro o con ritiro presso i punti vendita”.
Nel leggere l'avviso, mi sono inceppata nella seconda parte della frase: “spedizione gratis... con ritiro presso i punti vendita”. Cioè, se mi vado a prendere da sola il libro ordinato presso il punto vendita, la spedizione è gratuita, giusto? L'aspetto misterioso della faccenda è questo: perché mi dicono che la spedizione è gratis se non ci sarà nessuna spedizione?
Lavoro con le parole. Come insegnante e come scrittrice, il linguaggio è una cassetta degli attrezzi che uso o sui quali insegno cose. Quel che faccio, in altri termini, il mio mestiere ha a che fare con la convinzione che ciascuna parola abbia un significato e che dalla combinazione di più unità di significato discenda un messaggio dotato di senso, e, nel caso dell'arte, anche con un suo valore estetico. Per questo sono molto infastidita dalla frequenza con cui si usano parole a vanvera. E credo si possa essere d'accordo sul fatto che queste parole a vanvera sono in realtà combinate in modo non accidentalmente errato, ma con l'autentico scopo di turlupinare il lettore inesperto o distratto.
C'è un mestiere – quello del pubblicitario – che proprio di questa programmatica mistificazione fa il suo nodo concettuale primario. Il punto è, per certo, convincere l'utente – attraverso un uso accorto e deliberatamente mistificatorio delle parole – a consumare una merce di fatto per lui del tutto inutile. E va bene: questo è un mestiere, e va rispettato come tutti gli altri, anche perché di fatto esso si edifica sulle necessità del mercato. Tutti sappiamo che la pubblicità serve a vendere.
Trovo più difficile comprendere l'uso apertamente tendenzioso delle parole in altri due ambiti, nei quali al contrario la truffa non dovrebbe essere intesa come lo scopo primario. Quando una torma di politici intruppati si catapulta a Lampedusa dopo l'ennesimo annegamento di massa, e ripete che si porrà un rimedio a questa emergenza umanitaria e che senz'altro i profughi non possono essere considerati clandestini, ecco, in quel caso io trovo non semplicemente di cattivo gusto l'uso poco accorto che viene fatto della parola, ma, in modo più grave, ritengo questa pratica, e la visita di condoglianze nel suo complesso – eticamente riprovevole e politicamente poco credibile. Mi si dirà che i politici che, per esempio, molto di recente, sono andati a Lampedusa non sono gli stessi che hanno approvato la Bossi-Fini. Risposta: certo che no, ci mancherebbe.
Resta il fatto che chi ricopre una carica (non obbligatoria, ma risultante da una scelta) e prende uno stipendio da politico, si assume alcune responsabilità, tra le quali è implicata una rettifica del passato in tempi ragionevoli. Quando questi tempi si estendono oltre quelli del mandato politico, è ragionevole pensare che la volontà di rettifica non esiste. In fondo, appunto, è molto semplice: chi non agisce, ha i suoi motivi per farlo. Chi racconta la sua non-azione come una necessità imposta o peggio come un'impresa eroica è un imbroglione. Nello specifico, non mi risulta che la Bossi-Fini esista da ieri. E non ritengo neanche troppo normale che su certe questioni basilari, il dibattito vada avanti a vanvera per anni, alimentato da una programmatica manomissione delle parole – del genere di quella di cui scrive Carofiglio – che non sempre funziona.
E qui arriviamo al punto numero due: c'è un unico strumento per evitare di farsi rimbambire da parole usate a vanvera. Quello strumento è la lucidità che deriva da una formazione culturale minimamente articolata, che si acquisisce da autodidatti, ma soprattutto attraverso i meccanismi poco oliati dell'istruzione. Che – e siamo da capo – la storia politica recente del paese ha preso a randellate in modo sistematico. Fanalino di coda di ogni riforma, la scuola (e ancor peggio l'università) è il luogo nel quale la parola “risparmio” appartiene a un'area semantica inquietante. Significa tagli indiscriminate alle risorse di docenza e di approvvigionamento, aumento dei numeri di studenti per classe, assoluta inconsapevolezza della necessità di figure professionali che appunto – e anche qui il cerchio si chiude – aiutino i tanto vituperati stranieri a capirci qualcosa, in questo complicato paese e a sentirsene parte. Gli stessi stranieri che, probabilmente, sono arrivati a bordo di un barcone e in molti casi han visto affogare i loro compagni di viaggio. Quelli che raccogliamo, ai quali facciamo bei discorsi, che chiamiamo “clandestini”, che usiamo per i lavori che gli italiani non vogliono fare e per i quali, soprattutto, non esiste una politica europea, ma solo uno scarica barile generalizzato.
Siamo pronti tutti a piangere su una bara, ed è umano e necessario. Il problema è che quando le lacrime finiscono, bisogna fare qualcosa. Passare dalle parole ai fatti. E cominciare dalle parole: per usarle per quello che significano e non per autorizzarci e fare, come sempre, finta di nulla.

Nicoletta Vallorani