Rivista Anarchica Online




La sfida delle immagini

di Bruno Bigoni


Non c'è una ricetta per fare il regista. Non ci sono regole e nessun manuale potrà mai fornire delle indicazioni precise e universali per poter diventare un buon professionista. Il lavoro della regia è così personale e così legato alla sensibilità e alle capacità dell'autore che qualunque tentativo di fissare delle regole sarebbe un vero inganno. Ci sono invece molti modi di migliorare l'immaginario e attrezzarlo per questo lavoro, come per esempio coniugare tecnica e creatività, idea di cinema e sguardo sulla realtà, sensibilità e intuizione. Per non parlare del coraggio, della fatica, della curiosità e di mille altre capacità senza le quali ideare, progettare, dirigere e realizzare un film diventa assai complicato. Un lavoro di non facile accesso ma che può dare infinite soddisfazioni. Una pratica che si alimenta soprattutto di esperienza, di notevoli sforzi (anche fisici) e mille risorse, dalle più imprevedibili a quelle più semplici. Fare il regista prevede prima di tutto il desiderio (meglio l'urgenza) di raccontare qualcosa e avere un'idea di come farlo. Emir Kusturica, Il talentuoso regista bosniaco racconta così il suo personale avvicinamento al cinema – “Nel secolo scorso, il cinema è stato la sintesi di letteratura, pittura e altre arti: parlo del cinema d'autore, non di quello industriale. Mi ha sempre ossessionato l'idea che un film, con la persuasione delle immagini, potesse rovesciare l'accaduto, la realtà: in una parola, la storia. Fin da piccolo, quando già m'interessavo di tutto, il cinema mi è stato gemello: fatto per chi sa tutto e niente. Il cinema mi ha reso uno specialista del niente. Il cinema mi ha reso uno specialista del nulla. È l'onniscienza del regista: la specializzazione in nulla.” (Repubblica. 17 gennaio 2010).
Ma quel nulla è fatto di tante cose. Soprattutto di tante immagini, di tante letture, di tanta musica, di infinite suggestioni, di grande sensibilità e intelligenza.
Le immagini sono la centralità della nostra vita. Ne sono ormai parte integrante. Pongono un problema di verità e di comunicazione. Due sponde creative che il mondo contemporaneo conosce benissimo nelle sue numerose varianti.
La prima domanda che un buon regista si deve porre è: le immagini hanno una relazione con la verità e con il comunicare? Cosa c'è di veramente autentico nel loro comunicare verità? E cosa c'è di sincero in noi, quando ci confrontiamo con la verità? Le immagini possono essere vere o false, o semplicemente virtuali. Immagini che ci parlano della realtà o che ce la nascondono o la stravolgono. Che siano ferme o in movimento, comunque le giriamo, le immagini coinvolgono la nostra esistenza e la condizionano. Diamo loro un senso oppure lo ricaviamo da esse.
L'immagine a venire, se vorrà essere libera, dovrà rispondere in modo adeguato alla proliferazione dei cliché, all'inflazione dei segni, alla ridondanza delle informazioni con un di più di pensiero. Un nuovo sguardo per un nuovo cinema. Si tratta di far nascere, oltre l'azione, la dimensione mentale di ciò che si vuole realizzare. La dinamica dell'immagine, del montaggio, il concatenamento dei gesti e degli eventi sono in questo caso una sfida precisa e destabilizzante al sistema di rappresentazione industriale e al cinema commerciale.

Bruno Bigoni