Rivista Anarchica Online


(in)giustizia

Corsi e ricorsi

di Angelo Pagliaro


Il ricorso della Procura della Repubblica di Vallo della Lucania, incentrato sulla responsabilità degli infermieri nella tragica “gestione” del ricovero/sequestro/assassinio dell'insegnante anarchico Francesco Mastrogiovanni, è l'ultimo atto di una vicenda politico-giudiziaria di ordinaria criminalità istituzionale.


La Procura della Repubblica di Vallo della Lucania (Salerno), in data 18 giugno 2013 ha proposto appello avverso la sentenza n. 825/2012 emessa il 30 ottobre scorso, dal giudice monocratico Elisabetta Garzo, che ha condannato a pene che vanno dai due ai quattro anni, per i reati di sequestro di persona, omicidio colposo e falso in cartella, sei medici del reparto lager di psichiatria dell'ospedale San Luca di Vallo e assolto 12 infermieri dello stesso reparto accusati del sequestro, dell'illecita contenzione e della morte dell'insegnante libertario Francesco Mastrogiovanni. L'atto d'impugnazione è firmato dal sostituto procuratore Renato Martuscelli e dal procuratore capo Giancarlo Grippo.

Il ricorso della Procura

I due magistrati, Martuscelli e Grippo, ritengono che la sentenza vada riformata per il motivo assorbente che essa “ha operato una riduzione dell'attività e del profilo professionale dell'infermiere riducendolo a mero 'esecutore di ordini' mentre, in realtà, oggi ha un ruolo e un suo statuto ben delineato, come si rileva dall'attività legislativa che si è sviluppata dall'anno 1994 a oggi”. I pazienti Mastrogiovanni e Mancoletti sono stati abbandonati a se stessi senza cibo e acqua tra negligenze, imperizie e omissioni. Pertanto, chiedono di condannare gli infermieri alle pene che il pg riterrà eque a seconda dei capi di imputazione ad ognuno di loro ascritti. Tutto il ragionamento dei due magistrati ruota intorno al codice deontologico e alla nuova figura dell'infermiere che non è più quella di tanti anni fa. Oggi l'infermiere partecipa attivamente al percorso clinico – affermano i due magistrati – con interventi attivi, con cognizione delle cause e degli effetti e, infine, con sempre maggiore consapevolezza del proprio ruolo. Insomma, la supremazia della competenza prevale, finalmente, sulla gerarchia. E proprio l'idea di gerarchia instaurata negli ospedali italiani andrebbe esplorata. Ridurla, come fanno in molti, a un fenomeno puro e semplice di dominio-autorità non ci spiega come possano accadere alcune disgrazie.
Un altro profilo di censura della sentenza riguarda il trattamento sanzionatorio disposto nei confronti dei medici condannati. Ad avviso del procuratore e del suo sostituto, il giudicante non ha dato giusto peso nel giudizio di graduazione della pena e di adeguamento al caso concreto, alla natura, alla specie, ai mezzi, al luogo, alle modalità dell'azione ed alla sostanziale gravità del fatto su cui si è pronunciato, operando un bilanciamento delle circostanze aggravanti rispetto a quelle attenuanti. Per questo chiedono di aumentare le pene inflitte ai medici nella sentenza di primo grado.

Il ricorso di parte civile (Caterina Mastrogiovanni)

L'avvocato Michele Capano, legale di fiducia di una delle sorelle dell'insegnante libertario (Caterina), in data 26 giugno 2013 ha presentato un ricorso di ben 63 pagine nel quale analizza, con dovizia di particolari e citando numerose sentenze della Cassazione, tutte le “contraddizioni” che, a suo parere, sono contenute nelle motivazioni apportate dal giudice monocratico a giustificazione dell'assoluzione dei dodici infermieri e le lievi condanne comminate ai sei medici. Per l'avvocato Capano gli infermieri, come i medici, erano perfettamente consapevoli della contenzione e delle caratteristiche della stessa e lo dimostrano i contenuti degli interrogatori e le condizioni di mancata tutela nei confronti del paziente Mastrogiovanni visualizzabili nel “video dell'orrore”. “Condizione barbara, scrive l'avvocato Capano, in cui il Mastrogiovanni fu gestito in quelle 84 ore, condizione da farsi risalire anzitutto al comportamento degli infermieri che si sono succeduti nei diversi turni, chiarisce definitivamente l'assoluta complicità degli stessi nel sequestro di persona che si stava perpetrando! Non occorre aggiungere parole alle eloquentissime immagini del video che rappresenta l'assenza di alimentazione, di idratazione, di igiene, di conforto umano a beneficio dell'immobilizzato Mastrogiovanni”. In particolare si analizzano le responsabilità degli infermieri Casaburi e De Vita “i quali”, ancora Capano, “lungi dall'eseguire un ordine ritenuto legittimo – il Casaburi (con il collega De Vita) svolse un ruolo di cooperazione all'iniziativa della contenzione, funzionale ad operare i prelievi (di pertinenza degli infermieri, non dei medici) richiesti dalle forze dell'ordine”. Nelle 65 pagine si analizzano le responsabilità nel sequestro di persona, nell'abusiva applicazione della contenzione, nell'adesione all'ordine criminoso, la configurabilità per medici e infermieri del reato di morte come conseguenza di altro delitto e di falso ideologico.

Ordini e collegi

Come in tutti i processi nei quali vengono messi sotto accusa detentori di ruoli gerarchici anche in questo abbiamo assistito, all'inizio, a una difesa dell'intera categoria dei medici mentre i legali degli infermieri, di fronte alle evidenze dell'incorruttibile video filmato di sorveglianza, sin dall'inizio del dibattimento hanno cercato, invece, di differenziare le responsabilità dei propri assistiti fino ad arrivare alla sentenza, per loro favorevole. È indubbio che, aldilà delle motivazioni apportate dal giudice monocratico, la sentenza emessa rafforza, in un certo senso, le responsabilità dei medici, non fosse altro per il tipo di gestione del reparto, per la scarsa collaborazione tra medici e infermieri e, soprattutto, per la mancata conoscenza da parte di questi ultimi di atti come la cartella clinica che dovrebbero essere consultati nel momento delle consegne tra un turno e l'altro.
Questa sentenza, avverso la quale sono partiti i ricorsi, ci sembra voler sottolineare che il sistema era così organizzato da non lasciare agli infermieri alcun margine di azione tanto era forte la subalternità nei confronti dei medici. Sappiamo bene, e vogliamo ribadirlo, che le responsabilità politiche sono molto più gravi di quelle mediche perché riguardano gran parte del sistema sanitario italiano e meridionale in particolare dove, nei decenni passati, come raccontatoci da operatori sanitari che dopo decenni hanno preferito esercitare la libera professione piuttosto che continuare a subire continue umiliazioni negli ospedali pubblici, l'accesso alla qualifica di infermieri come quella alle dirigenze e al primariato veniva ottenuta non proprio attraverso corsi di alta specializzazione e non sempre per merito e capacità. L'ordine dei medici e il collegio degli infermieri di Salerno hanno davanti a sé una grande occasione per ribadire, aldilà di quanto stabiliranno i tribunali, che è ora di cambiare. Per ogni infermiere, come per ogni medico, è importante non perdere mai di vista il proprio mandato professionale.
Affermare i valori sui quali si fondano le professioni sanitarie è compito precipuo degli ordini e collegi professionali che dovrebbe prescindere dalle decisioni della magistratura. A noi compete, invece, l'impegno, e continueremo a profonderlo con sempre maggiore forza, di continuare a esercitare una forte critica politica delle atrocità come quella di Mastrogiovanni, Cucchi, Aldrovandi, Uva, Bianzino e tanti altri.

Angelo Pagliaro
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