Rivista Anarchica Online


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Imola
un secolo fa

di Massimo Ortalli


Un pranzo tra “reduci” della Prima Internazionale, la ricevuta di pagamento di Errico Malatesta e poi il comizio. Tre foto storiche ci restituiscono il sapore dell'epoca.


La “vecchia guardia” a convegno, così titola, il 31 agosto 1913, La Lotta, il foglio settimanale dei socialisti imolesi. Il 7 settembre infatti, nella cittadina romagnola patria di Andrea Costa, si daranno convegno i superstiti della Prima Internazionale, quella degli anarchici, dei libertari e dei socialisti rivoluzionari. Quella che annoverava tra le sue fila lo stesso Costa ed Errico Malatesta, Carlo Cafiero, Emilio Covelli, Carlo Monticelli, Napoleone Papini, Cesare Agostinelli, Osvaldo Gnocchi Viani, Enrico Bignami, insieme a tanti altri generosi, giovanissimi compagni che per primi portarono in Italia, ispirati dal vecchio Bakunin, le idee del socialismo libertario, dell'anarchismo, dell'emancipazione sociale, della libertà per tutti dal bisogno e dall'autorità.

Tre lire, il costo del pranzo tra “vecchie glorie”
della Prima Internazionale

Cambiamento radicale e irreversibile

Fu da quel primo ceppo di sovversivi e idealisti che si sarebbe sviluppato il grande albero del socialismo – dapprima antiautoritario, poi sempre più legalitario – che avrebbe segnato così profondamente la vita del paese, contribuendo, con le sue lotte, con i suoi sacrifici, con le sue tragedie e grandezze, a portare il vento di un cambiamento radicale e irreversibile, che avrebbe fatto dell'Italia arretrata e bigotta un paese più moderno e aperto al progresso civile e materiale.
I primi “apostoli” dell'Associazione internazionale dei lavoratori avrebbero poi preso strade diverse, chi mantenendosi fedele ai presupposti antiautoritari sui quali l'Associazione si era formata emancipandosi dall'influenza marxista, chi scegliendo la strada dell'entrata nelle istituzioni (quasi sempre in generosa buonafede), cercando però di mantenere fede ai principi “strutturali” sui quali l'Internazionale era nata.
Fu proprio a partire dalla consapevolezza di un ceppo comune e irrinunciabile per tutti, che ancora li teneva idealmente uniti, che “alcuni vecchi internazionalisti di Ravenna, sempre giovani per entusiasmo e per fede, idearono la simpatica, caratteristica e imponente riunione [...] alla quale, da ogni dove d'Italia, accorreranno a centinaia i venerandi pionieri del socialismo che, pure oggi, militano nei partiti di avanguardia e lottano per l'emancipazione proletari”. E fu così che in quella bella giornata settembrina quasi trecento “militi della vecchia guardia” giunsero a Imola non solo per ritrovarsi ma anche per riaffermare l'universalità di quei principi ideali che ne avevano ispirato l'azione in gioventù e che ancora ne animavano il pensiero. Scrive infatti La Lotta, a commento della manifestazione: “Oltre 270 autentici superstiti del glorioso movimento che dette vita al socialismo, convennero qui da ogni parte, a riaffermare la immutata e immutabile fede degli anni della loro giovinezza”.

Il comizio di Malatesta

Dopo il momento istituzionale di rito, con il ricevimento nell'edificio del Comune socialista di Imola, ci fu l'omaggio alla tomba di Andrea Costa al cimitero del Piratello, poi il banchetto al Parco delle Acque Minerali, durante il quale Errico Malatesta, appena rientrato dal lungo esilio londinese, parlò ai convenuti, come è riportato dettagliatamente nelle pagine de La Lotta: “Chiamato insistentemente, prese la parola Errico Malatesta il quale disse che la riunione non doveva essere una semplice festa ma una buona occasione per riaffermare la fedeltà di ognuno al vecchio ideale. Questo di oggi – esclama con forza Malatesta – non deve essere il banchetto dei moribondi, dell'addio agli invalidi, perché se noi siamo vecchi di età ci sentiamo tuttavia giovani di energie. Spesso interrotto da nutriti applausi, l'oratore termina il suo breve discorso conviviale augurandosi che quella giornata non segnasse altre nuove divisioni ma la concordia di tutti, gridando ‘Evviva la vecchia e la nuova Internazionale' ”.
Terminato il breve discorso, nel Parco irrompe la banda cittadina che accompagna il corteo verso la città, suonando l'Inno dei lavoratori di Turati, L'Internazionale e chissà (ci piace immaginarlo), anche il Canto dei malfattori. Giunti alle scuole comunali, nella terrazza prendono posto il deputato socialista Genuzio Bentini, Malatesta, l'avvocato Aristide Venturini, gli internazionalisti di Pesaro “con la storica bandiera”, il sindaco Morara e parecchi altri intervenuti. Quindi prende la parola Bentini, anch'esso anarchico in gioventù e ancora amico e, quando necessario, difensore degli anarchici. Nel suo discorso “rievoca i moti del '74 e del '77 (Bologna e Benevento) i quali valsero a rompere il cerchio di avversione e di indifferenza che stringeva intorno l'Internazionale. I pochi uomini che ad essi parteciparono sapevano che la storia non si può prendere per il collo e trascinare nel vortice dell'avventura, ma volevano conquistare, idealmente, un posto di affermazione nella storia. Oggi alcuni di quei gloriosi superstiti sono fra noi. Ebbene, festeggiamoli, esaltiamoli. Chi è venuto qui ha portato un'anima solidale. I non venuti appartengono al numero dei morti, ed a quello degli sperduti e dei dimentichi”.
Dopo di lui parla, per il comizio finale, ancora Malatesta, che non rinuncia a riaffermare, pur sapendo di essere nella tana del lupo, i principi dell'anarchismo intransigente, antiparlamentare e antiistituzionale, quello che fu anche di Costa, ma che poi lo stesso avrebbe abbandonato. Critiche non previste, probabilmente, perché, secondo il settimanale locale, “il discorso di Malatesta è applaudito dai suoi seguaci. Da moltissime parti, però, si è levato il grido di 'Evviva Costa', come per protestare contro il ricordo certo inopportuno del Costa, ma la più grande tolleranza finisce per prevalere e il Malatesta può finire incitando i suoi a moltiplicare l'apostolato anarchico e antiparlamentare”.

Queste due fotografie

Quante cose, quindi, in quel giorno memorabile!
Il ritrovarsi affettuoso degli antichi compagni, ma anche, inevitabile, il mai sopito dibattito sulle diverse strade intraprese, con Malatesta che non risparmia le sue critiche, con i socialisti imolesi che inneggiano a quella che per tanti anni è stata la loro guida, con Bentini che rilegge storicamente le imprese dei Prati di Caprara e del Matese, con la banda che sfila per le vie imolesi riempiendole delle note dell'Internazionale; è il segno di un modo di intendere l'impegno politico e sociale come un processo dialettico che può anche essere aspro e intransigente ma che al tempo stesso appartiene a un pensiero comune, che comune ha le radici e comune (certamente allora) l'obiettivo per un mondo migliore.
A ispirare queste note sono le due bellissime fotografie qui riprodotte, inedite e sconosciute fino ad oggi. La prima ho potuto acquisirla ‘miracolosamente' grazie all'amico Giuseppe Savini. Dopo una infruttuosa ricerca presso la Biblioteca comunale di Imola, per vedere se esistessero altre immagini di quel lontano evento, si è aggiunta fortunosamente, grazie a un cultore di storia locale, la seconda immagine, quella del comizio nelle scuole comunali. In essa, con un opportuno ingrandimento ad alta definizione, si possono riconoscere, sul terrazzo affollato, Bentini (a capo scoperto) che parla alla folla e alla sua sinistra, subito dopo, ancora Malatesta. Questi documenti assumono perciò una sicura importanza, in quanto parrebbero essere le uniche testimonianze visive di quella giornata. Sul retro della prima è riportata la dedica del sindaco socialista di Imola, Attilio Morara, “Al vecchio difensore degli Internazionalisti [Avv.to A. Venturini)] in ricordo”.
Secondo le pagine de La Lotta, “In un tavolo prospiciente al Buffet dello Stabilimento sedevano, col sindaco Morara, Enrico Malatesta e Cesare Agostinelli, Ugo Lambertini, Dalvit e Minal Claudio di Firenze, Luigi Fabbri di Rocca San Casciano, Giunti Giuseppe di Ravenna e il m. Bortolotti di Alfonsine”. E, evidentemente, anche l'avvocato Venturini.

Massimo Ortalli

Malatesta lo riconosceranno tutti, seduto sorridente, il cappello in testa.
Alla sua destra siede l'anarchico anconetano Cesare Agostinelli
detto
tigna, da sempre uno dei compagni più vicini a Malatesta,
alla sua sinistra c'è il sindaco Morara. Dall'altra parte del tavolo,
a partire da destra, Aristide Venturini (difensore nel 1875 degli anarchici
al processo per i moti di Bologna), poi uno sconosciuto col cappello
che assomiglia moltissimo all'anarchico imolese Adamo Mancini, coetaneo
di Malatesta, al suo fianco l'anarchico Ugo Lambertini e vicino a lui
Luigi Fabbri. Gli altri commensali e quanti si affollano intorno al tavolo
non sono ancora stato in grado di identificarli. Sono più che auspicabili
eventuali altri riconoscimenti! Il Dalvit citato nell'articolo è l'operaio
di Mirandola Ippolito Dalvit di cui si conosce il famosissimo motto che
accompagnava regolarmente i primi opuscoli internazionalisti: “L'operaio ha
fatto tutto; e l'operaio può distruggere tutto, perché può tutto rifare”

Imola, 7 settembre 1913. Siamo nel grande cortile delle scuole elementari
Carducci, nel centro di Imola. Sulla grande balconata si affollano gli
internazionalisti. Al centro, con il capo scoperto e le mani appoggiate
sul parapetto, Genuzio Bentini arringa la folla. Alla sua sinistra, appena
più in là, Malatesta, col cappello in testa, che attende il suo turno

(collezione privata M. Flutti - Imola)



... E Imola non molla




Imola, 1° maggio 2013. Cent'anni dopo gli eventi riprodotti e presentati nelle pagine precedenti,
una foto ricordo di anarchici e libertari imolesi, a testimonianza di una tradizionale presenza che
nel frattempo non si è mai interrotta.
Nella foto, da sinistra a destra:

Amilcare Topi, Giorgio Prantoni, Roberto Bartoli, Andrea Papi (di Forlì)
Mario “Makno” Grumelli, Massimo Ortalli, Lea Bianconcini
Riccardo Fabbricat, Andrea Ferrari (di Reggio Emilia),
inginocchiato Claudio Mazzolani.